cinema

sabato 29 giugno 2013

PIERO DELLA FRANCESCA IN JAZZ

ITINERARIO D'ARTE E MUSICA
LUGLIO 2013

La Resurrezione
 
 
Negli ultimi anni si è ripetuta una piacevole circostanza: passare qualche giorno in Umbria agli inizi di luglio. Il punto base è Torgiano, piccolo centro su un colle di fronte a Perugia. L’hotel è raccolto, pulito e accogliente, con un bel giardino e una piscina poco frequentata. Hotel che ha soprattutto  il pregio di essere economico. Anche quest’anno faremo il nostro soggiorno a Torgiano e sarà l’occasione per vedere o rivedere Piero della Francesca associandolo a qualche concerto di Umbria Jazz.
Dopo aver riletto due libri importanti e piacevolissimi al tempo stesso quali lo sherlockholmsiano Indagine su Piero di Carlo Ginzburg e l’ormai classico della letteratura italiana del Novecento Piero della Francesca di Roberto Longhi, ci apprestiamo a pedinare Piero e i suoi capolavori. Da Torgiano sono facilmente raggiungibili e la sera salire a Perugia è questione di un quarto d’ora.
Le tappe
La Vera Croce ad Arezzo. Dopo un restauro durato quindici anni, le resse della riapertura, le prenotazioni con largo anticipo per la visita, questa dovrebbe essere l’occasione buona per gustarli in santa pace.
Il Museo civico di Sansepolcro. Il bel Borgo è troppo poco conosciuto. Eccellenti l’allestimento e l’organizzazione del museo. Ogni volta, di fronte alle opere di Piero qui riunite, manca il fiato. Su tutti la Resurrezione, con il Cristo-Gorgone che a guardalo rende di pietra. Tra le altre opere ricordo un languido e sado-maso San Quintino del Pontormo. Fuori Sansepolcro, in Aboca, sosta gastronomica. Il ristorante  non è ai livelli di un tempo ma è sempre di buona qualità.
Tralasciando la Madonna di Monterchi, da vedere in autunno,  si superano i gioghi appenninici passando o da Gubbio o per la Bocca Trabaria, consigliate entrambe, e si punta su Urbino. La città del Montefeltro si lega a ricordi particolari, e tornarci provocherà groppo in gola. Così come la visione dei due dipinti di Piero. La Flagellazione ovviamente ma anche il meno esaltato Madonna di Senigallia che tanto mi colpì. Tralascerei Raffaello per non sovrapporre genialità.
Si torna in Umbria, a Perugia. Veloce visita al Polittico di Sant’Antonio evitando le altre opere della Galleria e via nel jazz dopo aver assaggiato le ghiottonerie della pasticceria Sandri proprio su Corso e aver gustato il caffè miscela Blue Mountain della Giamaica.
 


La Pasticceria Sandri

 
E adesso musica. Interessante il programma di Umbria Jazz 2013. Garbarek. Del musicista norvegese ricevetti in regalo un vinile e un cd da due persone che ricordo sempre con affetto. Tuck & Petty mi rimandano ad un loro concerto di tanti anni fa, a Bientina, nel locale saremo stati in quindici. Jarrett Trio mi si stringe il cuore ma è ormai impossibile ascoltarlo: prezzi inaccessibili, biglietti esuriti e troppo star. Ma il discorso sui prezzi dei concerti è un nodo insolubile. Anche se a Perugia il problema si aggira perché durante UJ la musica avvolge la città e sono numerosi i momenti free per le strade, nelle piazze o ai Giardini Carducci. Altri nomi in cartellone, John Legend che se può far storcere il naso ai puristi, io lo ascolterei volentieri. Ci sono Fresu, Bollani, i Marsalis, Herbie and Chick, Gilberto Gil. Accidenti, da capogiro. Ma la mia attenzione si concentrerà sulla coppia Jeff Ballard – Lionel Loueke da cui mi attendo meraviglie.
 

Loueke e Ballard

venerdì 21 giugno 2013

LEOS CARAX

HOLY MOTORS
LEOS CARAX - 2012



Il signor Oscar, protagonista del sopravvalutato Holy Motors, è metafora fin troppo facile – e quasi ridicola. Immagini di Maray all’inizio, un altro fotogramma verso la fine, prima del siparietto conclusivo delle limousine nel quale si afferma: “È una metafora. Pietra che rotola non accumula esperienza. Siamo noi le pietre che rotolano. Siamo tutti morti e ubriachi. Ci spediranno presto alla rottamazione”.

Le limousine (Holy Mot_rs) come la Isotta Fraschini, il signor Oscar come Norma Desmond e naturalmente Céline come Von Stroheim.

