cinema

mercoledì 25 dicembre 2013

COLIN STETSON

NEW HISTORY WARFARE VOL. 3:
TO SEE MORE LIGHT - 2013



Terzo capitolo della trilogia New History Warfare, To See More Light è una composizione portentosa. L’approccio di Colin alla creazione/esecuzione delle sue realizzazioni artistiche è quello di un atleta che si prepara ad un’impresa e di un mistico in attesa dell’illuminazione. 

La sua musica è infatti molto corporea e per eseguirla è necessaria una preparazione fisica costante ma è anche eterea e spirituale. One man band, Stetson produce da solo e senza sovraincisioni quello che ascoltiamo, con il suo sax basso ma anche con i suoni espressi dal corpo (mani che percuotono l’ottone, vibrazioni diffuse dallo sforzo di emissione del fiato, gemiti e mugolii) catturati da diversi microfoni applicati a varie parti dello strumento e su se stesso.

Il sax basso di Colin Stetson ha un’anima che assume le forme sonore più diverse. È percussione metallica, è fiato, ovviamente, ma in certi passaggi diventa quasi strumento ad arco e in altri è canto straziato o suadente. In questo To See More Light c’è anche il supporto, in quattro brani, di Justin Vernon, anch’egli pronto a sperimentare diverse modalità canore oltre al suo tipico falsetto come la calda coloritura da gospel e perfino un ringhio rauco e rabbioso.

L’opera è una lunga suite divisa in 11 stazioni che sono i momenti di un percorso spirituale ascensionale che porterà l’anima/soffio ad affrontare varie prove per riuscire a conquistare la verità, l’amore, la luce. To See More Light è fondamentalmente uno spiritual impregnato di fede, con molti riferimenti alle scritture ed è anche, come molti spirituals,  una lotta tra luce e tenebra che si risolve a vantaggio della prima dopo aver superato momenti di forti contrasti.

And The Truth apre il percorso. La Verità cantata come un inno carico di tensione da JustinVernon fa da introduzione all’opera vera e propria che con il successivo Hunted rimanda quasi alla cacciata dall’Eden. Qui il sax riesce, come in altri momenti dell’opera, a svolgere una triplice funzione: produrre un ritmo ossessivo di fondo, costruire strazianti scale anti melodiche e colorire con suoni corollari per dare maggiore profondità alla costruzione. 

Le antimelodie fanno presagire una perdizione e un fallimento ma giunge la quiete agitata di High Above A Grey Green Sea. L’anima si è innalzata, il fallimento è momentaneamente scongiurato e il sax si fa voce, stanca ma felice di poter contemplare il mare dall’alto.

Dopo un breve momento di passaggio, l’inquietudine torna con Brute. La voce è un latrato furioso, il sax è puro ritmo con squarci metallici da chitarra distorta. La tenebra sta per spegnere la luce. Ed ecco di nuovo la pace, questa volta più consapevole.

L’anima /soffio messa alla prova si sta fortificando e assume coscienza di sé e può esprimersi nella bellissima Among The Sef. Si giunge alla scritturale Who The Waves Are Roaring For, che richiama il passo del Vangelo di Luca 21:25  “There will be signs in the sun, moon, and stars; and on the earth anxiety of nations, in perplexity for the roaring of the sea and the waves” il Vangelo continua con queste parole:  “Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Allora gli uomini vedranno il Figlio dell'uomo venire su una nube con potenza e gloria grande. Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina”.

La liberazione deve però passare attraverso una cerimonia salvifica, ben espressa dal momento clou dell’opera, la lunga To See More Light. La luce si può vedere dopo una salmodia tripartita che dura 15 minuti e che nella terza parte inscena una litania in crescendo scandita da un effetto di bordone che dà origine a un’atmosfera di ritualità arcana e coinvolgente.

Ora siamo certi che riusciremo a vedere la luce e siamo pronti per il gospel standard cantato da Justin, What Are They Doing In Heaven Today? , che conduce al finale. Una pausa con il fiato che è contemporaneamente percussione, contrabbasso e voce e la chiusura con una serie di spirali che sanciscono la conclusione del percorso.




domenica 22 dicembre 2013

ORSON WELLES

IL TERZO UOMO
CAROL REED - 1949




“Don't be so gloomy. After all it's not that awful. Like the fella says, in Italy for 30 years under the Borgias they had warfare, terror, murder, and bloodshed, but they produced Michelangelo, Leonardo da Vinci, and the Renaissance. In Switzerland they had brotherly love - they had 500 years of democracy and peace, and what did that produce? The cuckoo clock. So long Holly.”

Vienna, all’indomani della Seconda Guerra Mondiale. La città è divisa tra gli americani e i loro alleati e i sovietici. Siamo all’inizio della Guerra Fredda. Una cortina di ferro sta calando sull’Europa..

