L'ALBATROS - 1859
La poesia è molto famosa, ma come è stata tradotta in italiano? Parlare
di traduzione di un testo poetico è questione annosa e insolubile. Una poesia
andrebbe letta in lingua originale ma non sempre è possibile. Passi per le
lingue più familiari con le quali ci si può arrangiare anche senza conoscerle, ma il polacco, il neogreco, il russo, per
restare in Europa, rendono necessario il ricorso al testo a fronte. In questo caso siamo nelle mani del
traduttore e non sempre queste mani sono affidabili, anche se i nomi sono
famosi. Con il francese smascherare il cattivo traduttore è abbastanza
semplice.
Baudelaire è uno dei poeti più letti e amati. In italiano, tra
le molte traduzioni de L’albatros ho
sottomano quelle ‘canoniche’ di Luigi de Nardis per Feltrinelli e di Giovanni
Raboni per Mondadori. Due pessime traduzioni.
La prima quartina introduce ambiente e soggetto. È descrittiva,
il ritmo è fluente come il volo dell’uccello e lo scivolare della nave sul
mare. Al verso 3 il poeta usa una figura retorica, l’ipallage, per condensare
ambiente e soggetto in un emistichio: “vastes oiseaux des mers”. De Nardis
spezzetta la quartina e s’inventa un enjambement illeggibile proprio in
coincidenza con l’ipallage che diventa “marini / grandi uccelli”. Il bellissimo
verso 4, con il musicale “glissant” è
reso con un ridicolo “il bastimento / che scivolando va”. Raboni se la cava
meglio, anche se un plurale, “des albatros”, diventa singolare (e proprio la
parola-emblema!) e un singolare, “le navire”, plurale.
Nella seconda quartina entra in campo, in maniera molto
discreta, la ‘compassione’ del poeta. Qui
è de Nardis a svolgere un compitino migliore anche se per cercare di mantenere la costruzione
sintattica dell’originale deve compiere faticose giravolte. Raboni invece
stravolge l’originale e forse perché ‘poeta laureato’ si prende la libertà
(legittima, ci mancherebbe) di riscrivere un altro testo poetico. Il plurale
ripetuto di Baudelaire è tradotto con dei singolari, e questo può essere anche
lecito. Ciò che non è lecito è eliminare una parola fondamentale, “piteusement”.
Essa non solo è lunga ed ha quindi forte valenza musicale e ritmica, ma è anche
importante. È con questo avverbio che il poeta entra nel testo. È con questo
termine che si avvicinano albatro e poeta. Raboni lo cassa!
Con la terza quartina il poeta è sempre più partecipe della
sorte dell’albatro (tre frasi esclamative). I traduttori seguono fedelmente l’originale.
Ultima quartina. La vicinanza tra l’uccello e il poeta diventa
fusione e il simbolo si fa allegoria. Entra in scena, direttamente, “le Poëte”, con la quale parola si apre il verso. Raboni mantiene
la posizione, de Nardis la fa scivolare al verso successivo. Entrambi i
traduttori inseriscono una similitudine attraverso il “come” che in francese
non c’è. Baudelaire usa infatti un ben diverso “semblable”. Negli ultimi due
versi, infine, c’è un forte anacoluto: “exilé…ses ailes”, un maschile singolare
a cui segue un femminile plurale con funzione di soggetto, con “exilé”
parola-chiave dell’intero componimento. Aderente all’originale nella struttura
il de Nardis, il quale riesce però ad inserire un brutto “camminare / non può”.
Raboni invece ricade nell’imperdonabile errore di eliminare proprio la parola
esiliato, al cui posto compare un “solo”
del tutto inadeguato. Entrambi i traduttori non mantengono come soggetto “le
sue ali”.
Vatti a fidare dei traduttori celebrati.