cinema

martedì 27 gennaio 2015

HOLOCAUST MEMORIAL DAY

GENNAIO, 27
GIORNO DELLA MEMORIA




Cadono nella notte sinistra i tonfi plumbei di quattro stivali Nazisti che passano nella strada sotto a noi. Mostruosa regolarità del passo teutonico. Cosi nella notte astrologica cammina 1 Golem. Di fronte alla meccanicità di questo passo, di fronte al suo automatismo, il passo degli altri popoli, di tutti gli altri popoli, è un passo «fatto a mano». Voi li credete uomini costoro, e sono in verità casse di esplosivo montate su un paio di gambe automatiche, che si muovono per impulso di un maligno e inesorabile congegno.

Siamo in cinque, chini sulla radio, a frugare nel groviglio delle lingue ostiche, che si accavallano nel minimo volume di voce. Passa attraverso la cassetta sonora un nastro di favelle irte di consonanti, come un ramo di spine. D'un tratto all'apparire di una voce francese, si apre una radura in mezzo alla foresta delle lingue. La voce: «Abbiamo notizia che in Francia, in un campo di concentramento, è morto lo scrittore Max Jacob...».


Per gli altri quattro questa notizia non ha senso; non ha senso «individuale». Per me, sì: per me soltanto.  Ed è una notizia tremenda. Una notizia nella quale convergono più notizie: più significati: tutti i significati di questa non solamente guerra, ma « ira di Dio» che i Gòlem hanno scatenato sul mondo. Guerra, e assieme deportazione e sterminio di popoli; guerra e assieme crudeltà e tortura; guerra e assieme strozzamento di quanto è umano quaggiù e ha forma, sentimento, dignità di «uomo»

La notizia che l'uomo più libero del mondo, lo scrittore di mano più leggera, il poeta più pratico di gioco - la notizia che Max Jacob è morto in un campo di concentramento (era di razza ebraica e doveva essere vicino ai settant' anni) mi apre tutta la spaventevole cavità di questa negra bocca che si è spalancata e va ingoiando alla rinfusa il bene e l’onesto, la vita e il ricordo, la realtà e la finzione, la poesia e la prosa, e la stessa facoltà che aveva l'uomo di morire «secondo natura». Anche la morte - nostro estremo rifugio: anche la morte il tedesco l'ha deformata e l'ha uccisa.

ALBERTO SAVINIO, Roma, inverno 1944










Le opere fanno parte del ciclo 'L'arte della guerra' di Bruno Canova (1970 - 1980)

lunedì 26 gennaio 2015

THE DROP

CHI E' SENZA COLPA
MICHAEL R. ROSKAM - 2014



Al posto delle chiese cattoliche sorgeranno condomini dai vetri colorati. Il quartiere della grande città è un villaggio dove tutti si conoscono. Polacchi, latinos, ceceni. Il bar in fondo alla strada è un ritrovo di amici, dove si parla di Super Bowl, dei prossimi tagli al welfare e come si farà con i vecchi all’ospizio. Vita quotidiana circoscritta entro i limiti di qualche isolato. Manhattan è lontana, sull’altra riva. 

Nelle esistenze vuote dove tutti si conoscono ma sono e si sentono profondamente soli, possono capitare fatti insoliti che vengono anch’essi accolti come se fossero routine, incapaci di scalfire cuori inariditi. Braccia amputate, mazzette di banconote insanguinate, cadaveri disciolti nella soda caustica, esecuzioni spicciole senza troppe esitazioni.


La trama è solida, tratta da un romanzo di Denis Lehane (Mystic River, Shutter Island)  che lo stesso autore ha sceneggiato per il film. Il regista è il belga Michaël R. Roskam, conosciuto grazie al bel Rundskop. I colpi di scena avvengono quasi casualmente e li accettiamo con la stessa rassegnazione con cui vengono accettati dai personaggi del film. 