Protagonista di questo noir sui generis è l’insignificante Holly Martin, scrittore fallito, senza un soldo, senza donne e senza amici. O meglio, un amico, l’unico, ci sarebbe: Harry Lime, che lo ha richiamato a Vienna con la promessa di un impiego. Ma appena arrivato nella umida e fredda città ex-felix, trova una brutta sorpresa, la prima di una serie che non produrrà cambiamenti nel personaggio che, al contrario, alla fine del film rimarrà ancora più solo.

Il terzo uomo è un film di culto per diversi motivi: sceneggiato da Graham Greene, allora scrittore in ascesa; ambientato in una decadente/decaduta mitteleuropa; interpretato oltre che dal perdente Joseph Cotten e dalla risoluta Alida Valli, dal luciferino Orson Welles; fotografato magistralmente da Robert Krasker al quale andrà l’oscar per la migliore fotografia.

L’opera vive dell’assenza del suo personaggio sulla scena. Tutto ruota attorno ad Harry Lime che appare dal buio tagliato da una lama di luce solo nella parte finale del film. La personalità di Welles si impone così come la sua presenza fisica, spesso inquadrata obliquamente dal basso verso l’alto in forte contrasto chiaro/scuro.


È di Welles la battuta memorabile degli orologi a cucù, scritta dall’attore su un tovagliolo e portata sul set all’insaputa di tutti. 







domenica 15 dicembre 2013

LOU REED

2 MARZO 1942 - 27 OTTOBRE 2013




Lou e la moglie Laurie





IL CANTO FUNEBRE DELL’ANGELO NERO

Le mille possibilità del suo destino
gli si sono presentate su un piatto
a lui la scelta di cosa può perdere

Non un paese di spettri insanguinati tutto avvolto nel sonno
dove l’angelo nero piangeva
non la strada di una vecchia città dell’est
ha dovuto scegliere

E il compagno di vagabondaggio ha camminato tutta la notte
coi capelli sul viso
lungo un taglio slabbrato dal coltello di G.T.

Le chiacchiere delI’Oratore hanno continuato fino all’alba
finché non dicemmo addio al suo cranio – urlo acuto
lo splendore abbagliante del rosso che cerchia e che segna col tempo
consapevolmente instillato
su pattini da ghiaccio che raschiano schegge dalle campane

Bocca tagliata dimenticanza dolorosa del rasoio sanguinante
resti antisettici tubano l’ addio
così t’involi verso la consolante neve bruna dell’est
hai da scegliere, scegliere ancora


I resti del sacrificio rendono difficile dimenticare
da dove vieni le secrezioni dei tuoi occhi
servono per rendersi conto del successo
scegli ancora

E il ritornello del vagabondo del sacrilego eremita
per la perdita di un cavallo se ne andarono i visceri e la coda di un ratto
ritorna, scegli di andare

E se il terrore delle epifanie ti ha ridotto al disonore
che la tua testa sia dondolante
scegli da che parte stare

Se la pietra schizza via la didattica si scinde
abbandona i colori delle tracce del topo
non urlare nel frattempo tenta

Se scegli, se scegli, prova a perdere
perché perdendo ciò che resta si dà inizio
si dà inizio al gioco
I Chi-Chi Chi Chi
Ka Ta Ko scegli di scegliere
scegli di scegliere, scegli di andare

The Black Angel’s Death Song, 1965
Lou Reed e John Cale
Traduzione di eustaki
 


mercoledì 11 dicembre 2013

THE WORST ALBUMS OF THE YEAR

CLASSIFICHE - CD 2013


Dicembre, mese di resoconti e classifiche. A parte i best, parliamo prima dei worst. Nel senso non dei peggiori in quanto schifezze ma in quanto delusioni, sopravvalutazioni, incaponimenti collettivi.

COUNT DOWN 

8. AM – Arctic Monkeys
Schitarrate retrò, pulsazioni hi-fi, voce sovraesposta, con falsetti uh uh in controcanto. Cosa non si fa per uscire da un cliché.

7. The Next Day – David Bowie
Album inutile, come da troppo tempo sono le uscite del Duca. Un muro rock indistinto dove anche la voce ripete senza convinzione formule già intese.

6. MBV – My Bloody Valentine
La monotonia assoluta. Se la lunga assenza ha prodotto un pastone simile meglio restare in silenzio.

5. Modern Vampires In The City – Vampires Weekend
Melodie carine e zuccherose. Leggerini leggerini, si fanno ascoltare senza troppo impegno ma da qui ad essere tra i best dell’anno per molte testate.. .e comunque tre passi indietro rispetto a Contra.  

4. Yeezus – Kanye West
Il megalomane KW sbrodola su di sé e per comporre una canzone come si deve ha bisogno di Justin Vernon.

