cinema

mercoledì 25 dicembre 2013

COLIN STETSON

NEW HISTORY WARFARE VOL. 3:
TO SEE MORE LIGHT - 2013



Terzo capitolo della trilogia New History Warfare, To See More Light è una composizione portentosa. L’approccio di Colin alla creazione/esecuzione delle sue realizzazioni artistiche è quello di un atleta che si prepara ad un’impresa e di un mistico in attesa dell’illuminazione. 

La sua musica è infatti molto corporea e per eseguirla è necessaria una preparazione fisica costante ma è anche eterea e spirituale. One man band, Stetson produce da solo e senza sovraincisioni quello che ascoltiamo, con il suo sax basso ma anche con i suoni espressi dal corpo (mani che percuotono l’ottone, vibrazioni diffuse dallo sforzo di emissione del fiato, gemiti e mugolii) catturati da diversi microfoni applicati a varie parti dello strumento e su se stesso.

Il sax basso di Colin Stetson ha un’anima che assume le forme sonore più diverse. È percussione metallica, è fiato, ovviamente, ma in certi passaggi diventa quasi strumento ad arco e in altri è canto straziato o suadente. In questo To See More Light c’è anche il supporto, in quattro brani, di Justin Vernon, anch’egli pronto a sperimentare diverse modalità canore oltre al suo tipico falsetto come la calda coloritura da gospel e perfino un ringhio rauco e rabbioso.

L’opera è una lunga suite divisa in 11 stazioni che sono i momenti di un percorso spirituale ascensionale che porterà l’anima/soffio ad affrontare varie prove per riuscire a conquistare la verità, l’amore, la luce. To See More Light è fondamentalmente uno spiritual impregnato di fede, con molti riferimenti alle scritture ed è anche, come molti spirituals,  una lotta tra luce e tenebra che si risolve a vantaggio della prima dopo aver superato momenti di forti contrasti.

And The Truth apre il percorso. La Verità cantata come un inno carico di tensione da JustinVernon fa da introduzione all’opera vera e propria che con il successivo Hunted rimanda quasi alla cacciata dall’Eden. Qui il sax riesce, come in altri momenti dell’opera, a svolgere una triplice funzione: produrre un ritmo ossessivo di fondo, costruire strazianti scale anti melodiche e colorire con suoni corollari per dare maggiore profondità alla costruzione. 

Le antimelodie fanno presagire una perdizione e un fallimento ma giunge la quiete agitata di High Above A Grey Green Sea. L’anima si è innalzata, il fallimento è momentaneamente scongiurato e il sax si fa voce, stanca ma felice di poter contemplare il mare dall’alto.

Dopo un breve momento di passaggio, l’inquietudine torna con Brute. La voce è un latrato furioso, il sax è puro ritmo con squarci metallici da chitarra distorta. La tenebra sta per spegnere la luce. Ed ecco di nuovo la pace, questa volta più consapevole.

L’anima /soffio messa alla prova si sta fortificando e assume coscienza di sé e può esprimersi nella bellissima Among The Sef. Si giunge alla scritturale Who The Waves Are Roaring For, che richiama il passo del Vangelo di Luca 21:25  “There will be signs in the sun, moon, and stars; and on the earth anxiety of nations, in perplexity for the roaring of the sea and the waves” il Vangelo continua con queste parole:  “Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Allora gli uomini vedranno il Figlio dell'uomo venire su una nube con potenza e gloria grande. Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina”.

La liberazione deve però passare attraverso una cerimonia salvifica, ben espressa dal momento clou dell’opera, la lunga To See More Light. La luce si può vedere dopo una salmodia tripartita che dura 15 minuti e che nella terza parte inscena una litania in crescendo scandita da un effetto di bordone che dà origine a un’atmosfera di ritualità arcana e coinvolgente.

Ora siamo certi che riusciremo a vedere la luce e siamo pronti per il gospel standard cantato da Justin, What Are They Doing In Heaven Today? , che conduce al finale. Una pausa con il fiato che è contemporaneamente percussione, contrabbasso e voce e la chiusura con una serie di spirali che sanciscono la conclusione del percorso.




domenica 22 dicembre 2013

ORSON WELLES

IL TERZO UOMO
CAROL REED - 1949




“Don't be so gloomy. After all it's not that awful. Like the fella says, in Italy for 30 years under the Borgias they had warfare, terror, murder, and bloodshed, but they produced Michelangelo, Leonardo da Vinci, and the Renaissance. In Switzerland they had brotherly love - they had 500 years of democracy and peace, and what did that produce? The cuckoo clock. So long Holly.”

