cinema

giovedì 29 luglio 2010

FLYING LOTUS

COSMOGRAMMA
FLYING LOTUS - 2010
La cover alchemica confeziona materia sonora per un viaggio cosmico.

Si parte. Drum machine in funzione a scandire il ritmo di marcia, i sint sottolineano i vari momenti della traversata. Scorribande di basso, pizzicati di arpa, arabeschi di sax.
Flying lotus con qualche eccellente compagno d’avventura sembra proprio un alchimista nel suo antro intento all’opus, alla definizione del segno che riproduce la molteplicità dell’universo. I segni, i simboli, gli emblemi sono suoni, elementi auditivi che compongono ambienti in cui coesistono il drum and bass, Kid A, Sun Ra, Steve Reich ed altro ancora.
Quasi un elettrojazz neo progressivo. Il risultato è notevole anche se in qualche passaggio la materia sfugge di mano al suo artefice.

THE ROOTS

HOW I GOT OVER
THE ROOTS - 2010
Il rap/hip-hop è un genere rigido, i pezzi seguono schemi ripetitivi in cui l’andamento ritmico-melodico è dato dalla cadenza della frase enunciata. Vi sono poi le variatio che possono riferirsi alla lingua usata, all’impegno dei testi, all’inserimento di strumenti particolari o a tutto ciò che è extra-track (etnia, look, gestualità).
I Roots sono un gruppo al quale il termine hip-hop, va ormai stretto e lo conferma questo loro ultimo lavoro, How I got over, il nono in studio.
14 tracce costruite proprio come una continua variazione all’interno dello schema e per buona parte delle volte il gioco riesce, grazie anche alla flessibilità della line up. Molte le collaborazioni, alcune insolite, come l’arpista Joanna Newsom, altre quasi scorrette come John Legend ma alla fine il risultato è sorprendente: un disco rap che non annoia.  Musicalmente How I got over è molto raffinato nel quale le tastiere hanno un ruolo decisivo ma non invadente e la ritmica non è mai aggressiva. Su questa base si intrecciano frasi vocali in combinazioni diverse a formare dialoghi melodici efficaci. Disco ‘ottimista’ dagli stessi Roots definito "depicting the everyman's search for hope in this dispiriting post-hope zeitgeist."

mercoledì 28 luglio 2010

UMBERTO SABA / NICOLAS DE STAEL

CORRISPONDENZE

UMBERTO SABA

Sui gradini un manipolo sparuto
si riscaldava di se stesso.
                                    E quando
- smisurata raggiera - il sole spense
dietro una casa il suo barbaglio, il campo
schiarì il presentimento della notte.
Correvano su e giù le maglie rosse,
le maglie bianche, in una luce d'una
strana iridata trasparenza. Il vento
deviava il pallone, la Fortuna
si rimetteva agli occhi la benda.

Piaceva
essere così pochi intirizziti
uniti,
come ultimi uomini su un monte,
a guardare di là l'ultima gara.

TREDICESIMA PARTITA da Il Canzoniere


NICOLAS DE STAEL Parco dei Principi 1952

NICOLAS DE STAEL

MARTIGNY - NICOLAS DE STAEL
Alla Fondazione Pierre Gianadda di Martigny, nel cantone svizzero del Vaud, in retrospettiva gli ultimi dieci anni della vita di Nicolas de Staël. Tutti i capolavori, concentrati tra il 1945 e il 1955. La guerra, gli stenti, la morte della moglie, il prodigio dell’arte e il successo internazionale, il suicidio.

De Staël compie il suo apprendistato studiando i maestri, fiamminghi e italiani, affinando la tecnica del disegno. Ma è la natura più dell’arte ad ispirarlo. Partendo da uno spunto naturalistico procede per astrazioni e le forme diventano piani di colore e materia, spesso stesa copiosamente con il coltello. La mostra documenta le fasi principali della produzione artistica dell’esule russo e soprattutto trasmette la sua divorantefuria creativa. Tutto ciò che vede lo ispira, un albero, i tetti, un paesaggio, una partita di calcio e tutto diventa colore. Una donna nuda sul letto è forma rapida e statica su campo rosso lacca, corpo flesso e profilo montuoso, sempre in equilibrio tra figurativo ed astratto. La pittura di de Staël è estasi ansiosa, è la bruciante necessità di fermare ciò che scorre. Un tuffo nella vita che porta inevitabilmente alla morte.