3. The Electric Lady – Jenelle Monáe
Dopo il bel disco precedente ci si attendeva il capolavoro. Lei ce la mette tutta (anche troppo) e deve affidarsi a numerosi feat.s di lusso. Delusione

2. Random Access Memories – Daft Punk
I francesi dal ‘Mida’s Touch’ come titola il Guardian, fanno una ruffianissima copia della un tempo ostracizzata disco e tutti gridano al capolavoro. Da non crederci.

1. Reflektor – Arcade Fire

I canadesi ‘that dare to be great’ come afferma Pitchfork, fanno una ruffianissima copia del Bowie berlinese e del Byrne Talking Heads e 
tutti ci cascano. Roba da matti. Bufala dell’anno.

martedì 10 dicembre 2013

ASGHAR FARHADI

IL PASSATO - 2013




Dopo il clamoroso exploit di Una separazione, Asghar Farhadi trova capitali francesi e per la prima volta gira fuori dall’Iran. Come già nel film precedente, la famiglia è al centro della storia, scritta e sceneggiata dallo stesso regista.

Molto sicuro di sé, Farhadi gira in Francia come se fosse l’Iran e Parigi non è tanto diversa da Teheran. E già questo non farsi intimidire dal peso del Paese europeo è un punto a suo favore. Di francese c’è solo la brava Bérénice BejoI personaggi infatti hanno le più diverse origini (Samir, Ahmad, Naima, Shahryar, Fouad), come si conviene ad ogni metropoli globale, ma le dinamiche sono sempre le stesse. Donne isteriche e stressate; compagni depressi, assenti e comunque indecisi; figli abbandonati a loro stessi che sviluppano presto gli anticorpi per affrontare il duro squallore della vita. 

Il passato è costruito per slittamenti. Da un personaggio all’altro, da un’interrelazione all’altra (tra due ex compagni, tra due rivali in amore, tra madre e figlia, tra titolare e commessa…) si susseguono a cascata le menzogne, i segreti traditi, le verità taciute, in un sovrabbondanza di situazioni che sono allo stesso modo banalmente quotidiane ed eccessivamente estreme. Il film lascia la sensazione di essere troppo farcito.


Se in Una separazione le due famiglie opposte erano narrate con mano perfettamente equilibrata, il ménage allargato de Il passato è più difficile da tenere sotto controllo.

domenica 8 dicembre 2013

NICCOLO' MACHIAVELLI

IL PRINCIPE - 1513


È la prima vera prova della milizia tanto voluta. Il generale Ramon de Cardona all’ossidione di Prato con le truppe mercenarie ispano-papaline pregusta il sacco. 

Il 29 agosto, anno 1512, i pratesi si rifugiano nelle chiese e nei conventi, pregano e aspettano gli aiuti da Firenze. Gli aiuti tardano ma sarebbero comunque stati pochi e mal guidati dal vecchio capitano Luca Savello. C’è chi giurerà di averli visti fuggire non appena resisi conto che la soldataglia, dalle scale appoggiate alle mura, si riversava ormai a frotte nella città. 

Niccolò è subito informato della disfatta e sa che la presa di Prato significa che i Medici rientrano a Firenze. Il 31 agosto il gonfaloniere Soderini fugge dalla città pronta ad inchinarsi all’ingresso di Giuliano, che si reinsedia nel palazzo di Via Larga il giorno seguente, 1 settembre.  

Niccolò sa che ha i giorni contati ma non vuole fuggire. Vuole essere testimone dell’ultimo degli sconvolgimenti eccezionali avvenuti negli ultimi anni. Ma ha il destino segnato.  Il 7 novembre è rimosso dal suo incarico di segretario dei Dieci. Tre giorni dopo gli fu commessa una grossa multa e gli fu vietato l’ingresso a Palazzo Vecchio. Infine, accusato di aver complottato contro i Medici, finisce in carcere e subisce la tortura. 

Liberato, ha l’obbligo di risiedere fuori città, presso il suo podere dell’Albergaccio. Qui, tra l’uccellare ai tordi e il giocare a cricca e a tricche e tracche, rimugina sul suo destino e sulla sua mala fortuna. E il ragionare tra sé sulle cose di stato e sul passato gli fa immaginare come potrebbe distogliersi dal rotolare i sassi per la via. Lascia da parte il Tito Livio e con tremore di rabdomante coglie lo sgorgo che zampillerà nel Principe. 

