Europee, i Radicali non
partecipano al voto
Ma finché ci sono loro c’è speranza
Pubblicato da Piero
Sansonetti in ‘gli Altri’ il 23 maggio 2014
Mentre cala il silenzio
elettorale e si aspetta l’esito della sfida a tre – fra Renzi, Grillo e
Berlusconi – i radicali restano fuori dal voto. E così si realizza il paradosso
che, se vuoi parlare di politica, devi uscir fuori dalla contesa elettorale. La
politica ufficiale, di Palazzo, è tutta racchiusa in una sfida personalistica,
di abilità comunicativa, fra tre leader privi di programmi e di valori ideali;
la politica marginale trova sbocco nell’attività radicale che pone sul tappeto
grandi questioni come la giustizia, i diritti, il carcere,
l’amnistia, la lotta al giustizialismo, il ripristino dello stato di diritto.
Tutto ciò è ancora più
paradossale se si pensa che fino a vent’anni fa l’impressione, nell’opinione
pubblica, era esattamente opposta alle sensazioni di oggi: c’era Pannella,
istrione, grande comunicatore, maestro della politica spettacolo – e che per
questo veniva criticato da tutti – contrapposto alla tetraggine delle
burocrazie e degli anonimi apparati collettivi di partito.
Come è avvenuta questa
metamorfosi? Bisogna tenere conto di tante cose. La prima – essenziale – è
quella che ci interessa oggi: non è vero che negli anni ottanta la
contrapposizione fosse tra “l’istrione” e “il collettivo” . Succedeva
semplicemente che la grande politica dei partiti di massa era sorda alla
modernità delle questioni che il partito radicale gettava nell’arena della
lotta politica, non
riusciva a sentirle né a vederle, e perciò reagiva concentrando lo sguardo sui
metodi clamorosi e nuovi, di lotta politica, inventati da Pannella, senza
accorgersi della modernità della lotta politica che proponeva. La modernità dei
contenuti. Provate oggi a correre con la memoria a quegli anni. Il divorzio e
poi l’aborto, la lotta alla fame nel mondo, i diritti dei soldati, dei
carcerati, degli omosessuali, delle donne, la battaglia antiproibizionista,
l’antimilitarismo… Come si faceva a pensare che fossero questioni marginali, e
che nessuna battaglia politica potesse essere condotta – a sinistra – se non in
funzione dei diritti sindacali, oppure – a destra – senza rispettare i principi
del cristianesimo Vaticano o della grande ideologia conservatrice e post
fascista (ordine, disciplina, merito, rispetto)?
I partiti politici di massa, in quegli anni, non colsero in nessun modo
il radicalismo profondo del partito radicale. Non capirono che era un radicalismo di sostanza e non di forme, e che
poneva due grandi questioni: entrare a pieno titolo nella modernità ed entrare
nella democrazia compiuta. Perché in quegli anni, la modernità era considerata
un disvalore, e nessuno vedeva i limiti della “democrazia realizzata” con lo
Stato Repubblicano e la necessità di farle compiere un salto in avanti,
superando le paure, le ragioni di stato, le burocrazie, i barocchismi, gli
ideologismi. Paure di che? Semplicemente della libertà. La macchina politica –
socialmente formidabile – della prima Repubblica, lodava la libertà ma la
temeva, riteneva che avesse bisogno di un involucro, di un sistema collettivo
di limitazione e di organizzazione. Amava la libertà organizzata e finalizzata,
non concepiva nemmeno la “libertà libera”.
Allora, probabilmente, nacque
una frattura profondissima tra politica e modernità. E quella frattura portò la
politica a vivere in una dimensione che era interamente interna “al patto di
Yalta” e ai suoi automatismi. Caduta l’Europa di Yalta, nell’89, e caduti gli
automatismi, la fortezza della politica si sgretolò e fu divorata, in pochi
mesi, da nuovi poteri – molto più moderni e molto più spregiudicati, e molto
più feroci – tra i quali, prima di tutto, il potere giudiziario.
La crisi politica di oggi nasce
da lì. Da quegli errori. E la seconda Repubblica è venuta su riproducendo tutti
gli errori della prima. Né la destra di Berlusconi, né la sinistra di
Prodi, né quella di D’Alema, né la sinistra radicale, si sono davvero posti il
tema dell’ingresso nella modernità. E cioè la necessità di uno
sviluppo della civiltà in senso liberale, fuori dagli automatismi del
socialismo e fuori dagli automatismi del mercatismo. Anzi, la nuova classe
politica ha cercato una mediazione tra socialismo e mercatismo, immaginando che
fosse quella mediazione – e dunque la moltiplicazione di difetti e sciagure –
la porta per entrare nella modernità.
Così oggi ci troviamo dinnanzi
alla politica-immagine, al solito governo di emergenza, e alla presunta
opposizione – i grillini – incapace di indicare la prospettiva di una società
diversa da quella autoritaria e fondamentalista che è nella mente del loro
leader. Mentre la destra berlusconiana e la sinistra renzista non sanno a
trovare fra loro nessuna differenza che non sia una differenza nella scelta del
personale e del ceto dirigente.
E al margine di questo circo, che ha tirato a fondo e quasi annullato la
democrazia politica, resta il drappello coraggioso dei radicali. Ce la faranno?
Non so: so che finché loro esistono esiste anche la speranza.