cinema

venerdì 29 giugno 2012

ALEKSANDR SOKUROV

ARCA RUSSA
ALEKSANDR SOKUROV - 2002
parte 1





Oltre due secoli di storia s’imbarcano sull’arca della salvezza, “c’è il mare tutt’intorno, dovremo navigare per sempre e vivere per sempre”.

Un’ora e mezza dura l’estasi virtuosistica di Sokurov e si rimane allibiti, stregati, increduli al cospetto di tanta arte.

Arca russa supera i limiti cinematografici per assurgere a puro capolavoro di arte tout court. C’è perfezione tecnica, complessità tematica e profondità argomentativa; c’è unione assoluta di forma e concetto.

I mezzi espressive utilizzati da Sokurov attingono da tutte le arti: cinema, perché si tratta di un film, ma anche architettura, pittura, musica, teatro, letteratura, riflessione teorico-concettuale, per trovare una sintesi sublime che si esprime attraverso un unico piano-sequenza che ha del miracoloso.

Con Arca russa Sokurov realizza l’opera totale.



giovedì 28 giugno 2012

RIMBAUD E IL JIHAD NEL DESERTO

MALI / AZAWAD - 2012

                            fonte: twitpic


 
Le frontiere azzurre tracciate sulle carte dall’uomo bianco hanno ripartito il popolo touareg tra stati diversi. Ma nel deserto, si sa, le frontiere sono mobili e nell’area compresa tra i massicci dell’Ayăr, del Tassili n'Ajjer e l'Adrar des Ifoghas pur divisa tra Algeria, Mali, Niger fino ad un breve lembo di Libia, i vari popoli si sentono parte di un’unica nazione, l’Azawad.
Il 22 marzo scorso il presidente del Mali, Amadou Toumani Touré è stato deposto a seguito di un colpo di stato ad opera di forze militari che hanno dichiarato la costituzione di un Comitato Nazionale per la Restaurazione della Democrazia e dello Stato (CNRDR).
Il 6 aprile, dopo alcuni giorni di scontri, viene dichiarata, da parte del MNLA(Movimento Nazionale Liberazione Azawad) la nascita dello Stato Indipendente dell’Azawad, corrispondente alla parte settentrionale del Mali.
Questi i crudi fatti e questi alcuni riferimenti per le fonti: Al Jazeera, The Guardian, BBC, The Economist, i documentatissimi articoli di Serge Daniel, i comunicati del MNLA.
Qualche considerazione non sistematica…
La situazione in Mali si è destabilizzata a seguito del cambio di regime in Libia. Molti tuareg costituivano parte consistente delle forze mercenarie assoldate da Gheddafi. Con la fine del colonnello centinaia di questi uomini blu carichi di armi sono fuoriusciti dalla Libia e sono tornati nei loro luoghi di origine, in particolare in Mali, transitando per l’Algeria.

In Algeria hanno sempre trovato rifugio esuli maliani che tra le gole dell’Haggar hanno intrecciato rapporti con gruppi islamisti locali, soprattutto con il principale di essi, quell’ Aqmi dello sceicco Abdelmalek Droukdel specializzato in sequestri di occidentali.
Resistenza Azawad interna, bande di mercenari rientrati dalla Libia, gruppi islamisti facenti riferimento al leader carismatico Iyad Ag Ghaly, schegge incontrollate dell’esercito maliano, tutti fattori che hanno determinato il caos nel Paese  sahariano che ha portato al colpo di stato, alla secessione del Nord, alla guerra civile.
L’iniziale alleanza tra i ‘moderati’ dell’MNLA e i fondamentalisti del gruppo Ansar al-Din di Ag Ghaly ha retto poche settimane. Ad oggi, infatti, i due principali punti di riferimento dell’Azawad hanno rotto l’accordo. La causa sembra essere stata la questione della sharia, la legge islamica che Ag Ghaly vuole imporre in Azawad e che non trova d’accordo i più laici touareg dell’MNLA.
… e qualche divagazione.
Il nome del presidente deposto, Amadou Toumani Touré è, per me, significativo. Amadou, come il cantante e musicista cieco che fa coppia con Mariam. Toumani, come l’amatissimo maestro griot Diabaté. Touré, come il rimpianto bluesman del deserto Ali Farka.
Il Mali si ritrova spaccato in due, che poi è la storica divisione etnico-culturale del Paese. Musicalmente, l’anima touareg settentrionale è incarnata dai Tinariwen. Il leader del gruppo, Ibrahim Ag Alhabib, ha condiviso le esperienze di molti touareg, ed ha vissuto, da esiliato, a cavallo di quelle frontiere al tempo stesso reali ed inconsistenti, di cui si parlava all’inizio.
Il sud è il regno della kora e dei suoi maestri, che si trasmettono l’arte dello strumento a corde da generazioni, come i Diabaté e i Sissoko.