Siamo nella primavera del 1513. E fan quest’anno i cinquecento anni. Grazie Niccolò.

sabato 29 giugno 2013

PIERO DELLA FRANCESCA IN JAZZ

ITINERARIO D'ARTE E MUSICA
LUGLIO 2013

La Resurrezione
 
 
Negli ultimi anni si è ripetuta una piacevole circostanza: passare qualche giorno in Umbria agli inizi di luglio. Il punto base è Torgiano, piccolo centro su un colle di fronte a Perugia. L’hotel è raccolto, pulito e accogliente, con un bel giardino e una piscina poco frequentata. Hotel che ha soprattutto  il pregio di essere economico. Anche quest’anno faremo il nostro soggiorno a Torgiano e sarà l’occasione per vedere o rivedere Piero della Francesca associandolo a qualche concerto di Umbria Jazz.
Dopo aver riletto due libri importanti e piacevolissimi al tempo stesso quali lo sherlockholmsiano Indagine su Piero di Carlo Ginzburg e l’ormai classico della letteratura italiana del Novecento Piero della Francesca di Roberto Longhi, ci apprestiamo a pedinare Piero e i suoi capolavori. Da Torgiano sono facilmente raggiungibili e la sera salire a Perugia è questione di un quarto d’ora.
Le tappe
La Vera Croce ad Arezzo. Dopo un restauro durato quindici anni, le resse della riapertura, le prenotazioni con largo anticipo per la visita, questa dovrebbe essere l’occasione buona per gustarli in santa pace.
Il Museo civico di Sansepolcro. Il bel Borgo è troppo poco conosciuto. Eccellenti l’allestimento e l’organizzazione del museo. Ogni volta, di fronte alle opere di Piero qui riunite, manca il fiato. Su tutti la Resurrezione, con il Cristo-Gorgone che a guardalo rende di pietra. Tra le altre opere ricordo un languido e sado-maso San Quintino del Pontormo. Fuori Sansepolcro, in Aboca, sosta gastronomica. Il ristorante  non è ai livelli di un tempo ma è sempre di buona qualità.
Tralasciando la Madonna di Monterchi, da vedere in autunno,  si superano i gioghi appenninici passando o da Gubbio o per la Bocca Trabaria, consigliate entrambe, e si punta su Urbino. La città del Montefeltro si lega a ricordi particolari, e tornarci provocherà groppo in gola. Così come la visione dei due dipinti di Piero. La Flagellazione ovviamente ma anche il meno esaltato Madonna di Senigallia che tanto mi colpì. Tralascerei Raffaello per non sovrapporre genialità.
Si torna in Umbria, a Perugia. Veloce visita al Polittico di Sant’Antonio evitando le altre opere della Galleria e via nel jazz dopo aver assaggiato le ghiottonerie della pasticceria Sandri proprio su Corso e aver gustato il caffè miscela Blue Mountain della Giamaica.
 


La Pasticceria Sandri

 
E adesso musica. Interessante il programma di Umbria Jazz 2013. Garbarek. Del musicista norvegese ricevetti in regalo un vinile e un cd da due persone che ricordo sempre con affetto. Tuck & Petty mi rimandano ad un loro concerto di tanti anni fa, a Bientina, nel locale saremo stati in quindici. Jarrett Trio mi si stringe il cuore ma è ormai impossibile ascoltarlo: prezzi inaccessibili, biglietti esuriti e troppo star. Ma il discorso sui prezzi dei concerti è un nodo insolubile. Anche se a Perugia il problema si aggira perché durante UJ la musica avvolge la città e sono numerosi i momenti free per le strade, nelle piazze o ai Giardini Carducci. Altri nomi in cartellone, John Legend che se può far storcere il naso ai puristi, io lo ascolterei volentieri. Ci sono Fresu, Bollani, i Marsalis, Herbie and Chick, Gilberto Gil. Accidenti, da capogiro. Ma la mia attenzione si concentrerà sulla coppia Jeff Ballard – Lionel Loueke da cui mi attendo meraviglie.
 

Loueke e Ballard

venerdì 21 giugno 2013

LEOS CARAX

HOLY MOTORS
LEOS CARAX - 2012



Il signor Oscar, protagonista del sopravvalutato Holy Motors, è metafora fin troppo facile – e quasi ridicola. Immagini di Maray all’inizio, un altro fotogramma verso la fine, prima del siparietto conclusivo delle limousine nel quale si afferma: “È una metafora. Pietra che rotola non accumula esperienza. Siamo noi le pietre che rotolano. Siamo tutti morti e ubriachi. Ci spediranno presto alla rottamazione”.

Le limousine (Holy Mot_rs) come la Isotta Fraschini, il signor Oscar come Norma Desmond e naturalmente Céline come Von Stroheim.

Al centro del film lo scambio di battute più importante tra Oscar e uno dei tanti fantasmi:
“Hai fatto un gran bel lavoro oggi. Ti piace ancora il tuo lavoro?”
“Non credono più in ciò che vedono… Mi mancano le telecamere”
“Che cosa ti fa andare avanti, Oscar?”
“Continuo come ho cominciato, per la bellezza del gesto”
“La bellezza è nell’occhio di chi guarda”
“E se non c’è più nessuno a guardare?”.