Al centro del film lo scambio di battute più importante tra Oscar e uno dei tanti fantasmi:
“Hai fatto un gran bel lavoro oggi. Ti piace ancora il tuo lavoro?”
“Non credono più in ciò che vedono… Mi mancano le telecamere”
“Che cosa ti fa andare avanti, Oscar?”
“Continuo come ho cominciato, per la bellezza del gesto”
“La bellezza è nell’occhio di chi guarda”
“E se non c’è più nessuno a guardare?”.

Film sul cinema, sulla finzione e l’illusione. Film mortuario con qualche bella trovata (la danza erotica in latex, l’omicidio del doppio) affogata in un marasma di supponenza. Quanto lontane e irraggiungibili dal povero Carax le visioni di Matthew Barney.
 
 

domenica 16 giugno 2013

JIA ZHANG-KE

I WISH I KNEW - 2010
(SHANGHAI LEGEND)





La macchina da presa resta fissa o si muove lentamente a seguire il soggetto inquadrato con movimento prevalentemente da sinistra verso destra, lentezza in qualche caso accentuata dal ricorso allo slo-mo.

Le immagini riprese sono rese con profondità di campo anche quando si riferiscono ad interni spazialmente limitati. Gli ambienti filmati sono avvolti da un pulviscolo che paradossalmente esalta la nettezza di volumi.

È l’atmosfera di Shanghai che il regista vuole ricreare e lo fa magistralmente componendo una sinfonia nella quale si alternano immagini di repertorio, interviste, vita quotidiana attuale con un tema, la presenza di una giovane donna che attraversa la città-opera.

Jia Zhang-ke si sofferma sui volti, sulle quotidiane azioni di gente che lavora, che fatica e si svaga, sul fiume che di azzurro ha solo il nome, sulle strade che si sanno caotiche e inquinate ma che, facendocelo intuire mostrandocele, riesce a relegare gli aspetti negativi in secondo piano grazie alla commovente bellezza delle riprese.

Si potrebbe leggere questo film come la testimonianza delle contraddizioni della Cina e del suo tumultuoso grande balzo in avanti ma sarebbe non solo banale e riduttivo ma anche fuorviante. Questo film è un atto d’amore verso una città ed afferma la volontà di conoscere e far conoscere Shanghai attraverso una poetica che ad ogni inquadratura reca in sé questo amore che anche noi spettatori istintivamente proviamo.

martedì 4 giugno 2013

BILL EVANS

WALTZ FOR DEBBY
BILL EVANS TRIO - 1961

 
 
 
Quando si dice il destino. 1961, il Trio di Bill Evans suona live al Village Vanguard di New York. Tra Bill al piano, Scott LaFaro al contrabbasso e Paul Motian alla batteria scatta un’alchimia speciale. Tutto fila liscio come mai in passato. L’intesa è perfetta e Scott, in particolare, annulla il tradizionale gradino gerarchico che di solito esiste tra il ‘titolare’ di un ensemble e gli altri componenti. Evans è decisamente a suo agio con l’insolita sicurezza del bassista e si diverte a giocare ponendosi sullo stesso livello. Motian intende a pieno la sintonia tra i due e s’inserisce con una sensibilità ineccepibile nel dialogo piano-basso.
Il materiale registrato andrà a realizzare questo Waltz for Debby e l’album gemello Sunday At The Village Vanguard. Forse i presenti nel locale non si rendono  del tutto conto che stanno assistendo e partecipando alla registrazione di un evento che entrerà nella leggenda. Infatti il pubblico si fa sentire con un amabile chiacchiericcio, risate, ordinazioni e qualche educato applauso. Ma anche questi ‘contributi esterni’ sono  un tocco magico che accresce il miracolo.
Il disco si apre con lo standard sentimentale My Foolish Heart, in cui Evans si presenta al pubblico con il suo Trio, ritagliandosi, come è naturale, il ruolo di leader, con Scott che per il momento accondiscende e Paul usa soprattutto le spazzole. Dopo la languida intro, il clima muta con la fantastica Waltz for Debby. La batteria ora è in bella evidenza con il ritmo che asseconda il fraseggio del piano; piano e batteria lasceranno poi ampio spazio al basso. Eccoci entrati nella perfezione sorprendente dell’interplay. D’ora in poi per quasi mezz’ora i tre non smetteranno di creare quello che sarebbe divenuto una pietra miliare della musica contemporanea.
Pochi giorni dopo questa storica registrazione del 25 giugno 1961, a venticinque anni, Scott LaFaro morirà in un incidente d’auto. Quando si dice il destino.