cinema

martedì 30 aprile 2013

GUALTIERO JACOPETTI / FRANCO PROSPERI

ADDIO ZIO TOM - 1971

 
 
 
“Questo film è un documentario. I fatti sono storicamente avvenuti ed i personaggi sono realmente esistiti”. Ma basta la presenza di una telecamera a rendere meno reale la realtà e qualsiasi documento storico, essendo opera dell’uomo, reca una visione soggettiva di quanto documenta.
Le opere di Prosperi – Jacopetti sono film. Documento, Storia, Realtà, Verità sono categorie che possono alimentare dibattiti da cineforum. Le opere di Prosperi – Jacopetti sono film, ed hanno al centro la relazione autore-spettatore. E questo rapporto mira soprattutto a spiazzare sia il singolo spettatore che potenziali gruppi di spettatori socialmente costituiti.
Quando, per esempio, si afferma che lo schiavista Jean Lafitte faceva soldi mercificando i neri e al contempo sovvenzionava Marx,  si vuole colpire un ben definito obiettivo socio-politico. Così come, in altri momenti del film, si vogliono colpire ulteriori gruppi organizzati quali i neri pro-sistema, i neri anti-sistema, i progressisti bianchi, gli evangelici, i cattolici…
Addio Zio Tom, come gli altri Mondo film, è un canale comunicativo aperto che lo spettatore può subire oppure rifiutare interrompendo la visione. Perché questo è il cuore della poetica di Prosperi e Jacopetti, stabilire un contatto, sgradevole nei contenuti ma accattivanti nella forma, con chi guarda.
I due “giornalisti d’inchiesta italiani cattolici apostolici romani schiavi del fascino del peccato” come vengono definiti nel film, vogliono sorprendere e bastonare tutti. Atteggiamento lucidamente sadico il cui risultato cinematografico  è speculare a quello di certi film di Pasolini. Ma l’immagine riflessa dallo specchio è un’immagine capovolta, opposta. Difatti Prosperi e Jacopetti non denunciano, non impongono tesi, piuttosto documentano e giocano. O meglio si prendono gioco. Sfrenata azione ludica che non risparmia nessuno e che si sostanzia in un evidente amore per il cinema.
Addio Zio Tom è politicamente scorrettissimo, violento, irriverente, iconoclasta nichilista e, unico difetto, un po’ troppo lungo, ma contiene tante belle idee che lo rendono, ancora oggi, stupefacente.


domenica 21 aprile 2013

PHILIP LARKIN

HIGH WINDOWS
PHILIP LARKIN - 1974

Philip Larkin e Monica Jones nel 1950


Nel 1974 usciva High Windows, quella che sarebbe stata l’ultima raccolta di poesie di Philip Larkin, figura centrale della scena poetica inglese – e non solo   del secondo Novecento. Si tratta di uno smilzo libriccino di 24 testi che conferma i tratti essenziali che caratterizzano l’intera opera di Larkin e che pongono il poeta quale voce opposta e speculare, ma altrettanto grande, a quella di Auden.

Se la poesia di Auden è intellettualistica e letteraria e si afferma subito con l’auctoritas di un classico, quella di Larkin segue i percorsi della quotidianità, privando i grandi temi trattati (lo scorrere del tempo, la solitudine, la memoria, la morte) del pathos retorico e di tutti gli artifici e i concettismi che farciscono la poesia contemporanea.

Sembra che un colpo di spugna abbia cancellato la storia della letteratura e che sulla lavagna il gesso abbia lasciato esilissimi segni sui quali Larkin sovrascrive, con molta autoironia, i suoi pensieri esistenziali-narrativi.

La poesia di Larkin ha infatti un’anima narrativa e si svolge in modo piano, chiaro, con lo scopo di farsi intendere, non decifrare, dal lettore, che subito entra in contatto col poeta. Poesia istintiva, si potrebbe dire, perché è immediatamente comprensibile, ma poi, leggendo e rileggendo i testi, ci si accorge della profondità da cui attingono le semplici parole affiorate sulla pagina.

Con High Windows Larkin riesce a porre il lettore allo stesso livello del poeta e anche per questo lo ringraziamo.

 

lunedì 1 aprile 2013

ILYA E EMILIA KABAKOV

L'UOMO PIU' FELICE
VIDEO INSTALLAZIONE - 2000

Foto:

I due geniali artisti, esuli sovietici, sono 'in tour' con la loro opera The Happiest Man. Dopo Parigi, lo scorso anno all'Hagar Bicocca di Milano e attualmente a Londra, la video installazione concettuale, a tredici anni di distanza dalla prima presentazione al pubblico, sempre più si afferma come elemento imprescindibile nel panorama dell'espressione artistica contemporanea.

L'ambiente è costituito da una sala cinematografica, simbolo della comunicazione di massa del Novecento sul cui schermo viene proiettato un film anch'esso in tutto riferibile all'estetica di metà secolo scorso. L'estetica è il risultato di una straniante ma decisamente aderente sovrapposizione tra il musical hollywoodiano e il realismo sovietico. Compagni sani e felici che cantano e ridono si succedono sullo schermo. Nella sala, tra le file di poltroncine, c'è un piccola costruzione, un monolocale per il cui arredamento è stato saccheggiato un mercatino di modernariato, con letto e tavolo apparecchiato per il rito del tè. La finestra che dovrebbe affacciare sull'esterno inquadra esclusivamente le facce felici di celluloide.

Non c'è altro da aggiungere, e si resta sbigottiti.



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