Film sul cinema, sulla finzione e l’illusione. Film mortuario con qualche bella trovata (la danza erotica in latex, l’omicidio del doppio) affogata in un marasma di supponenza. Quanto lontane e irraggiungibili dal povero Carax le visioni di Matthew Barney.
 
 

domenica 16 giugno 2013

JIA ZHANG-KE

I WISH I KNEW - 2010
(SHANGHAI LEGEND)





La macchina da presa resta fissa o si muove lentamente a seguire il soggetto inquadrato con movimento prevalentemente da sinistra verso destra, lentezza in qualche caso accentuata dal ricorso allo slo-mo.

Le immagini riprese sono rese con profondità di campo anche quando si riferiscono ad interni spazialmente limitati. Gli ambienti filmati sono avvolti da un pulviscolo che paradossalmente esalta la nettezza di volumi.

È l’atmosfera di Shanghai che il regista vuole ricreare e lo fa magistralmente componendo una sinfonia nella quale si alternano immagini di repertorio, interviste, vita quotidiana attuale con un tema, la presenza di una giovane donna che attraversa la città-opera.

Jia Zhang-ke si sofferma sui volti, sulle quotidiane azioni di gente che lavora, che fatica e si svaga, sul fiume che di azzurro ha solo il nome, sulle strade che si sanno caotiche e inquinate ma che, facendocelo intuire mostrandocele, riesce a relegare gli aspetti negativi in secondo piano grazie alla commovente bellezza delle riprese.

Si potrebbe leggere questo film come la testimonianza delle contraddizioni della Cina e del suo tumultuoso grande balzo in avanti ma sarebbe non solo banale e riduttivo ma anche fuorviante. Questo film è un atto d’amore verso una città ed afferma la volontà di conoscere e far conoscere Shanghai attraverso una poetica che ad ogni inquadratura reca in sé questo amore che anche noi spettatori istintivamente proviamo.

martedì 4 giugno 2013

BILL EVANS

WALTZ FOR DEBBY
BILL EVANS TRIO - 1961

 
 
 
Quando si dice il destino. 1961, il Trio di Bill Evans suona live al Village Vanguard di New York. Tra Bill al piano, Scott LaFaro al contrabbasso e Paul Motian alla batteria scatta un’alchimia speciale. Tutto fila liscio come mai in passato. L’intesa è perfetta e Scott, in particolare, annulla il tradizionale gradino gerarchico che di solito esiste tra il ‘titolare’ di un ensemble e gli altri componenti. Evans è decisamente a suo agio con l’insolita sicurezza del bassista e si diverte a giocare ponendosi sullo stesso livello. Motian intende a pieno la sintonia tra i due e s’inserisce con una sensibilità ineccepibile nel dialogo piano-basso.
Il materiale registrato andrà a realizzare questo Waltz for Debby e l’album gemello Sunday At The Village Vanguard. Forse i presenti nel locale non si rendono  del tutto conto che stanno assistendo e partecipando alla registrazione di un evento che entrerà nella leggenda. Infatti il pubblico si fa sentire con un amabile chiacchiericcio, risate, ordinazioni e qualche educato applauso. Ma anche questi ‘contributi esterni’ sono  un tocco magico che accresce il miracolo.
Il disco si apre con lo standard sentimentale My Foolish Heart, in cui Evans si presenta al pubblico con il suo Trio, ritagliandosi, come è naturale, il ruolo di leader, con Scott che per il momento accondiscende e Paul usa soprattutto le spazzole. Dopo la languida intro, il clima muta con la fantastica Waltz for Debby. La batteria ora è in bella evidenza con il ritmo che asseconda il fraseggio del piano; piano e batteria lasceranno poi ampio spazio al basso. Eccoci entrati nella perfezione sorprendente dell’interplay. D’ora in poi per quasi mezz’ora i tre non smetteranno di creare quello che sarebbe divenuto una pietra miliare della musica contemporanea.
Pochi giorni dopo questa storica registrazione del 25 giugno 1961, a venticinque anni, Scott LaFaro morirà in un incidente d’auto. Quando si dice il destino.