GABRIEL OROZCO

BASILEA - GABRIEL OROZCO
Basilea si conferma una delle capitali europee dell’arte contemporanea e anche quest’estate ricco è il calendario di proposte tra gallerie private, fondazioni e istituzioni pubbliche. Grossi i nomi: Matthew Barney, Basquiat, Rodney Graham, ma l’evento centrale è la retrospettiva dedicata a Gabriel Orozco al Kunstmuseum che rappresenta la definitiva consacrazione dell’artista messicano, classe 1962. Dagli esordi dei primi anni 90 ad oggi, l’esposizione, realizzata in collaborazione con il Moma di New York, il Pompidour di Parigi e la Tate Modern di Londra(!!!), dichiara la grandezza assoluta a cui è assunto Orozco, ormai vero artist-star(artist-tsar?) mondiale.

Che dire, il ragazzo ha tutte le carte in regola. Biografia cosmopolitan tra la nativa Mexico City, Parigi e NYC, nomadismo culturale global e contaminazioni ‘multitasking’. Varie le piattaforme comunicative utilizzate. Uso e riuso, le merci, gli oggetti. Ingestione/digestione di segni assimilati e rigettati in composizioni che fanno riferimento un po’ a tutta l’arte novecentesca, dal dada alla pop dal concettuale al postmodern, da Beuys a Jan Fabre. Tra le varie opere, installazioni, sculture, molto belli i Working tables, nei quali l’artista propone al visitatore/fruitore la sua quotidianità che poi è anche quella di tutti noi, in un momento di visione del mondo condivisa che suscita emozione.


Bravo, sì, bravo, però, però… resta il senso di omologazione dell’arte contemporanea, in cui tutti fanno un po’ le solite cose, avendo come base concettuale la riflessione sulla comunicazione massificata nella società delle immagini. Aspettando il prossimo paradigma in grado di aprire nuovi percorsi.

lunedì 5 luglio 2010

JOHN HUSTON

LA NOTTE DELL’IGUANA – 1964

JOHN HUSTON

Tennessee Williams ‘affida’ a Huston un dramma senza plot, in cui sono dialoghi ed empatie/antagonismi tra i personaggi a sviluppare la narrazione.

La vicenda si svolge quasi interamente su una terrazza di fronte all’oceano, in Messico. Huston, regista anch’esso verboso, si trova a suo agio con il soggetto ma lo gestisce da par suo scrivendone la sceneggiatura assieme al fido Anthony Veiller, inserendo una sfumatura ironica che alleggerisce le intenzioni troppo intellettualistiche di Williams. In particolare lasciando a Burton il compito di impostare il personaggio attorno al quale ruotano le altre dramatis personae, particolarmente assortite e marcatamente eccentriche. E qui si riconosce la stoffa del grande autore: tenere a freno o lasciar andare gli attori; inserire varianti correttive al soggetto; giocare con l’ambiente esterno, un assolato e sudaticcio ‘resort’ tropicale; togliersi lo sfizio di un ammicco scherzoso (il reverendo e Lolita che escono dal mare fa molto Connery-Andress sulla spiaggia dello 007 di due anni prima...).
Film di star, con grande prova di Burton che dà solidità al reverendo poco credibile del play, riuscendo ad essere esaltato, feroce, fragile, disincantato, innamorato, paranoico e comico. Molto Williams e molto brava anche Ava Gardner con la sua sensualità aggressiva smussata da una vena di malinconia. Straniante Deborah Kerr, girovaga puritana, deus ex machina tra il “fantastico e il realistico” che sono i due piani su cui gioca il regista in tutto il film, quasi a farsi beffe del serioso drammaturgo. Come irriverente è anche l’approccio verso la religione, dalla inquietante e notevole scena iniziale in chiesa al “giochiamo a fare Dio” che consentirà di intervenire sul destino di un’iguana.
Magistrale esempio di come anche in un film ‘minore’ possa essere evidente la grandezza di un autore.

JOHN DONNE / MODUGNO / CHAGALL

CORRISPONDENZE

JOHN DONNE

Per nessun altro, amore, avrei spezzato
questo beato sogno.
Buon tema per la ragione,
troppo forte per la fantasia.
Fosti saggia a destarmi. E tuttavia
tu non spezzi il mio sogno, lo prolunghi.
Tu così vera che pensarti basta
per fare veri i sogni e le favole storia.
Entra tra queste braccia. Se ti parve
meglio per me non sognar tutto il sogno,
ora viviamo il resto.

