Milizie dell'ISIS dalla Siria verso l'Iraq, gennaio 2014 - foto AP/dpa bild.de |
È stato
proclamato il Califfato dello Stato
Islamico dell’Iraq e del Levante (Isis, in arabo Dāʻish). Da
mesi la frontiera tra Iraq e Siria era di fatto inesistente. Da mesi i gruppi sunniti
in lotta con Assad acquartierati nella città siriana di ar-Raqqah operavano insieme ai qaedisti iracheni. Ad
inizio 2014 insieme hanno dato vita alla reconquista dell’Iraq, culminata con
l’espugnazione di Mossul. I kurdi confinati a nord nel territorio di Kirkuk,
gli sciiti arroccati sulla linea di Baghdad, gli islamisti hanno avuto vita
facile.
Sul loro cammino hanno razziato e sparso sangue con furore medievale,
intanto continuavano ad arrivare finanziamenti dal Golfo in funzione anti
Teheran. Obama ha riallacciato i
rapporti con gli Ayatollah ed ha ufficialmente inviato qualche centinaia di
Advisors assieme al segretario di Stato John Kerry. Tony Blair ha fatto
discutere con una presa di posizione coraggiosa che rivendicava l’opportunità
della guerra contro Saddam e l’inopportunità della politiche di Obama in Iraq.
La totale assenza dell’Occidente ha portato ad un nuovo disastro e questa volta
le conseguenze sono effettive. Proviamo a schematizzare:
→ per la
prima volta da quando nel 1967 Israele ha ridefinito i confini del proprio
stato, sono saltate le frontiere tra due stati sovrani stabilite dalla comunità
internazionale;
→ il
jihadismo sovranazionale ha una base territoriale ampia e pienamente
controllata;
→ il
territorio del Califfato è ricco di
enormi riserve di idrocarburi e controlla le rotte del petrolio via terra che
vanno dal Golfo al Mediterraneo e alla Turchia;
→ il Califfato
si presenta come un detonatore pronto ad innescare reazioni a catena in Libano,
Giordania, Palestina;
→ migliaia
di jihadisti da tutto il mondo sunnita stanno accorrendo verso il Califfato per
sostenere la causa islamista e ciò creerà una nuova fratellanza nel nome del
terrore come già accaduto nell’Afghanistan ‘sovietico’;
→ l’Isis ha
allargato la frattura interislamica.
Questo per
restare entro i limiti del perimetro geopolitico della questione, aggiungendo
soltanto che esiste anche l’angoscioso fatto delle migliaia di morti e dei
milioni di profughi.
Nella sua
analisi Blair faceva notare come nei confronti del Medio Oriente l’Occidente
non abbia avuto una linea chiara e univoca:
Iraq:
abbattimento del regime con invio si truppe sul suolo e tentativo di
ricostruzione politico-istituzionale del paese (con prematuro ritiro della
presenza di truppe americane e appoggio di un governo settario come quello di
al-Maliki).
Libia:
abbattimento del regime senza la presenza di eserciti stranieri nel paese e
nessun tentativo di regime-change ( il risultato è stata l’instabilità politica
interna e l’esportazione dell’instabilità oltre confine, vedi Mali).
Siria:
nessuna azione da parte dell’Occidente, guerra civile permanente e nascita
dell’Isis con tutte le conseguenze citate.
Non c’è da
stare tranquilli.
Carta da The Economist, giugno 2014 |