mercoledì 29 maggio 2013

DAFT PUNK

SCORCIATOIE DISCOGRAFICHE
1997 - 2013




Certi fenomeni di intrippamento globale sono difficili da comprendere.  Non si spiega l’aura che emana il duo parigino dei Daft Punk: battage e lancio da superstar, critici in estasi, isteria dei consumatori, impazzimento collettivo. Se guardiamo con un certo distacco, ci accorgiamo che i Daft Punk sono ben poca cosa.  Quattro album in studio tra il 1997 e il 2013, nessuno dei quali memorabile. Noiosissimo il singolo che li ha lanciati, Da Funk, una techno dance che sfrutta inserimenti stranianti, voci, rumori, abbassamenti di volume, soliti trucchetti comunissimi nella musica d’avanguardia degli anni Settanta. Ma il primo album fa il botto e lancia un altro personaggio iperoverrated, il regista Gondry, autore del celebratissimo video di Around the world. Nel 2001 esce Discovery che contiene le uniche cose degne di nota dell’intera produzione del duo. Si tratta dei singoli One more time e Digital love. Due bei pezzi ma non certo da far ascendere l’album a disco del decennio (vedi Onda Rock!). Il passaggio successivo è un saltare il giro perché Human after all non lascia traccia. Così si giunge a RAM di quest’anno. Evento musicale e mediatico, il disco non è altro che della datatissima dance che ripropone quello che facevano sul finire degli anni Settanta due musicisti come Nile Rodgers e Giorgio Moroder. Ovviamente va detto che gli originali sono di gran lunga migliori delle copie intellettualizzate dei Daft Punk. Già che c’erano potevano recuperare anche Michael Cretu in fusion con i Delegation, ma per il musicista rumeno aspettiamo il prossimo album.

Su Nile Rodgers però bisognerà tornarci.

sabato 18 maggio 2013

CINEMA IN CLASSE

PRIMA DELLA PIOGGIA
MILCHO MANCHEVSKI - 1994

 
 
 
 

  
Prima della pioggia è un film che ha molti pregi ma anche qualche difetto.

La sceneggiatura, studiatissima e letteraria, si sviluppa in tre capitoli/episodi: Parole; Facce; Immagini. I titoli sono evidenziati con i caratteri bianchi preceduti dai cardinali 1,2,3, proprio come i capitoli di un libro. La struttura è circolare anzi, è un “cerchio che non è rotondo” il cui “tempo non muore” come Padre Marko sentenzia all’inizio del primo episodio.  Astraendo, possiamo sconfinare nella matematica pura e considerare i tre elementi del film come costituenti un insieme  iperreale. In matematica iperreale è un numero appartenente all'insieme R*, una struttura che può essere costruita a partire da R, ma che risulta più ampia rispetto a quella reale.
 
Manchevski elabora  il suo film come una teoria. Vuole mettere in scena la violenza del mondo reale, la brutalità della Storia ma per fare ciò scardina le coordinate della logica e della consequenzialità. In poche parole, la storia raccontata, risultante dall’incastro dei tre addendi filmici, si avvolge su se stessa facendo emergere fastidiose incongruenze temporali. Ed il risultato è opposto a quello che probabilmente voleva ottenere il regista. La violenza mostrata non riesce ad essere un pugno nello stomaco per un eccesso zelo teorico che rende banale proprio quella Storia (le guerre nella ex-Yugoslavia) che invece doveva, nella sua pura e semplice Realtà, restare il tratto sostanziale del film. Non a caso, per colpire, il regista deve ricorrere ad espedienti del tutto marginali rispetto al canovaccio principale, come l’olocausto delle tartarughe o il gatto squassato da una mitragliata.
 
Ma il film è fatto di immagini, suoni, parole e non c’è dubbio che Prima della pioggia sia ben girato. I silenzi del primo episodio, Parole, sottolineati dalle voci della liturgia ortodossa con la mirabile scena della ‘passione’ con le pie donne straziate dal dolore per la morte del familiare; la vita rurale nei villaggi di pastori e i pranzi nell’aia polverosa nell’ultimo episodio sono testimonianza di un certo talento che però sta faticando, dopo questo promettente esordio ormai lontano, a consacrarsi definitivamente.
 
Proposto in una prima superiore, il film non è stato compreso. Alla fine della visione i ragazzi, sconcertati, non sono riusciti a capire quello che avevano visto. È stata necessaria una seconda visione per definire almeno i personaggi principali e, nonostante che il film fosse la conclusione di una serie di lezioni sulla ex-Yugoslavia, non vi hanno trovato una chiave per entrare in quel mondo. In sostanza, non sono stati capaci di decodificare il codice comunicativo utilizzato dal regista. Alla fine è rimasta loro solo l’immagine del gatto, accolta da alcuni con sonore risate, da altri con esclamazioni di sdegno.





venerdì 17 maggio 2013

THOM YORKE, JAMES BLAKE...

ULTIMI ASCOLTI
NOVITA' 2013

James Blake


Uscite recenti.  Due notevoli canzoni di Rhye per il resto l’album, Woman, è debole. Già segnalati i video, guarda caso proprio dei due singoli che salvano il progetto danese-canadese. Attesi per una conferma che superi le incertezze del debutto, ma forse le speranze andranno deluse.

