Quante
volte avrò letto gli Ossi di seppia? Come Dante e Leopardi, Montale è il poeta
della vita, a cui si torna ripetutamente. Ma a differenza di Dante e Leopardi,
che non deludono mai, ad un certo punto Montale ha iniziato a perdere lo
smalto. E se nell’adolescenza la scoperta degli Ossi aveva i segni della
folgorazione e nella gioventù si consolidava quale opera assoluta, con l’età
matura l’indiscutibilità del suo valore veniva sempre più messa in discussione.
Certo
Montale resta fondamentale nella storia della poesia italiana tra le due
guerre, ma come ‘opera complessiva’ gli Ossi sono andati progressivamente
ridimensionandosi, soprattutto se presi nel contesto della poesia universale.
Ho appena
riletto gli Ossi. In limine ha una chiusa notevole: “ora la sete / mi sarà lieve, meno acre la ruggine…” ma il resto si
colloca in un solco post pascoliano con una seconda strofa micidiale (frullo,
volo, eterno grembo, crogiuolo). Ne I limoni, invece, dopo aver creato una
bella oggettivazione paesaggistica, l’incanto si inceppa in un ridondante
metaforismo (vv. 26-29), per chiudersi con un raccapricciante “le trombe d’oro della solarità”. Ancora
più patetico il finale di Corno inglese. Di Esterina resta l’immagine “il lacciòlo – per fortuna non lacciuolo
– d’erba del fanciullo”. Anche se a
ripensarci la doppia specificazione fa molto poeta alle prime armi. Minstrels
meglio lasciar perdere. Si salva l’esercizio retorico dell’Epigramma per
Camillo Sbarbaro. Si può fare a meno degli altri Movimenti.
Eccoci alla
sezione degli Ossi di seppia veri e propri e qui siamo di fronte ad un poeta
che commette pochi passi falsi. Questi sono, per la precisione, Ciò che di me
sapete, Tentava la vostra mano la tastiera, Debole sistro al vento. Tra gli
altri diciannove componimenti, tutti notevoli, spicca una scaglia poetica
bellissima, Valmorbia. Mediterraneo è, al contrario, tutto da scartare.
La sezione
Meriggi e ombre si apre con il narrativo Fine dell’infanzia seguito dall’ormai
cliché di Agave sullo scoglio. Un episodio minore, Vasca, immette a tre liriche
decisamente didascaliche. Puri esercizi di stile vuoti e consunti. La seconda
parte di Meriggi e rappresentata da Arsenio, in giustificata solitaria
evidenza. La poesia è importante e pienamente riuscita. Della terza parte vanno
citate Casa sul mare e Delta, mentre il colloquio con la tristezza di Incontro
è illeggibile. Poco significativa anche la conclusiva Riviere.