GIORNO DELLA MEMORIA
Cadono
nella notte sinistra i tonfi plumbei di quattro stivali Nazisti che passano
nella strada sotto a noi. Mostruosa regolarità del passo teutonico. Cosi nella
notte astrologica cammina 1 Golem. Di fronte alla meccanicità di questo passo,
di fronte al suo automatismo, il passo degli altri popoli, di tutti gli altri
popoli, è un passo «fatto a
mano».
Voi li credete uomini costoro, e
sono in verità casse di esplosivo montate su un paio di gambe automatiche, che
si muovono per impulso di un maligno e inesorabile congegno.
Siamo in
cinque, chini sulla radio, a frugare nel groviglio delle lingue ostiche, che si
accavallano nel minimo volume di voce. Passa attraverso la cassetta sonora un
nastro di favelle irte di consonanti, come un ramo di spine. D'un tratto all'apparire
di una voce francese, si apre una radura in mezzo alla foresta delle lingue. La
voce: «Abbiamo notizia che in Francia, in un campo di
concentramento, è morto lo scrittore Max Jacob...».
Per gli
altri quattro questa notizia non ha senso; non ha senso «individuale».
Per me, sì: per me soltanto. Ed è una notizia
tremenda. Una notizia nella quale convergono più notizie: più significati:
tutti i significati di questa non solamente guerra, ma « ira di Dio»
che i Gòlem hanno scatenato sul mondo. Guerra, e assieme deportazione e
sterminio di popoli; guerra e assieme crudeltà e tortura; guerra e assieme
strozzamento di quanto è umano quaggiù e ha forma, sentimento, dignità di «uomo».
La notizia che l'uomo più libero del mondo, lo
scrittore di mano più leggera, il poeta più pratico di gioco - la notizia che
Max Jacob è morto in un campo di concentramento (era di razza ebraica e doveva
essere vicino ai settant' anni) mi apre tutta la spaventevole cavità di questa
negra bocca che si è spalancata e va ingoiando alla rinfusa il bene e l’onesto,
la vita e il ricordo, la realtà e la finzione, la poesia e la prosa, e la
stessa facoltà che aveva l'uomo di morire «secondo
natura». Anche la morte - nostro estremo rifugio:
anche la morte il tedesco l'ha deformata e l'ha uccisa.
ALBERTO SAVINIO, Roma, inverno 1944
Le opere fanno parte del ciclo 'L'arte della guerra' di Bruno Canova (1970 - 1980)