Altra delusione è la nuova uscita di Thom Yorke come Atom For Peace. Si tratta di Amok. Anche in questo caso si salvano due pezzi, con Yorke che riesce a far dimenticare di essere Yorke anche grazie alla struttura ritmico melodica che in Before Your Very Eyes e in Ingenue si eleva dal monotono marasma del resto dell’album. Comunque delusione parziale perché Thom senza i Radio non promette molto.

John Grant ha realizzato il suo secondo album, Pale Green Ghosts, dopo che gliene sono capitate di tutti i colori. In effetti è un disco bipolare, incerto tra elettronica e ballate romantiche dal gusto retrò. È con questa seconda anima che Grant esalta le sue doti vocali. Accompagnato da Sinead O’Connor, spicca su tutte It Doesn't Matter To Him, ma nel complesso non convince.

Nuovo disco anche per Billy Bragg, Tooth & Nail. In questo caso è difficile essere oggettivi perché Billy è per me una sicurezza e lo seguo quasi come un fan. Il disco è tranquillo. Più ‘americano’ che inglese, fatto di canzoni non impegnative da cantare ad alta voce magari guidando prima del tramonto.

Ma l’ascolto più stimolante di queste settimane è il secondo James Blake, Overgrown. Dopo il fulminante esordio di due anni fa e qualche EP di non eccelso livello, il ragazzo era atteso al varco. Le opinioni sono contrastanti. Io lo sto ascoltando molto e mi piace. Tra qualche tempo una recensione più accurata.

domenica 5 maggio 2013

FEDERICO GARCIA LORCA

SONETTI DELL'AMORE OSCURO
FEDERICO GARCIA LORCA - 1936

L'estasi di Santa Teresa del Bernini, metà Seicento


Non destinati alla pubblicazione, gli 11 Sonetti dell’amore oscuro sono un intimo colloquio del poeta con se stesso. Seppure è presente la seconda persona, il tu a cui si rivolge il poeta-amante, i sonetti sono come propaggini di un diario personalissimo, per mezzo dei quali si manifesta sulla pagina e allo sguardo dell’autore, una passione segreta. Sono proprio questi i due termini-chiave della breve ‘ghirlanda’(«Esa guirnalda»).

Passione perché ogni verso gronda appunto passione, fisica e immateriale, esplicitata nelle coppie metaforiche «cielo y mundo», «carne y cielo» eccetera; segreta perché l’amore che i versi celebrano è intimo, «oscuro».

Viscerale grumo di sensi, il poeta utilizza la forma lirica chiusa della tradizione occidentale, il sonetto, per trasporre la materia informe e sanguinante di lacrime, sudore e fiato in campo letterario, come fortemente letteraria è l’aura che emana dalla lettura degli 11 sonetti. Questi versi risuonano di classicismo screziato da una vena manierista e barocca che trae origine dagli elisabettiani e dal siglo de oro, da Shakespeare e da Góngora.

Ma la cifra più originale e assolutamente sostanziale della raccolta risiede nel misticismo. Santa Teresa d’Avila, San Juan de la Cruz affiorano nei sonetti e danno all’«amore oscuro» una chiave di lettura che trascende il semplice fatto biografico di un rapporto da tenere nascosto per approdare ai campi della spiritualità, resa attraverso la semplice forza della parola. In tal senso i sonetti sono costruiti attorno ad una serie di sostantivi-feticcio che si ripetono, quali luce, notte, voce, sangue, carne, ferita, bocca, petto cuore, sogno.

Per quanto attiene ai verbi, ricorrono quelli della tradizionale lirica amorosa: gemere, amare, piangere, vedere, perdere, morire, dormire e vegliare. Molto frequente, stilisticamente, l’uso dell’antitesi e della sinestesia ma nel complesso Lorca cerca di ridurre al minimo gli strumenti linguistico-espressivi per dominare meglio l’incandescente materia trattata, con risultati di sfavillante poesia.

martedì 30 aprile 2013

GUALTIERO JACOPETTI / FRANCO PROSPERI

ADDIO ZIO TOM - 1971

 
 