Le frontiere azzurre sono un riferimento a Les Douaniers di Rimbaud


Soldats, marins, débris d'Empire, retraités,
Sont nuls, très nuls, devant les Soldats des Traités
Qui tailladent l'azur frontière à grands coups d'hache.



Abdelmalek Droukdel, Aqmi



 Iyad Ag Ghaly, Ansar al-Din



Mahmoud Ag Aghaly, portavoce MNLA
 

 
Amadou Toumani Touré





martedì 26 giugno 2012

LA PRIMAVERA ARABA

CONSIDERAZIONI A DISTANZA



 
16 febbraio 2011, la primavera giunge a Benghazi in anticipo e inizia la guerra delle news. In prima linea c’è l’emittente qatarina Al Jazeera che si fa portavoce dei ribelli cirenaici e manda in onda immagini di decine di cadaveri e fosse comuni opera delle forze governative, immagini che si riveleranno clamorosi falsi. Ma il mondo arabo da molto tempo stava aspettando il momento buono per un regime change nella troppo secolarizzata Libia di Gheddafi e l’Occidente anglo-francese ha subito colto l’occasione per assegnarsi un ruolo da protagonista nella gestione neocoloniale delle risorse petrolifere del Paese. Tutto sommato l’eliminazione di un tiranno come Gheddafi può far chiudere un occhio sulle sporche circostanze collaterali, è così che va il mondo. La guerra a Gheddafi era un’opzione realizzabile per il contesto geopolitico del Paese, quindi, nel giro di pochi mesi e con l’avallo dell’ONU, è stato applicato lo schema d’intervento e la Libia sta conoscendo una nuova fase storica, si spera migliore della precedente.

Situazione completamente diversa in Siria. Sotto certi aspetti il regime degli al-Assad è analogo a quello di Saddam Hussein e dello stesso Gheddafi. Poteri secolari ‘rivoluzionari’ legati al blocco sovietico durante la Guerrra Fredda, i tre regimi arabi hanno rappresentato la continuazione del nasserismo anti islamista. Il quale, se fino all’89 aveva una salda giustificazione internazionale , dopo la fine del bipolarismo e con l’ascesa del fanatismo religioso capitanato da Arabia Saudita e Iran, ha visto perdere sempre più sostegni e giustificazioni ad esistere. Il regime baathista di Saddam è stato il primo ad essere colpito, già dopo la prima Guerra del Golfo, in quell’inizio degli anni Novanta che sono stati il periodo della rinascita islamica. È in quegli anni che nel mondo islamico torna ad essere venerata la figura di Sayyd Qutb, fautore  di un ritorno al Corano,  giustiziato da Nasser nel 1966 e ispiratore dei nuovi fondamentalisti sunniti. È negli anni Novanta, indebolito il vicino-rivale Saddam Hussein, che gli Ayatollah sciiti iniziano a tessere la rete di sostegno ad Hezbollah in Libano. È negli anni Novanta che sauditi e pakistani, i primi con i petrodollari, i secondi con il supporto logistico, creano il movimento Talebano che conquisterà il potere nell’Afghanistan post-sovietico e vero campo di addestramento dell’internazionale jihadista.

La primavera araba, se da un lato ha fatto tremare i polsi tutti i regimi del Medio Oriente, sia islamisti che laici, vista oggi, ad una certa distanza, gli effetti  più profondi li sta producendo proprio nei paesi dominati da dittature secolariste, con la conquista del potere da parte dei movimenti di ispirazione islamica attraverso mezzi che possono essere definiti democratici (Libia, Tunisia, e soprattutto il recentissimo caso dell’Egitto). Di fatto Assad è rimasto isolato anche se posizione geografica, scenario geopolitico e sistema di alleanze internazionali ha finora impedito per la Siria una soluzione tipo quella adottata per la Libia. Finora.

sabato 23 giugno 2012

ANNI DI PIOMBO

MARGARETHE VON TROTTA
DIE BLEIERNE ZEIT - 1981





Era il 1981 e al festival di Venezia Margarethe Von Trotta vince il Leone d’oro, in pieno zeitgeist. Il titolo italiano del film, anche se fuorviante rispetto all’opera della regista tedesca, designerà il più triste periodo della storia repubblicana.