Ruoli ben definiti, anche quelli secondari e recitazione di alto livello. Colonna sonora misuratissima e fotografia che si adegua perfettamente alle situazioni. Un film senza effetti, di vera sostanza, che trasmette un messaggio atroce: quanto sia ormai diventato banale il male e quanto ci si stia assuefacendo a questa verità.


domenica 25 gennaio 2015

UMBERTO ECO

NUMERO ZERO - 2015


L’ultima ‘fatica’ di Eco è puro divertissement. Un romanzetto televisivo che si consuma in un lampo come la lettura ”di una rivista per coiffeuse pour dames e sale d’aspetto dei dentisti”, per citare lo stesso Eco. O meglio, come lo script di una trasmissione di approfondimento tipo Rai Storia oggi, Rai Tre nel ’92, per dare un senso all’aggettivo televisivo. E nelle ultime pagine si verrà a sapere che tutte le colpe – o i meriti – sono, guarda caso, di Corrado Augias e del suo Telefono Giallo. 

A tal proposito, ricordo una puntata di quella trasmissione targata Guglielmi in cui si affrontava un fatto di cronaca, avvenuto la notte di San Giovanni nella necropoli etrusca di Veio. Un ospite in studio metteva in evidenza che “proprio nella stessa notte inizia l’ultimo romanzo di Umberto Eco”, e Augias ammetteva candidamente di non saperlo.

La lettura di Numero Zero è spassosa. Le riunioni di redazione che vogliono attuare campagne diffamatorie, strumentalizzazioni, allusioni surrettizie sono quelle già descritte, per non andare troppo lontano, da Bellocchio in Sbatti il mostro in prima pagina. Anche se il regista usava una chiave politico-psicologica, mentre Eco usa il registro semiologico-enigmistico, molto più adatto ad una graphic novel.

Altro tema è quello del complotto, chiodo fisso di Eco, che se la cava da maestro nel condensare in poche pagine tutti i misteri d’Italia, dalla morte di Mussolini alla strage di Capaci. È questa la parte migliore del romanzetto, che viene narrata dal giornalista Braggadocio. 

Interessante sarebbe fare l’indice dei nomi citati, tra i quali salterebbe agli occhi un’assenza. Quella di Mino Pecorelli, ma forse proprio il giornalista di OP potrebbe celarsi dietro al vero Tusitala di Numero zero, Braggadocio, appunto. Il quale, tra l’altro, ripesca, genialmente, la storia di Antonio Boggia.

Se questa è la parte riuscita, debole, debolissima è la vicenda ‘rosa’ che lega il narratore principale a Maia. Nelle battute finali assistiamo ad un dialogo che annovera battute quali: “Il mondo è un incubo amaro. Io vorrei scendere, ma mi hanno detto che non si può, siamo su un rapido senza fermate intermedie”.

La lettura di Numero Zero è divertente, gustosa, intelligente, vera letteratura di consumo ma non definiamolo un capolavoro. Sciascia, per fare un esempio, è ben altra cosa.


martedì 20 gennaio 2015

Il JIHAD IN CLASSE

DOPO PARIGI - GENNAIO 2015


Sono anni che nelle mie classi affronto temi quali l’Islam, il Medio Oriente, il terrorismo islamista, l’islamofobia, la questione israelo-palestinese. I fatti di Parigi e la forte copertura mediatica ad essi dedicata  hanno scosso molto i ragazzi, i quali hanno manifestato l’esigenza di conoscenza. Il forte impatto iconico di alcuni momenti della cronaca degli ultimi mesi, quali le decapitazioni dell’ISIS, il Nobel per la pace a Malala, l’esecuzione sul marciapiede di Parigi, lo slogan virale je suis Charlie,  ha suscitato interesse e voglia di approfondimento in alunni altre volte passivi e annoiati.
In questi giorni ho affrontato l’argomento partendo dalla lettura ed analisi di un articolo di Tahar Ben Jelloun, il quale, secondo me, già dal titolo, possiede una carica dirompente in quanto rovescia l’idea corrente e fa degli islamici le prime vittime della violenza jihadista. Infatti, subito alla lettura del titolo, si sono alzate le mani per intervenire. 

Ecco l’articolo come è stato presentato in classe su grande schermo.