Vienna, all’indomani della Seconda Guerra Mondiale. La città è divisa tra gli americani e i loro alleati e i sovietici. Siamo all’inizio della Guerra Fredda. Una cortina di ferro sta calando sull’Europa..

Protagonista di questo noir sui generis è l’insignificante Holly Martin, scrittore fallito, senza un soldo, senza donne e senza amici. O meglio, un amico, l’unico, ci sarebbe: Harry Lime, che lo ha richiamato a Vienna con la promessa di un impiego. Ma appena arrivato nella umida e fredda città ex-felix, trova una brutta sorpresa, la prima di una serie che non produrrà cambiamenti nel personaggio che, al contrario, alla fine del film rimarrà ancora più solo.

Il terzo uomo è un film di culto per diversi motivi: sceneggiato da Graham Greene, allora scrittore in ascesa; ambientato in una decadente/decaduta mitteleuropa; interpretato oltre che dal perdente Joseph Cotten e dalla risoluta Alida Valli, dal luciferino Orson Welles; fotografato magistralmente da Robert Krasker al quale andrà l’oscar per la migliore fotografia.

L’opera vive dell’assenza del suo personaggio sulla scena. Tutto ruota attorno ad Harry Lime che appare dal buio tagliato da una lama di luce solo nella parte finale del film. La personalità di Welles si impone così come la sua presenza fisica, spesso inquadrata obliquamente dal basso verso l’alto in forte contrasto chiaro/scuro.


È di Welles la battuta memorabile degli orologi a cucù, scritta dall’attore su un tovagliolo e portata sul set all’insaputa di tutti. 







domenica 15 dicembre 2013

LOU REED

2 MARZO 1942 - 27 OTTOBRE 2013




Lou e la moglie Laurie





IL CANTO FUNEBRE DELL’ANGELO NERO

Le mille possibilità del suo destino
gli si sono presentate su un piatto
a lui la scelta di cosa può perdere

Non un paese di spettri insanguinati tutto avvolto nel sonno
dove l’angelo nero piangeva
non la strada di una vecchia città dell’est
ha dovuto scegliere

E il compagno di vagabondaggio ha camminato tutta la notte
coi capelli sul viso
lungo un taglio slabbrato dal coltello di G.T.

Le chiacchiere delI’Oratore hanno continuato fino all’alba
finché non dicemmo addio al suo cranio – urlo acuto
lo splendore abbagliante del rosso che cerchia e che segna col tempo
consapevolmente instillato
su pattini da ghiaccio che raschiano schegge dalle campane

Bocca tagliata dimenticanza dolorosa del rasoio sanguinante
resti antisettici tubano l’ addio
così t’involi verso la consolante neve bruna dell’est
hai da scegliere, scegliere ancora


I resti del sacrificio rendono difficile dimenticare
da dove vieni le secrezioni dei tuoi occhi
servono per rendersi conto del successo
scegli ancora

E il ritornello del vagabondo del sacrilego eremita
per la perdita di un cavallo se ne andarono i visceri e la coda di un ratto
ritorna, scegli di andare

E se il terrore delle epifanie ti ha ridotto al disonore
che la tua testa sia dondolante
scegli da che parte stare

Se la pietra schizza via la didattica si scinde
abbandona i colori delle tracce del topo
non urlare nel frattempo tenta

Se scegli, se scegli, prova a perdere
perché perdendo ciò che resta si dà inizio
si dà inizio al gioco
I Chi-Chi Chi Chi
Ka Ta Ko scegli di scegliere
scegli di scegliere, scegli di andare

The Black Angel’s Death Song, 1965
Lou Reed e John Cale
Traduzione di eustaki
 


mercoledì 11 dicembre 2013

THE WORST ALBUMS OF THE YEAR

CLASSIFICHE - CD 2013


Dicembre, mese di resoconti e classifiche. A parte i best, parliamo prima dei worst. Nel senso non dei peggiori in quanto schifezze ma in quanto delusioni, sopravvalutazioni, incaponimenti collettivi.

COUNT DOWN 

8. AM – Arctic Monkeys
Schitarrate retrò, pulsazioni hi-fi, voce sovraesposta, con falsetti uh uh in controcanto. Cosa non si fa per uscire da un cliché.

7. The Next Day – David Bowie
Album inutile, come da troppo tempo sono le uscite del Duca. Un muro rock indistinto dove anche la voce ripete senza convinzione formule già intese.

6. MBV – My Bloody Valentine
La monotonia assoluta. Se la lunga assenza ha prodotto un pastone simile meglio restare in silenzio.

5. Modern Vampires In The City – Vampires Weekend
Melodie carine e zuccherose. Leggerini leggerini, si fanno ascoltare senza troppo impegno ma da qui ad essere tra i best dell’anno per molte testate.. .e comunque tre passi indietro rispetto a Contra.  

