cinema

venerdì 27 gennaio 2012

IL GIORNO DELLA MEMORIA

PAUL CELAN / OSIP MANDEL'STAM
1963 /1916

Rico Lebrun, Study for Dachau Chamber, 1958



Paul Celan 1963

Dalla raccolta Die Niemandsrose / La rosa di nessuno

Dem Andenken Ossip Mandelstamms
Alla memoria di Osip Mandel’štam



DIE SCHLEUSE / LA CHIUSA

Al di sopra di tutto
questo tuo lutto:
nessun secondo cielo.

………………………………..

Per una bocca,
cui era prezioso,
perdetti –
perdetti un nome
che m’era rimasto:
sorella.

Per i tanti
falsi dei
perdetti una parola che mi cercava:
Kaddisch.

La chiusa
dovetti forzare,
per riportare fuori ed oltre,
per salvare attraverso
il flutto salato la parola:
Jiskor.
traduzione di Giuseppe Bevilacqua, I Meridiani, Mondadori

George Segal, The Holocaust, 1982

Osip Mandel’štam 1916

Эта ночь непоправима / QUESTA NOTTE: IRREPARABILE

Irreparabile è questa notte,
e da voi continua a esser chiaro in cielo.
Gerusalemme, alle tue porte
hai visto levarsi il sole nero.

Il sole giallo ancor più spaventa
(ninna nanna: su, dormi!) Le esequie
di mia madre nel chiaro tempio
celebrano i figli di Giudea.

Esclusi dalla grazia di Cristo,
privi del sacerdozio, intonano
salmodie nel chiaro tempio – il rito
funebre alle spoglie di una donna.

Ed echeggiano sopra mia madre
le voci dei figli d’Israele.
Dentro la culla gli occhi io riapro,
circonfuso dal sole nero.

traduzione di Remo Faccani, Einaudi
Mordecai Ardon, Landscape with Black Sun, 1961

martedì 24 gennaio 2012

THE 2 BEARS

WORK
THE 2 BEARS - 2012



Prima novità discografica del nuovo anno. Un duo londinese con alle spalle una manciata di canzoni si appresta al full length di esordio, previsto per il 30 gennaio. Nel frattempo hanno caricato su youtube il video del singolo Work, ghiotta anticipazione di Be strong.

Il brano è un irresistibile ritorno a certe situazioni electrodance primi Ottanta. Avrebbe potuto benissimo comporlo Vince Clarke. Niente di rivoluzionario anzi, potrebbe risultare anche banale ma non c’è niente da fare, Work mette allegria. Semplice la struttura. Breve intro con accordi e facile melodia di tastiera, entra la voce per la strofa A sul motivo dell’intro. Strofa B meno melodica e più narrante e di nuovo strofa A con evidente funzione di refrain ed intervallo con un leggero arabesco di tastiera elettronica(C). Di nuovo strofa B cantata stavolta dall’altro componente del duo seguita dai segmenti A e C. Nel finale entrano voci femminili e i tre momenti A, B e C si intrecciano e si sovrappongono. Poco più di tre minuti la durata di un pezzo che entra subito in testa.

Il testo racconta il classico spaccato inglese di giovane alle prese con un duro lavoro, le aspettative della famiglia e un amore che lo aspetta a casa. Il nine-to-five di molti working class geezers che nel chorus (segmento A) ripetono:

We gonna work, work harder
for each other for the future
my love we gonna work

Infine il video. Bellissimo. Montaggio veloce, molte le situazioni rappresentate con gente che lavora. Niente di più scontato per un brano che si intitola work. In realtà il video ci presenta ‘belle facce’, tutte sorridenti, concentrate nello svolgimento delle loro mansioni. Il video trasmette la dignità dei lavori anche umili come vendere frutta, pulire il pesce, cucire, squartare polli, fare la barba.  Scelta del bianco e nero, location urbana e piena di vita come pieno di vita e vitalità è tutto il ‘prodotto’. A questo punto aspettiamo con impazienza il 30 gennaio.


