IL SOSPETTO
L’arrivo
della cavalleria giunge in tempo per salvare i viaggiatori assaliti da Geronimo
e le truppe francesi del generale Lasalle espugnano le segrete dell’Inquisizione
un attimo prima che il pendolo compia l’ultima oscillazione.
Forse Bärlach avrebbe dovuto prendere tempo e non
cacciarsi a capo fitto tra le zampe del ragno ma il tempo è proprio ciò che
mancava al Vecchio commissario bernese. Come impietosamente viene ricordato
dall’orologio che scandisce il passare delle ore e dei minuti.
La guerra è finita da pochi anni. L’orrore dei campi di
sterminio, nati e cresciuti nel cuore evoluto della cristianità, toglie il
respiro e la voce anche nel paradiso elvetico, simbolicamente rappresentato dal
paradiso/inferno della clinica Sonnenstein.
La guerra è finita da un numero di anni sufficiente a
garantire la stabile ripresa del progresso, del capitalismo, della modernità ma
il nuovo Occidente è una carogna in putrefazione. Sadici, morfinomani, nani e
giganti, alcolizzati e malati terminali popolano il romanzo di Dürrenmatt che,
come sempre, si pone domande sul senso della vita, sulla giustizia, sulla
tirannia, sulla libertà.
Nei primi anni Cinquanta, con disincantata eleganza, in un
breve romanzo giallo, Friedrich Dürrenmatt condanna il comunismo, condanna il
capitalismo e la religione istituzionalizzata e mette a fuoco il rapporto
sado-masochistico tra vittima e carnefice, tra cacciatore e preda dove preda e
cacciatore si scambiano ripetutamente i ruoli.
Si dice che la giovinezza finisce quando si tornano a
leggere libri già letti. È quello che da qualche anno mi capita con sempre
maggiore frequenza. Dostoevskij, Sciascia, Nabokov, Montale. E Dürrenmatt.