4. Yeezus – Kanye West
Il megalomane KW sbrodola su di sé e per comporre una canzone come si deve ha bisogno di Justin Vernon.

3. The Electric Lady – Jenelle Monáe
Dopo il bel disco precedente ci si attendeva il capolavoro. Lei ce la mette tutta (anche troppo) e deve affidarsi a numerosi feat.s di lusso. Delusione

2. Random Access Memories – Daft Punk
I francesi dal ‘Mida’s Touch’ come titola il Guardian, fanno una ruffianissima copia della un tempo ostracizzata disco e tutti gridano al capolavoro. Da non crederci.

1. Reflektor – Arcade Fire

I canadesi ‘that dare to be great’ come afferma Pitchfork, fanno una ruffianissima copia del Bowie berlinese e del Byrne Talking Heads e 
tutti ci cascano. Roba da matti. Bufala dell’anno.

martedì 10 dicembre 2013

ASGHAR FARHADI

IL PASSATO - 2013




Dopo il clamoroso exploit di Una separazione, Asghar Farhadi trova capitali francesi e per la prima volta gira fuori dall’Iran. Come già nel film precedente, la famiglia è al centro della storia, scritta e sceneggiata dallo stesso regista.

Molto sicuro di sé, Farhadi gira in Francia come se fosse l’Iran e Parigi non è tanto diversa da Teheran. E già questo non farsi intimidire dal peso del Paese europeo è un punto a suo favore. Di francese c’è solo la brava Bérénice BejoI personaggi infatti hanno le più diverse origini (Samir, Ahmad, Naima, Shahryar, Fouad), come si conviene ad ogni metropoli globale, ma le dinamiche sono sempre le stesse. Donne isteriche e stressate; compagni depressi, assenti e comunque indecisi; figli abbandonati a loro stessi che sviluppano presto gli anticorpi per affrontare il duro squallore della vita. 

Il passato è costruito per slittamenti. Da un personaggio all’altro, da un’interrelazione all’altra (tra due ex compagni, tra due rivali in amore, tra madre e figlia, tra titolare e commessa…) si susseguono a cascata le menzogne, i segreti traditi, le verità taciute, in un sovrabbondanza di situazioni che sono allo stesso modo banalmente quotidiane ed eccessivamente estreme. Il film lascia la sensazione di essere troppo farcito.


Se in Una separazione le due famiglie opposte erano narrate con mano perfettamente equilibrata, il ménage allargato de Il passato è più difficile da tenere sotto controllo.

domenica 8 dicembre 2013

NICCOLO' MACHIAVELLI

IL PRINCIPE - 1513


È la prima vera prova della milizia tanto voluta. Il generale Ramon de Cardona all’ossidione di Prato con le truppe mercenarie ispano-papaline pregusta il sacco. 

Il 29 agosto, anno 1512, i pratesi si rifugiano nelle chiese e nei conventi, pregano e aspettano gli aiuti da Firenze. Gli aiuti tardano ma sarebbero comunque stati pochi e mal guidati dal vecchio capitano Luca Savello. C’è chi giurerà di averli visti fuggire non appena resisi conto che la soldataglia, dalle scale appoggiate alle mura, si riversava ormai a frotte nella città. 

Niccolò è subito informato della disfatta e sa che la presa di Prato significa che i Medici rientrano a Firenze. Il 31 agosto il gonfaloniere Soderini fugge dalla città pronta ad inchinarsi all’ingresso di Giuliano, che si reinsedia nel palazzo di Via Larga il giorno seguente, 1 settembre.  

Niccolò sa che ha i giorni contati ma non vuole fuggire. Vuole essere testimone dell’ultimo degli sconvolgimenti eccezionali avvenuti negli ultimi anni. Ma ha il destino segnato.  Il 7 novembre è rimosso dal suo incarico di segretario dei Dieci. Tre giorni dopo gli fu commessa una grossa multa e gli fu vietato l’ingresso a Palazzo Vecchio. Infine, accusato di aver complottato contro i Medici, finisce in carcere e subisce la tortura. 

Liberato, ha l’obbligo di risiedere fuori città, presso il suo podere dell’Albergaccio. Qui, tra l’uccellare ai tordi e il giocare a cricca e a tricche e tracche, rimugina sul suo destino e sulla sua mala fortuna. E il ragionare tra sé sulle cose di stato e sul passato gli fa immaginare come potrebbe distogliersi dal rotolare i sassi per la via. Lascia da parte il Tito Livio e con tremore di rabdomante coglie lo sgorgo che zampillerà nel Principe. 

Siamo nella primavera del 1513. E fan quest’anno i cinquecento anni. Grazie Niccolò.