 
“Questo film è un documentario. I fatti sono storicamente avvenuti ed i personaggi sono realmente esistiti”. Ma basta la presenza di una telecamera a rendere meno reale la realtà e qualsiasi documento storico, essendo opera dell’uomo, reca una visione soggettiva di quanto documenta.
Le opere di Prosperi – Jacopetti sono film. Documento, Storia, Realtà, Verità sono categorie che possono alimentare dibattiti da cineforum. Le opere di Prosperi – Jacopetti sono film, ed hanno al centro la relazione autore-spettatore. E questo rapporto mira soprattutto a spiazzare sia il singolo spettatore che potenziali gruppi di spettatori socialmente costituiti.
Quando, per esempio, si afferma che lo schiavista Jean Lafitte faceva soldi mercificando i neri e al contempo sovvenzionava Marx,  si vuole colpire un ben definito obiettivo socio-politico. Così come, in altri momenti del film, si vogliono colpire ulteriori gruppi organizzati quali i neri pro-sistema, i neri anti-sistema, i progressisti bianchi, gli evangelici, i cattolici…
Addio Zio Tom, come gli altri Mondo film, è un canale comunicativo aperto che lo spettatore può subire oppure rifiutare interrompendo la visione. Perché questo è il cuore della poetica di Prosperi e Jacopetti, stabilire un contatto, sgradevole nei contenuti ma accattivanti nella forma, con chi guarda.
I due “giornalisti d’inchiesta italiani cattolici apostolici romani schiavi del fascino del peccato” come vengono definiti nel film, vogliono sorprendere e bastonare tutti. Atteggiamento lucidamente sadico il cui risultato cinematografico  è speculare a quello di certi film di Pasolini. Ma l’immagine riflessa dallo specchio è un’immagine capovolta, opposta. Difatti Prosperi e Jacopetti non denunciano, non impongono tesi, piuttosto documentano e giocano. O meglio si prendono gioco. Sfrenata azione ludica che non risparmia nessuno e che si sostanzia in un evidente amore per il cinema.
Addio Zio Tom è politicamente scorrettissimo, violento, irriverente, iconoclasta nichilista e, unico difetto, un po’ troppo lungo, ma contiene tante belle idee che lo rendono, ancora oggi, stupefacente.


domenica 21 aprile 2013

PHILIP LARKIN

HIGH WINDOWS
PHILIP LARKIN - 1974

Philip Larkin e Monica Jones nel 1950


Nel 1974 usciva High Windows, quella che sarebbe stata l’ultima raccolta di poesie di Philip Larkin, figura centrale della scena poetica inglese – e non solo   del secondo Novecento. Si tratta di uno smilzo libriccino di 24 testi che conferma i tratti essenziali che caratterizzano l’intera opera di Larkin e che pongono il poeta quale voce opposta e speculare, ma altrettanto grande, a quella di Auden.

Se la poesia di Auden è intellettualistica e letteraria e si afferma subito con l’auctoritas di un classico, quella di Larkin segue i percorsi della quotidianità, privando i grandi temi trattati (lo scorrere del tempo, la solitudine, la memoria, la morte) del pathos retorico e di tutti gli artifici e i concettismi che farciscono la poesia contemporanea.

Sembra che un colpo di spugna abbia cancellato la storia della letteratura e che sulla lavagna il gesso abbia lasciato esilissimi segni sui quali Larkin sovrascrive, con molta autoironia, i suoi pensieri esistenziali-narrativi.

La poesia di Larkin ha infatti un’anima narrativa e si svolge in modo piano, chiaro, con lo scopo di farsi intendere, non decifrare, dal lettore, che subito entra in contatto col poeta. Poesia istintiva, si potrebbe dire, perché è immediatamente comprensibile, ma poi, leggendo e rileggendo i testi, ci si accorge della profondità da cui attingono le semplici parole affiorate sulla pagina.

Con High Windows Larkin riesce a porre il lettore allo stesso livello del poeta e anche per questo lo ringraziamo.

 

lunedì 1 aprile 2013

ILYA E EMILIA KABAKOV

L'UOMO PIU' FELICE
VIDEO INSTALLAZIONE - 2000

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I due geniali artisti, esuli sovietici, sono 'in tour' con la loro opera The Happiest Man. Dopo Parigi, lo scorso anno all'Hagar Bicocca di Milano e attualmente a Londra, la video installazione concettuale, a tredici anni di distanza dalla prima presentazione al pubblico, sempre più si afferma come elemento imprescindibile nel panorama dell'espressione artistica contemporanea.

L'ambiente è costituito da una sala cinematografica, simbolo della comunicazione di massa del Novecento sul cui schermo viene proiettato un film anch'esso in tutto riferibile all'estetica di metà secolo scorso. L'estetica è il risultato di una straniante ma decisamente aderente sovrapposizione tra il musical hollywoodiano e il realismo sovietico. Compagni sani e felici che cantano e ridono si succedono sullo schermo. Nella sala, tra le file di poltroncine, c'è un piccola costruzione, un monolocale per il cui arredamento è stato saccheggiato un mercatino di modernariato, con letto e tavolo apparecchiato per il rito del tè. La finestra che dovrebbe affacciare sull'esterno inquadra esclusivamente le facce felici di celluloide.

Non c'è altro da aggiungere, e si resta sbigottiti.



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