cinema

venerdì 19 ottobre 2012

ANDREJ TARKOVSKIJ

LO SPECCHIO
ANDREJ TARKOVSKIJ - 1975




I soldati sovietici attraversano il Sivaš  nella II Guerra Mondiale in seppiate e sgranate immagini di repertorio.  La voce fuori campo declama una poesia:

Nei presentimenti non credo,
e i presagi non temo.
Non fuggo la calunnia né il veleno,
non esiste la morte:
immortali siamo tutti, e tutto è immortale.
Non si deve temere la morte,
né a diciassette né a settant'anni.
Esistono solo realtà e luce:
le tenebre e la morte non esistono.
Siamo tutti ormai del mare su la riva,
e io sono tra quelli che traggono le reti,
mentre l'immortalità passa di sghembo…

Paesaggio invernale, neve accecante su cui i contorni scuri di alberi e figure disegnano una traccia filigranata. Macchina da presa posta in alto ad inquadrare il paesaggio fino all’orizzonte. Sul pendio innevato che scende al fiume persone indaffarate, un cavallo traina una slitta, ragazzi giocano e scivolano sugli slittini (Rosebud…). Ferma nello stesso punto la macchina da presa ruota lentamente verso destra mentre dal secondo piano un ragazzo risale l’erta per giungere davanti all’obiettivo in un primissimo piano ad occupare l’intero campo visivo col suo volto.

Stacco. Di nuovo immagini storiche della vittoria. Fuochi d’artificio. L’Armata Rossa a Berlino. Un cineoperatore riprende il cadavere del Fuhrer tra le macerie. Il fungo atomico.

Stacco. Il ragazzo nella neve. Macchina da presa fissa. Campo lungo con il ragazzo a figura intera e sullo sfondo il solito andirivieni delle piccole figure. Un uccello entra da sinistra e va a posarsi sulla testa del ragazzo che lentamente lo prende in mano.

Nuove immagine di repertorio. Mao e il libretto rosso.

Meno di cinque minuti, il regista procede per accumulo. Scene diverse, codici espressivi diversi per un risultato altamente poetico ed emozionale. Arte visiva al massimo livello.

 
 


 



La poesia è del padre di Tarkovskij, Arsenij. I capolavori sono di Bruegel, metà del '500.

martedì 2 ottobre 2012

THE WATERBOYS / W.B. YEATS

AN APPOINTMENT WITH MR. YEATS
THE WATERBOYS - 2011





Progetto che il leader dei Waterboys Mike Scott coltiva da almeno un ventennio, quello di mettere in musica liriche del ‘bardo’ irlandese William Butler Yeats e che si concretizza nel tour del 2010 che diventa CD nel settembre dell’anno successivo. Poesie in musica, impresa non facile. Penso a Leo Ferré che canta Baudelaire, scegliendo di dare enfasi al testo e sottolineando con un pianoforte espressivo ma non invadente. John Cale ha musicato variepoesie di Dylan Thomas per le quali l’accompagnamento musicale è al contrario molto ricercato, in certe versioni anche orchestrale. Nell’album An appointment with Mr. Yeats Mick Scott compone un disco di tradizionale musica folk-rock con una strumentazione di base tipicamente rock: chitarra basso batteria tastiere a cui si aggiungono, a seconda dei brani, altri strumenti come flauto, violino, oboe utilizzati per colorire e caratterizzare i singoli componimenti. Il risultato è un suono enfatico, carico, decisamente old style. A questa base musicale molto seventy si aggiunge la parte vocale che deve veicolare i testi del poeta. La voce principale è quella di Mike, molto impetuosa, della quale colpisce la sottolineatura delle singole parole, a cui si deve la facile comprensione dei testi. Altre due voci, più controllate, fanno da contrappunto all’anche troppo espressivo Scott. Molto adeguata e di schietto sapore Irish quella femminile.

Ad ascoltare un disco come questo non si può certo sobbalzare per sorpresa e sperimentazione anzi, i pregi sono proprio nella sua prevedibilità. Nel senso che l’ascolto è sì prevedibile, ma è anche rassicurante. Si anticipano le mosse, ma in tal caso ci si può concentrare sui testi, e le ballate rock molto tradizionali veicolano benissimo le poesie di Yeats. E non è detto che scegliere un impianto musicale che mescola Pink Floyd, Dylan e i Led Zeppelin, con una spruzzata di PFM sia, nel 2011,  poi così scontato. Fatto sta che alcuni pezzi risultano gradevolissimi, pur se scontati. Due su tutti.

Sweet dancer: Introduzione strumentale con violino accattivante / 1° verso voce maschile / coro voce maschile e femminile con ripresa delle note iniziali di violino / 2° verso / coro / ponte cantato dalla voce femminile / coro / ripresa 1° verso / coro / coda strumentale  (Intro  ABABCBAB Coda). Il coro, breve orecchiabile e ripetuto si imprime subito in testa, così come la semplice linea del violino a cui rispondono i tocchi del piano. Esecuzione che avvolge alla perfezione la poesia che celebra la virtù della danza e il piacere di guardare una ballerina che volteggia, estasiata sull’erba.

The girl goes dancing there
On the leaf-sown, new-mown, smooth
Grass plot of the garden;
Escaped from bitter youth,
Escaped out of her crowd,
Or out of her black cloud.
Ah, dancer, ah, sweet dancer!

If strange men come from the house
To lead her away, do not say
That she is happy being crazy;
Lead them gently astray;
Let her finish her dance,
Let her finish her dance.
Ah, dancer, ah, sweet dancer!

 
September 1913. Oltre sette minuti per una tipica ballata che ripete  le stanze che finiscono con un distico avente funzione di coro, ripetuto nel lungo finale. La poesia di Yeats è molto bella. Esempio di lirica civile rivolta al popolo, inizia con immagini di ordinaria vita borghese tutta intenta alle piccole attività commerciali (ungere il cassetto della cassa, aggiungere un mezzo penny al penny) per poi sferzare gli ascoltatori sulla attuale condizione dell’Irlanda che non lotta più come al tempo degli eroi nazionali morti per la patria, Romantic Ireland's dead and gone / It's with O'Leary in the grave.