Da Il sogno - traduzione della grande Cristina Campo

MODUGNO/MIGLIACCI Nel blu dipinto di blu

Penso che sogno così non ritorni mai più,
mi dipingevo le mani e la faccia di blu,
poi d'improvviso venivo dal vento rapito,
e incominciavo a volare nel cielo infinito.
Volare ho ho cantare ho ho hoho,
nel blu dipinto di blu, felice di stare lassù,

e volavo volavo felice più in alto del sole ed ancora più sù,
mentre il mondo pian piano spariva laggiù,
una musica dolce suonava soltanto per me.


Volare ho ho cantare ho ho hoho
nel blu dipinto di blu felice di stare lassù.


Ma tutti i sogni nell'alba svaniscon perchè,
quando tramonta la luna li porta con se,
ma io continuo a sognare negl'occhi tuoi belli,
che sono blu come un cielo trapunto di stelle.

MARC CHAGALL Aleko and Zemphira by the moonlight

 

domenica 4 luglio 2010

SIDNEY LUMET

QUEL POMERIGGIO DI UN GIORNO DA CANI – 1975

SIDNEY LUMET

Sidney Lumet, tosto regista di fascia media, molto radical e attento al sociale, dopo una serie di filmotti mai pienamente d’autore e mai esclusivamente da box office, con Quel pomeriggio, più che con Quinto potere, fa il botto.

Oddio, il film è come al solito sottolineato con l’evidenziatore, l’accumulo è esagerato e l’equilibrio non è certo una dote del regista, ma Dog day afternoon dà la scossa e Sonny è, nonostante gli eccessi, figura azzeccata che rimane nel cuore più che nella testa.
Il film è un pistolotto ‘sul ruolo dei media nella società contemporanea’, tema che Welles aveva già affrontato qualche decennio prima con ben altri risultati, ma è anche un robbery movie che ribalta il genere: mai si era vista rapina più improbabile, in cui tragico, comico, melodrammatico e sociologia si incontrano. E’ soprattutto un film che tratta il rapporto individuo-collettività dove il singolo interagisce con la folla che è l’altro protagonista e non a caso le immagini iniziali, bellissime, riprendono, quasi in presa diretta televisiva, in una luce nitida, una New York attiva, sporca e sudata, fatta di gente che lavora, che cammina, che vive. E la ‘gente’ assiste, fisicamente e attraverso i media, all’impresa di Sonny; partecipa e condivide le sue uscite sul marciapiede/palcoscenico.
C’è troppo in questo film ma la visione emoziona e Lumet, pur traballando, riesce a compiere la camminata sul filo con pieno successo, come non era riuscito a fare prima e non riuscirà a fare dopo, nemmeno con l’osannato suo ultimo Onora il padre e la madre che se in certe parti è notevole, nel complesso risulta, come al solito, sovraccarico.





sabato 3 luglio 2010

ASCOLTI DEL MESE

ASCOLTI DEL MESE

GIUGNO 2010

Vecchia generazione, mi piace l’album, nella versione originale, con tutti i pezzi nell’ordine giusto. Dopo decenni di ascolti appassionati cerco l’ellepi a cui legarmi e ci si lega ad un disco, nel bene e nel male, se lo si ascolta, lo si ascolta, lo si riascolta. Ci vuole tempo e diffido di chi in un mese si fa piacere cinquanta cd, diffido ma se ci riesce, complimenti. Con i film è diverso, cambia la fruizione, la ri-visione è rara, se ne possono vedere molti in un mese e amarne tanti, in questo caso ‘a prima vista’.

Anche la modalità di ‘consumo’ è importante. Vecchia generazione, non mi piace l’ascolto autistico in auricolare. Per me la musica deve riempire l’aria, uno spazio. Generalmente i momenti/luoghi sono: in macchina; mentre lavo i piatti(le mie tre donne mi lasciano lavare!) oppure, più raro, sul divano quando voglio ‘sentire un disco’. Altri tempi quando mi chiudevo in camera e urlavo simulando schitarrate con il volume a manetta.
Premessa pallosa ma necessaria per introdurre gli ascolti/riascolti del mese, pochi ma attenti.

