Novembre 2011, non ieri |
Sono anni
ormai che sul caso Grecia i media strillano che si è giunti alle ore decisive,
al punto di non ritorno. Usa questa espressione, “point of no return”, Paul Krugman
nel suo ultimo editoriale sul New York Times. Secondo il principe degli
opinionisti economici, l’euro è un “terrible mistake” e ciò che sta succedendo
ad Atene è diretta conseguenza di quell’errore. Quindi, il popolo greco
dovrebbe votare no al prossimo (?) referendum ed uscire dalla moneta unica, perché
“The euro trapped Greece in an economic straitjacket”. Krugman fa poi l’esempio
di due paesi, Canada e Islanda, i quali, grazie alla loro indipendenza
monetaria, sono riusciti a superare una grave crisi. Giusto a titolo di inciso,
il Canada è una grande economia ben organizzata e ricca di risorse naturali; l’Islanda
è un paese di 300.000 abitanti con una consolidata tradizione di civismo anche
economico: con il paese mediterraneo hanno poco a che fare. Per la Grecia,
restare nell’Eurozona, conclude Krugman, significherebbe morire di austerità e,
dal momento che il danno di un’eventuale Grexit si è già consumato negli ultimi
anni, tanto vale uscire e riconquistare l’indipendenza.
Sul Guardian
è un altro guru, Joseph Stiglitz, ad intervenire. Anche per Stiglitz il popolo
greco dovrebbe votare no al prossimo (?) referendum, ma secondo lui il problema
non riguarda tanto questioni economiche e di denaro quanto aspetti legati al
potere e alla democrazia. La cura a base di austerità ha finito per peggiorare
e compromettere le condizioni del paziente e i miliardi utilizzati per un
salvataggio che non è mai avvenuto, sono serviti principalmente per pagare i “private-sector
creditors, including German and France banks”. Per Stiglitz i creditori
ufficiali (la Troika) non hanno necessità così impellenti di riavere il denaro
prestato, quindi la rigidità mostrata ha un’altra motivazione. Il progetto
euro, continua Stiglitz, non ha nulla di democratico, mentre la vittoria di
Syriza è stata una grande affermazione di democrazia e molti dei leaders
europei vorrebbero vedere soccombere Tsipras. Votare no significa, per la
Grecia, riprendere il suo futuro nelle proprie mani.
Anche
Bernard-Henri Lévy si auspica un’uscita della Grecia dall’euro, non sulla base
dell’esito referendario, ma a seguito di una definitiva chiusura, da parte dell’Europa,
delle trattative. Il filosofo francese, sul Corriere della Sera, esprime poi un
giudizio durissimo sul leader greco, definito “un demagogo incendiario che sta
portando il proprio popolo nel baratro”.