Il titolo originale, Die Bleierne Zeit, è una citazione dall’elegia di Hölderlin Der Gang aufs Land, i cui versi 5 e 6 recitano:

Trüb ists heut, es schlummern die Gäng und die Gassen und fast will /
Mir es scheinen, es sei, als in der bleiernen Zeit.

Torbido il giorno, sospesi I vicoli e I sentieri e quasi
Mi sembra come se fossi in un tempo plumbeo
(traduzione di Eustaki)

 Per la Von Trotta il tempo plumbeo di Hölderlin è il secondo dopoguerra, gli anni Cinquanta e Sessanta della Repubblica Federale.

Si parla di terrorismo, ovviamente, ma il terrorismo a cui approdano certi giovani è una metafora molto complessa della società tedesca. Il centro del film non è tanto la scelta della lotta armata quanto i rapporti interfamiliari: tra le sorelle, tra genitori e figli. Rapporti che coinvolgono, ad un livello storico, i sentimenti che i ‘figli’ nutrono verso la Heimat e il recente passato. Ciò rimanda inevitabilmente all'Olocausto.

È significativo che la figlia ribelle a scuola rifiuti i testi poetici ufficiali e manifesti, in maniera provocatoria, la propria predilezione per la poesia di Paul Celan, e specificamente,  per quella Todesfuge che tanto imbarazzo aveva creato nella Germania degli anni Cinquanta. La poesia, espressamente citata nel film, contiene il celebre verso Der Tod ist ein Meister aus Deutschland, divenuto slogan dell’antifascismo e dell’anarchismo tedeschi. È attraverso la poesia di Celan, attraverso le immagini dei documentari sui campi di sterminio che si devono fare i conti con il passato, con certi maestri, con certi padri.

Anni di piombo scende in questo crogiolo di temi e non a caso l’inizio e la fine si congiungono attraverso la figura del figlio di Marianne. Abbandonato dalla madre, passata a vivere in clandestinità, abbandonato dal padre che sceglie il suicidio, abbandonato dalla zia che rifiuta la maternità, il piccolo Jan tornerà alla fine, vittima delle colpe dei genitori e pronto ad incarnare, dopo il proprio sacrificio, e quello di sua madre (la foto strappata) una nuova generazione di tedeschi, forse riconciliati con gli orrori della storia.

Il film è ‘pesante’, di piombo come l’atmosfera in cui Hölderlin si trovava a passeggiare, pesante come lo è la copia del Cristo ‘riformato’ di Grünewald che si è salvato dalle macerie della Seconda Guerra Mondiale e terrificava le piccole sorelle, già angosciate dalle sirene antiaereo e da un padre disumano nella sua applicazione della fede evangelica  ai rapporti familiari (su temi analoghi, molto più pesante e meno riuscito Il nastro bianco di Haneke).

Nel caso della Von Trotta il peso dei sovrasensi, anche psicoanalitici, del forte simbolismo e di una lentezza di ripresa ritenuta necessaria per dare spessore al messaggio di un film d’autore, non riescono a scalfire l’importanza che Anni di piombo riveste nella filmografia europea degli ultimi decenni. Anzi proprio queste caratteristiche ne fanno un prodotto emblematico di un certo momento storico. Niente da fare, Anni di piombo è, nel bene e nel male, un film epocale.

Matthias Grunewald, Crocifissione di Basilea, 1501

sabato 16 giugno 2012

VLADIMIR MAJAKOVSKIJ

LA NUVOLA IN CALZONI - 1915

Osip Brik , Lilya Brik, Vladimir Majakovskij in una foto di Rodchenko



Cavalcata a briglie sciolte tra i fermenti prerivoluzionari,  La nuvola in calzoni emoziona e commuove per il vitalismo disperato con cui il poeta-eroe offre alle emergenti masse urbane il proprio giovane corpo sanguinante  per una nuova redenzione. L’io lirico dei versi majakovskiani è l’inevitabile punto di congiunzione di linee che partono da Gesù Cristo, da Zarathustra e da Rimbaud. Il poeta e la folla, che ancora una volta, orecchie e occhi ‘imbottiti di lardo’ (verso 575), al redentore ‘preferisce Barabba’ (verso 505).

