cinema

giovedì 27 dicembre 2012

BEST ALBUMS 2012

2012 - UN ANNO DI ASCOLTI


Bilanci di fine anno. Cinematograficamente un vero disastro. Fortuna che c’è la musica.
1.Channel Orange – Frank Ocean


The best song wasn’t the single, canta Frank e qui è veramente difficile scegliere quale sia la migliore canzone. Tutti i pezzi sono all’altezza e il risultato è superiore alla somma delle parti.

 
2.Love This Giant – David Byrne & St. Vincent
 
Poteva essere un disco sofisticato e saccente ed invece , dopo tre anni di gestazione, la strana coppia – fantastica la foto di copertina – realizza una bomba di intelligenza, freschezza e imprevedibilità. Irresistibile.
 

Doppio CD e doppio merito. Il primo merito è di avere reinterpretato un capolavoro commovente come quello di Nico, e questo basterebbe. Il secondo è quello di ricordare un amico con musica di stampo TG ai massimi livelli.
 
4.At Peace – Ballaké Sissoko

Pace è ciò che auspica il grande maestro di kora per il suo Paese, il Mali. Pace profonda è ciò che trasmette agli ascoltatori. Solo o accompagnato da pochi altri strumentisti, tra i quali il violoncellista e produttore  Vincent Segal, Sissoko tocca le corde dell’anima.
 
5.Swing Lo Magellan – Dirty Projectors
Canzoni acide e nervose. Impasti vocali a intonare melodie frante e sincopate con tocchi suadenti di chitarra. La band più nuiorchesemente alternativa centra il bersaglio.
 
Questa la top five ma l’annata è stata veramente buona. Altri bei dischi, in ordine sparso: Andrew Bird, Grizzly Bear, Flying Lotus, Lionel Loueke.


venerdì 21 dicembre 2012

PHILIPPE GARREL / NICO

LA CICATRICE INTÉRIEURE
PHILIPPE GARREL - 1972






Film mitico, esoterico, poetico. Garrel ha assorbito le teorie narrative di Alain Robbe-Grillet; ha rielaborato i film di Godard (Weekend) e soprattutto Zabriskie Point di Antonioni; si è imbevuto delle liriche di Rimbaud e della musica di John Cale; ha meditato sull'idea di cinema di Warhol (Empire). Infine ha incontrato Nico ed è nato La cicatrice intérieure.
Il cinema è l’occhio che vede. Brani di vita senza il filtro del montaggio. Visione / Ripresa in piano sequenza. La vita non è però solo e semplicemente agire ma è intessuta di strutture del pensiero ed ecco quindi lo slittamento vita visione, con tutto il simbolismo mitico e liturgico della riflessione artistica.

La cicatrice intérieure è l’archetipo. Classico, biblico, arturiano.
Donna, Uomo, Bambino.
I quattro elementi: terra, aria, acqua, fuoco.
Il bestiale, l’umano, il divino.
La cicatrice intérieure è minimalista: film breve, assenza di dialoghi sostituiti da espressioni liturgiche: gesti, monologhi, enunciati, canti, silenzi.
La cicatrice intérieure è massimalista: la location è l’intero mondo, dal New Mexico all’Islanda al Nord Africa; le lingue sono l’inglese il francese il tedesco.
La cicatrice intérieure è un lungo video di supporto alla musica e alle canzoni di Nico e questa è la sua funzione originale, accompagnare i concerti della cantante (Desertshore).

La cicatrice intérieure è una bella esperienza visiva/auditiva.

Elle est retrouvée.
Quoi ? - L'
É
ternité.
C'est la mer allée
Avec le soleil.

Ame sentinelle,
Murmurons l'aveu
De la nuit si nulle
Et du jour en feu.

 
È ritrovata
Cosa ? – L’Eternità.
È  il mare andato
Con il sole.

Anima sentinella,
Mormoriamo la confessione
Della notte così nulla
E del giorno in fiamme.

L'Eternità, Arthur Rimbaud - traduzione Eustaki

domenica 16 dicembre 2012

KREMER, ARGELICH, VIRGIN PRUNES...

CORRISPONDENZE
PETROLIO E VIOLINI

                        Al mercato, nel Caucaso

                               Petrolio sul Caspio
 

                               Petrolio sul Caspio
 
                               Al mercato, nel Caucaso. Foto di Alexandra Kremer


Il libro fotografico Soul of Fuel di Alexandra Kremer-Khomassouridze innesca una serie di reazioni che illuminano angoli emozionali nascosti. Rimandi a cascata, cluster bombs tra espressività e memoria…. La fotografa ‘sovietica’ stabilitasi a Parigi nell’ ’89 ritrae il suo Caucaso e si avventura in una Caucasian Wolk che accende i Virgin Prunes. Ma Alexandra è anche moglie del ‘sovietico’ Gidon Kremer, nato a Riga ed esule dagli anni Settanta e i collegamenti si fanno tumultuosi. Uno dei più grandi violinisti viventi porta ad un altro esule baltico, il compositore Arvo Pärt, con il quale Gidon spesso si è incrociato, eseguendo sue composizioni. Ma Kremer è anche l’affiatato partner di Martha Argelich. Meravigliose le loro esecuzioni di Astor Piazzolla. Ma Piazzolla riporta ad una bella serata di quest’estate…

                                 Caucasian Walk, un carnevale di Venezia di molte vite fa

                                         Piazzolla. Argelich - Kremer

domenica 9 dicembre 2012

THROBBING GRISTLE / X-TG

DESERTSHORE / THE FINAL REPORT
X-TG - 2012


                      

Certi dischi sono belli indipendentemente dal loro contenuto musicale. I due CD firmati X-TG appartengono a questa categoria. Per assurdo, non serve l’ascolto per definirlo l’album più intelligente e stimolante dell’anno.

