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venerdì 19 giugno 2015

EUGENIO MONTALE

OSSI DI SEPPIA - 1927





Quante volte avrò letto gli Ossi di seppia? Come Dante e Leopardi, Montale è il poeta della vita, a cui si torna ripetutamente. Ma a differenza di Dante e Leopardi, che non deludono mai, ad un certo punto Montale ha iniziato a perdere lo smalto. E se nell’adolescenza la scoperta degli Ossi aveva i segni della folgorazione e nella gioventù si consolidava quale opera assoluta, con l’età matura l’indiscutibilità del suo valore veniva sempre più messa in discussione.

Certo Montale resta fondamentale nella storia della poesia italiana tra le due guerre, ma come ‘opera complessiva’ gli Ossi sono andati progressivamente ridimensionandosi, soprattutto se presi nel contesto della poesia universale.

Ho appena riletto gli Ossi. In limine ha una chiusa notevole: “ora la sete / mi sarà lieve, meno acre la ruggine…” ma il resto si colloca in un solco post pascoliano con una seconda strofa micidiale (frullo, volo, eterno grembo, crogiuolo). Ne I limoni, invece, dopo aver creato una bella oggettivazione paesaggistica, l’incanto si inceppa in un ridondante metaforismo (vv. 26-29), per chiudersi con un raccapricciante “le trombe d’oro della solarità”. Ancora più patetico il finale di Corno inglese. Di Esterina resta l’immagine “il lacciòlo – per fortuna non lacciuolo – d’erba del fanciullo”. Anche se a ripensarci la doppia specificazione fa molto poeta alle prime armi. Minstrels meglio lasciar perdere. Si salva l’esercizio retorico dell’Epigramma per Camillo Sbarbaro. Si può fare a meno degli altri Movimenti.

Eccoci alla sezione degli Ossi di seppia veri e propri e qui siamo di fronte ad un poeta che commette pochi passi falsi. Questi sono, per la precisione, Ciò che di me sapete, Tentava la vostra mano la tastiera, Debole sistro al vento. Tra gli altri diciannove componimenti, tutti notevoli, spicca una scaglia poetica bellissima, Valmorbia. Mediterraneo è, al contrario, tutto da scartare.

La sezione Meriggi e ombre si apre con il narrativo Fine dell’infanzia seguito dall’ormai cliché di Agave sullo scoglio. Un episodio minore, Vasca, immette a tre liriche decisamente didascaliche. Puri esercizi di stile vuoti e consunti. La seconda parte di Meriggi e rappresentata da Arsenio, in giustificata solitaria evidenza. La poesia è importante e pienamente riuscita. Della terza parte vanno citate Casa sul mare e Delta, mentre il colloquio con la tristezza di Incontro è illeggibile. Poco significativa anche la conclusiva Riviere.