PGR ConFusione – 2010
Disco importante per l’incontro Ferretti-Battiato, piaciuto e non piaciuto, alcuni momenti molto belli, altri fastidiosi. Egocentrismo e testi ponderosi che conoscevamo già, la disidratazione di Battiato sposta il baricentro del prodotto verso Alice, Giuni Russo e il Cinghiale bianco. Lo considero il miglior disco di tutta la carriera di Giovanni Lindo. Voto 6½


Ali Farka Touré-Toumani Diabaté Ali&Toumani – 2010
Registrazioni del 2005, prima della morte del grande chitarrista africano, la riverenza e l’ammirazione del più giovane Diabaté si fondano con il rispetto e l’affetto di Tourè verso il virtuosismo del suonatore di kora. Il risultato è un disco ispirato, intenso, che esprime passione unita ad una assoluta perfezione tecnica. Voto 8½


Enzo Carella Se non cantassi sarei Nessuno – 1995
L’Odissea scritta da Pasquale Panella, musicata e cantata da Carella, un concept passato completamente inosservato, riserva alcune piacevoli sorprese. I testi sono al solito arguti e divertenti, le composizioni in certi casi veramente fresche e spensierate, a parte qualche ‘zuccherata’. Certo, c’è molto Battisti e Carella con la voce non ci arriva, ma è un lavoro dignitoso Voto 6½


The Specials The best of The Specials – 2008
Tracklist non perfetta per questo best della miglior band dello ska revival inglese e non solo. Il periodo 1979-1984 dei tre mitici album in studio, dalle cover d’oro (Rudy, Too much too young) alle irresistibili Rat race o Nite klub; le struggenti Doesn’t make e Ghost town, le politicamente impegnate Why e Nelson Mandela… Divertimento intelligente. Voto 7


Faust Faust – 1971
Che dire, parlare di rock è riduttivo. Musica concettuale, il suono diventa ideologia, distruzione e rinascita, per una palingenesi dadaista. Non lo trovo apocalittico o pessimista, ma dissacrante e creativo. Un grande smascheramento del carrozzone pop-rock, con intento quasi moralistico. Tre lunghe tracce, le prime due le mie preferite mentre tutti celebrano la terza, Miss fortune. Voto 8

giovedì 1 luglio 2010

JOHNNIE TO

JOHNNIE TO
Scorciatoie filmografiche  Parte 2

Nel 2003 To gira Breaking news. Film meno leggero di PTU, si basa su un messaggio forte e impegnato che finisce per appesantirlo. Si tratta di una riflessione sul sistema della comunicazione in cui non esiste più la differenza tra buoni e cattivi ma tutto fa riferimento al messaggio, a come esso viene manipolato e recepito dai destinatari, in questo caso i sei milioni che rappresentano il target televisivo di Hong Kong. Rappresentazione del cinismo mediatico nella società contemporanea, BN non è pienamente riuscito, né nella definizione dei personaggi né nello svolgimento narrativo. Ma pur nella piattezza di un film di ordinaria amministrazione, quasi da fiction televisiva, To piazza la zampata che lascia il segno. Gli oltre sette minuti iniziali sono una dichiarazione d’amore verso cinema che sorprende e commuove e ci lascia pieni di ammirazione nei confronti del regista.

Ormai To è autore celebrato anche nella triade dei festival istituzionali europei dove dal 2004 vengono presentati diversi suoi film, tra i quali il suo capolavoro Exiled.

PROLOGO Interno/esterno giorno
Gang divisa sotto il grande albero a Macao
Prima sparatoria, la gang è ancora divisa, nonostante il trasloco e il convivio
Feticci: le foto, i sonagli

15 minuti e non si contano le mosse vincenti di To…

I PARTE Interno/esterno notte
Le due sparatorie ‘di formazione’ e la gang si ricompatta in wild bunch
“dove andiamo? dove andiamo? decidi tu”
“non so un cazzo”
“tiriamo a sorte”

II PARTE Esterno giorno/esterno notte
L’assalto alla diligenza carica d’oro
Il bivacco notturno attorno al fuoco
L’armonica

EPILOGO Interno notte
Il saloon
Mezzanotte di fuoco. La sparatoria in slo-mo,
macchina a piombo sulla carneficina
L’oro s’invola, restano le foto

Quando ero piccolo, di fronte casa c’era una sala, d’estate la sera si andava al cine, quel che davano davano. D’inverno invece ci si andava la domenica pomeriggio e nell’intervallo un triangolo di pizza o la ‘fogaccia con la calda’ e una spuma. Ho visto di tutto, in particolare i western. Exiled è puro cinema, è cinema fatto di cinema, ogni fotogramma è un atto di totale devozione al cinema, che sgorga naturale e sincero. Mi ha riportato alla mente la sala dell’infanzia, le centinaia di immagini scorse sullo schermo, le risate, le battute, i commenti ad alta voce di noi spettatori, quando le visioni erano condivise.