MARGIN CALL
J. C. CHANDOR - 2011
A: film sul mondo della
finanza e del denaro ne sono stati fatti molti ma questo è forse il primo
tentativo di spiegare quanto sia successo in America tra 2007 e 2008.
B: e non si tratta di un
documentario come l’eccellente Inside Job. Questo è proprio un film. Anzi,
sembra quasi una pièce teatrale.
A: unità di tempo, luogo
ed azione, secondo il canone. Tutto si svolge in 24 ore nella sede di una
grande società finanziaria dai vetri dei piani alti della quale si domina lo
skyline di Manhattan. Il giorno più lungo di una non nominata Lehman Brothers.
B: non si tratta della
Lehman ma sicuramente quanto è successo quel 15 settembre ha influenzato
certamente l’oscuro regista che si è anche scritto la sceneggiatura. Una vera sorpresa.
A: il credit crunch
dall’interno, dagli uffici high tech, dai consigli di amministrazione convocati
d’urgenza, colletti bianchi con le cravatte allentate.
B: l’inizio è
sconvolgente. Dialoghi ai minimi termini, gesti e sguardi eloquenti. Con
professionalità chirurgica si licenziano interi settori operativi. I dipendenti
riempiono gli scatoloni e lasciano il posto di lavoro.
A: le prime sequenze hanno
colpito anche me. Penso però che i caratteri siano un po’ schematici e si
capisce subito quale sarà il ruolo del geniale mago dei numeri. Però la scelta
del regista di procedere per sottrazione l’ho trovata molto intelligente. J. C.
Chandor si mantiene sul filo della storia, senza concedersi nessuno
scostamento. Come diceva il grande Carver della propria scrittura: ”io non
taglio fino all’osso, taglio fino al midollo”. E qui tutto ciò che non ha a che
fare con l’unità drammatica rimane fuori.
B: con una eccezione,
l’apertura finale sul privato di Sam, ma è un attimo. Sì, hai ragione. Il film
taglia via ogni accenno alle vite private, ai rapporti interpersonali. C’è solo
l’analisi spietata dell’evento.
A: in realtà i rapporti
tra i vari personaggi reggono il film però sono quasi deumanizzati. I
personaggi sono funzioni , tra l’altro distribuite secondo livelli gerarchici
ben definiti.
B: definiti ma precari,
mobili. Come ogni gerarchia si può anche salire, come si può scendere.
A: sì, ma sempre in
relazione all’azienda. In questo senso parlavo di deumanizzazione.
B: ma questa è la forza
del film. E anche la sua presa di posizione contro il sistema. Margin Call è
uno straordinario film di denuncia che lascia la bocca amara, molto amata.
A: mi viene in mente un breve testo teatrale di
Dürrenmatt, La caduta. Tutto un altro contesto, anzi, opposto, ma il ‘midollo’
posto alla luce del sole è lo stesso.
B: eccellente il cast. A
me è piaciuto molto Stanley Tucci e il suo personaggio presente/assente, anche
questo ben noto espediente narratologico.
A: bravo Tucci e bravo Kevin
Spacey, gli altri piuttosto piatti, con un Jeremy Irons al minimo sindacale.
Comunque un film che mi è piaciuto, con qualche riserva. Regista da tenere
d’occhio.
B: a me è proprio
piaciuto. Se penso ad un altro film ‘aziendale’ tutto interni, Il grande capo,
dell’insopportabile – e inguardabile – Von Trier, non ho il minimo dubbio a
definire Margin Call un gran bel film.
A: si tratta di due film
profondamente diversi, e già che ci siamo, citiamo l’ottima serie TV The
Office. Però su Von Trier siamo d’accordo.