sabato 14 gennaio 2012

ASGHAR FARHADI - parte 2 / SHIRIN NESHAT

UN FILM / ALCUNI SCATTI




A. Cosa ci vuole raccontare Farhadi?
B. Senz’altro l’Iran di oggi. Come nel precedente About Elly è evidente che il regista desideri dare del suo Paese un’immagine lontana dagli stereotipi. L’Iran dei film di Farhadi è un paese moderno, paradossalmente ‘occidentale’. Sembra che questo sia il problema di fondo.
A. Rappresentare una società evoluta in cui i problemi sono gli stessi delle società sviluppate. Si potrebbe parlare di film ‘glocali’?
B. A parte la bruttezza del termine, sì, perché non possono non essere presenti le peculiarità della realtà locale.
A. Si riferisce alla religione?
B. Non solo. Certo che la telefonata all’autorità religiosa per sapere se è considerato impuro per una donna lavare un anziano ha chiaramente la funzione di ricordare allo spettatore ‘occidentale’ che siamo nel paese degli ayatollah e del resto lo spettatore occidentale si aspetta, quasi pretende, che in un film iraniano si parli di questo. È inevitabile, però il localismo io lo ritrovo nella volontà di seguire una tradizione cinematografica nazionale come elemento identitario. E la scelta è ideologica, poetica e decisamente originale. Direi programmatica.
A. Affermare un’identità nazionale attraverso la cultura, in questo caso il cinema?
B. Esattamente e va evidenziata la portata dirompente di questa scelta. Non si vanno a scomodare le lontane epoche d’oro della cultura farsi o le recenti epopee del risveglio rivoluzionario islamista ne’ quelle contemporanee antiteocratiche. No, Farhadi opta per il cinema, arte moderna e occidentale per eccellenza e quindi antitetica rispetto alla tradizione del suo Paese. Ma proprio il cinema e le arti visive/visuali hanno caratterizzato la vita culturale iraniana degli ultimi decenni.
A. Sta pensando a Kiarostami a Panahi?
B. Certo. Una separazione è una dichiarazione d’amore al cinema iraniano, le citazioni sono palesi. Pensare a Il cerchio è naturale oppure a Close up di Kiarostami. E parlando di cultura visiva iraniana pensavo anche a Naderi, autore a cavallo tra Iran e Stati Uniti o al bravissimo sceneggiatore anglo persiano Hossein Amini. Senza dimenticare Marjane Satrapi e la straordinaria video artista Shirin Neshat.
A. Potrei aggiungere che un libro come Leggere Lolita a Teheran non avrebbe potuto essere scritto in nessun altro paese islamico.
B. Verissimo. È in questo ambiente culturale che si muove Farhadi. La famiglia borghese del film è l’emblema di questa scelta di campo, contrapposta alla famiglia popolare. Nella famiglia borghese c’è assoluta parità di ruoli. Padre madre e figlia sono esattamente sullo stesso piano. Non solo, ma l’opinione della figlia preadolescente è uno dei temi principali e questo è rivoluzionario.
A. Io parlerei di giudizio vero e proprio. La figlia si affianca al giudice.
B. Proprio così. La figlia di 11 anni è caricata di responsabilità morali. O meglio, i genitori coinvolgono la figlia, si sentono giudicati da lei e sviluppano sensi di colpa che conducono alla scena finale.
A. O sarebbe più appropriato parlare di ‘non scena’?
B. È anche questo che rende Una separazione un grande film: la tensione emotiva tra il mostrato/ripreso e il non mostrato/non ripreso. Molti ‘vuoti’ reggono il film. Geniale paradosso per un’arte visiva. Il regista sceglie di non farci vedere i due episodi cruciali.
A. Pensi che finora abbiamo girato attorno al film, che offre molti altri spunti e tutti affrontati con maestria.
B. Proprio per questo possiamo definire Una separazione un capolavoro.


giovedì 12 gennaio 2012

WYSTAN HUGH AUDEN

GRAZIE, NEBBIA
WYSTAN HUGH AUDEN - 1974 / 2011




Auden è il poeta più ‘classico’ del Novecento. È ormai riconosciuto come un classico e questa è condizione ovvia ma necessaria per poterlo definire tale: un autore è un classico quando i fruitori delle sue opere (lettori, critici, altri autori) così lo definiscono e  lo percepiscono. Soprattutto lo è quando è lo stesso autore a ritenersi un classico, a viversi quale auctor.

Grazie, nebbia, raccolta appena uscita da Adelphi, tradotta non sempre felicemente da Alessandro Gallenzi, comprende l’ultima produzione di Auden. Si tratta di testi molto vari per temi, metri e forme che hanno in comune la sicurezza, la levità e la profondità che solo la piena consapevolezza delle proprie capacità riesce a trasmettere.

Si potrebbe parlare di nugae, almeno nello spirito con il quale sono scritte, anche se spesso i contenuti sono filosofici, scientifici: forme poetiche chiuse, schemi metrici tradizionali ma non rigidi, ampio cromatismo lessicale che spazia dai termini letterari a quelli gergali contemporanei agli specialismi della tecnicoscientifici. Ha ragione Alfonso Berardinelli a parlare di poesia illuminista.

In questa raccolta uscita postuma nel 1974, un anno dopo la morte, troviamo il piacere del ritrovarsi tra cari amici, di osservare i quotidiani fenomeni della natura, di rileggere gli autori preferiti e troviamo anche spassose considerazioni sulla vita, sui comportamenti degli uomini che Auden coglie sempre con spunti di divertito moralismo. Termine usato in senso classico, naturalmente.

Tra gli esempi di questa poesia così sicura, solida ma leggera al tempo stesso mi piace citare  Aubade. Il titolo rimanda al genere trobadorico delle ‘albe’, componimenti che trattano il momento del risveglio e della separazione degli amanti. Qui Auden riprende però la variazione che dell’aubade avevano fatto i poeti elisabettiani e dall’erotismo provenzale vira decisamente verso il contenuto metafisico, citando Sant’Agostino, John Donne e il filosofo Rosenstock-Huessy,

Molto bella Unpredictable but Providential nella quale si affronta il tema dell’evoluzione della specie secondo un andamento che parte dal generale, dal cosmo, per giungere in chiusura a rivelazioni molto personali che acquistano valore universale.

Ci sono poi una serie di flash, brevissimi nuclei poetici dal carattere gnomico-brillante, che compongono la serie Shorts, ma anche  un più disteso intermezzo teatrale che drammatizza con garbo da commedia dell’arte i cinque sensi.

Una raccolta  intensa nella quale il poeta ‘ufficiale’ si diverte e divertendosi può veramente concedersi tutto e tutto quello che tocca diventa poesia.



Post scriptum. Leggendo questi versi dei primi anni Settanta, ci si rende conto di quanto sia goffo ed ostentato il versificare di un Arbasino, il quale vorrebbe chiaramente essere Auden ma resta semplicemente un buon conversatore da salotto, pettegolo e a volte petulante.



Questo post è dedicato ad Ettore.

Edizione di Thank you, Fog con dedica di Christopher Isherwood a due amici