Viene riproposta La nuvola in calzoni in una bella traduzione del sempre più autorevole e sicuro Remo Faccani, con un ricco apparato di note. Ma le note non servono. Il poema si legge – e si comprende – d’un fiato, è un grumo palpitante di lirismo appassionato che fa vibrare il cuore. Già ad una prima lettura ci si rende conto della perfezione del capolavoro. Istintivamente si coglie la forza poetica di certi versi:

‘non uomo sarò ma – nuvola in calzoni’

E questo è il segreto di tanta potenza: la naturale capacità di concentrare in clausole fulminanti aspetti concreti e aspetti immateriali. Il poeta è umano, è fatto di corpo, nervi e sangue, termini questi che ricorrono spesso nei 724 versi del poema, ma ha anche un’essenza eterea, impalpabile di nuvola. Da qui la geniale trovata della nuvola in calzoni, immagine che è emblema del Futurismo e al tempo stesso ne rappresenta il vertice fino a superare lo stesso movimento avanguardista.  Altre antitesi strutturano il poema come, per ricordarne alcune, io / voi, individuo / folla,  terra / cielo, uomo / Dio, anima / corpo, antitesi tenute coerentemente insieme dalla figura del Poeta e dalla sua esaltazione nichilista, che solo nella patria di Dostoevskij poteva giungere a simili esiti.

‘su quanto è stato fatto
io piazzo un nihl’.

È veramente commovente che Majakovskij, a soli 22 anni, abbia potuto concepire la poesia in questi termini. Dopo La nuvola in calzoni il suo destino era inesorabilmente segnato.

I versi sono tratti da La nuvola in calzoni, a cura di Remo Faccani, Einaudi - 2012
Majakovskij secondo Rodchenko











sabato 9 giugno 2012

TAJ MAHAL & TOUMANI DIABATE'

KULANJAN
TAJ MAHAL & TOUMANI DIABATE' - 1999




Athens, Georgia. Una veranda che dà sul giardino. Due musicisti di generazione, origine e formazione totalmente diverse giungono alle comuni radici, profondissime, della loro ispirazione artistica. Registrato in tempi rapidissimi, Kulanjan è il frutto di un’intesa immediata e miracolosa. Quasi il risultato di vere e proprie jam session che vedono in campo i due maestri, la vocalist Ramatou Diakite e sei musicisti del Mali. In effetti il disco è stato inciso in pochi giorni e molti brani erano ‘ok alla prima’ ma in realtà Kulanjan è un progetto meditato e colto. I dodici brani si propongono di tracciare un percorso volto a mettere in luce le affinità tra la musica nera americana e la musica tradizionale dell’Africa occidentale. E dietro al meraviglioso universo sonoro che immediatamente cattura  l’ascoltatore, si coglie tutta la ricerca filologica che dà consistenza al disco.

Musicalmente siamo di fronte a due tradizioni musicali, il blues e il griot che nel primo brano vengono presentate in maniera ben distinta. Queen Bee ha la funzione di introduzione,  la tipica cadenza blues è resa dalla kora, lo strumento a 21 corde della tradizione maliana, generando, fin dalle prime note, una sorta di doppio registro, rimarcato dall’alternanza delle voci, quella femminile africana, dolce e modulata,  e quella di Mahal, visceralmente sofferta, calda e vissuta. Nei brani successivi questa dicotomia sparisce lasciando il campo ad una fusione perfetta tra i due elementi musicali. Se da un lato i suoni della kora e degli altri strumenti africani si fanno meno etnici, acquisendo le coloriture della musica afroamericana, l’apporto di Taj Mahal va a ritroso, alla ricerca delle radici africane della musica nera americana. La parte vocale non è più contrapposta ma le voci dei due maestri tendono ad avvicinarsi in quella sorta di consonanza che fa di Kulanjan un’esperienza pienamente riuscita.

Si diceva dell’intento filologico del disco: esso è palese nella rivisitazione di moduli tipici, declinata in maniera personale e raffinata. Tunkaranke ha un semplice giro di note che si ripete sul quale la voce articola variazioni che creano un’atmosfera di forte lirismo e di intensa emotività, secondo lo stile griot.  Ol’ Georgie Buck, ritmatissima con l’ossessiva linea vocale è un pezzo di deserto trasportato in Alabama, naturalmente irresistibile. Fanta inizia con un suono di marimba a cui si unisce un piano regtime e un testo che mescola lingue diverse, tra le quali il francese cajun. Con Catfish Blues siamo in pieno blues, potrebbe essere un omaggio a Ry Cooder, grande amico di Mahal. Ma tutte le dodici canzoni hanno un ruolo specifico che ne fanno delle tappe che portano alla conclusiva Sahara, un ringraziamento per l’attenzione che l’ascoltatore ha prestato all’offerta fatta dai musicisti. Breve, corale, è il saluto che chiude la festa del villaggio. Felici, tutti tornano a casa e rimangono, isolati, alcuni accordi di kora.

Dovendo scegliere cinque must tra libri, film, dischi, il Presidente Obama, ha indicato, unico cd, proprio Kulanjan, con queste parole:  "a beautiful melding of traditional blues and music from Mali by two great masters."