L’ultimo disco ‘ufficiale’ dei Throbbing Gristle, Part Two: The Endless Not del 2007 ce li aveva riportati a vette altissime di lirismo industriale. Personalmente avrei preferito considerare questo disco come il definitivo e degno epilogo di una storia importante. Storia che negli anni successivi si è trascinata fino alla dipartita di Genesis nel 2010, giusto in tempo per far uscire le session  in 12 CD di un nuovo progetto, Desertshore Installation, presentato in un evento  non-stop all’Institute of Contemporary Art di Londra dal 1 al 3 giugno del 2007.

Nel novembre del 2010 muore Sleazy, il quale, con gli altri due membri del gruppo, Chris e Cosey, era impegnato, tra l’altro,  ai progetti che costituiscono questi due CD usciti il 26 novembre del 2012 in sua memoria. Uno è la rivisitazione del capolavoro di Nico e John Cale Desertshore. L’altro, The Final Report,  contiene session registrate  tra 2009 e 2010 e che nel sito x-tg.com viene così presentato: “This album stands as the final report; a celebration, a loving remembrance of their unique partnership”.

Si tratta di due lavori completamente diversi. Desertshore è un album di canzoni, cantate da Cosey e da alcuni amici (Antony, Marc Almond, Blixa Bargeld, Sasha Grey and Gaspar Noé) che reinterpretano quel disco che nel 1970 era decisamente fuori dagli schemi, anche rispetto a quelli di un gruppo come i Velvet Underground. Allora Nico stava anticipando quello che sarebbe stata Cosey dopo qualche anno.

The Final Report è invece un classico disco TG. Materiale sonoro come pece in ebollizione nella quale vengono a galla, come bolle, le singole tracce, ognuna, pur entro un canone omogeneo, ben caratterizzata. Suoni bituminosi che si appiccicano addosso lasciando segni di fascinosa inquietudine.

Il doppio CD è un evento già prima dell’ascolto; dopo l’ascolto è assolutamente indispensabile.
 
 
                               Chris, Cosey e Sleazy
 
 

sabato 8 dicembre 2012

NICO / JOHN CALE

DESERTSHORE
NICO - 1970




Album di Nico ma anche di John Cale. Se la cantante tedesca presta la sua voce monolitica ma funzionale al progetto, è il talento  musicale di Cale che allestisce un set sonoro entro il quale Nico può esaltare la sua iconicità seduttiva.

Desertshore è concepito e composto come un abito che aderisce alle splendide forme di Nico, che, a sua volta, lo indossa alla perfezione.

Musicalmente si avverte tutto il bagaglio culturale di Cale, in un’opera che è scarnificato minimalismo ma anche e soprattutto classica spiritualità, nel segno dei maestri Cage e La Monte Young.

L’inizio è dominato dall’harmonium e dalla voce che scavano profondità da salmodie arcane, vicine per sensibilità alle opere che avrebbe composto Arvo Pärt. Nel secondo brano, The Falconer, il piano modula un’asciutta melodia che rimanda ad Erik Satie.  Segue  My only child, con voce orante e coro in controcanto su un tono più alto come nelle polifonie della scuola fiamminga del Quattrocento a cui si unisce, sulla stessa modularità del cantato, la breve filastrocca recitata dal figlio di Nico, Ari. È questo una sorta di intermezzo che fa da cerniera tra le due parti dell’album, le quali durano entrambe circa quattordici minuti.

E se nella prima parte è l’harmonium ad essere in primo piano assieme alla voce, nella seconda è la viola ad assumere maggior rilievo, come in Abschied, cantata in tedesco, terza lingua del disco dopo l’inglese e il francese. Qui il nume tutelare è il Béla Bartók dei Quartetti per archi.

In Afraid torna il piano a cui si intreccia la viola a definire un tessuto melodico tardo-romantico sul quale si adagia la voce di Nico, insolitamente morbida. Si va verso il finale e John Cale stratifica la composizione inserendo altri strumenti. In Muetterlein entra in scena la tromba che portarà al Mongezi Feza di Rock Bottom ed in chiusura, All that is my own, quasi una sarabanda popolare con alternanza di cantato e recitato ed effetti espressionistici in crescendo per il sigillo di un capolavoro.

John e Nico, Sunday night at the Roundhouse, London, January 1971 - foto The Quietus