DAVIDE VAN DE SFROOS - 2011
Un album corposo, 15 pezzi. Dopo Pica!, il disco della maturità, Yanez è il disco del successo commerciale. Siamo di fronte ad un fenomeno glocal. La cultura musicale di Davide è quella di ogni quaranta/cinquantenne appassionato di musica: i classici anglosassoni che vanno dal country al rock-blues fino a certo punk folkeggiante; il cantautorato italiano, soprattutto settentrionale. Il tutto collocato “nella bassa padana, nelle balere estive”. In realtà non di Bassa si tratta ma di un po’ più a nord, dalle parti dei laghi, ma di balera estiva c’è il sentore, eccome se c’è. Yanez è un album dalla doppia anima. Ci sono infatti canzoni meditative, con una venatura malinconica che nel complesso tentano di descrivere un universo alla Lee Masters/De André. La prostituta, il matto, il reduce, l’emigrato… Ci sono poi altre canzone allegre e quasi cabarettistiche, da sagra di paese. Quindici tracce sono tante e infatti una leggera sfrondatura avrebbe evitato doppioni e qualche episodio debole e forzato (penso alla plurilinguistica Dove non basta il mare) ma complessivamente il disco regge bene all’ascolto. Un prodotto medio, ben suonato e con testi in certi momenti anche notevoli. Tutto suona molto standard, è come stare un pomeriggio al bar del paese, un tuffo di sanguigna genuinità, di sicurezza data da facce e discorsi che si conoscono da una vita. Yanez è un disco molto semplice. In esso non c’è la filologica finezza di un Creuza de ma, e nemmeno il sussiegoso impegno intellettuale di un Ligabue, per citare due dei riferimenti che sorgono immediati all’ascolto. Ma se il paragone con De Andrè sarebbe impietoso, Van de Sfroos regge benissimo quello con altri campioni nazionali decisamente appannati e ripetitivi. Yanez è fresco e disimpegnato e si fa apprezzare proprio per quello che è. E poi ci sono anche momenti esilaranti, come lo scambio di battute tra uno sdentato e un sordo in Setembra, o la title track. E qui bisogna spendere due parole. I tre minuti di Yanez sono un capolavoro, e la forza del pezzo è quella di un classico. Intanto l’idea di usare i personaggi di Salgari e trasportarli sulla Riviera romagnola, con tutti i luoghi comuni del caso. Il fatto è che questi luoghi comuni sono usati in modo intelligente e leggero utilizzando una koinè linguistica fatta di dialetto e di termini molto up to date entrati ormai nel linguaggio corrente. Dal punto di vista espressivo vale più una canzone come questa per testimoniare lo stato della nostra lingua che tanti discorsi accademici. E anche se la base è il laghée, il codice comunicativo rispecchia l’hic et nunc dell’italiano attuale. Musicalmente si tratta di un ‘tropicalia mariachi’ con screziature irlandesi di violino e fisarmonica, dal ritmo incalzante, una bella tromba e la voce un po’ roca e teatrante di Davide.
adess biciclett e vuvuzela e g'ha el Suzuki anca Tremal Naik…