cinema

lunedì 29 agosto 2011

DANTE ALIGHIERI


PURGATORIO
DANTE ALIGHIERI
MS Holkham 48, Oxford Univ. Purgatorio Canto XI

Sono pochissimi i testi che torno a frequentare regolarmente e la cui lettura e rilettura è sempre prodiga di piacere e appagamento, tra questi la Commedia dantesca. Si apre il testo, si scorrono i versi e ci si sente confortati ed ogni volta sorpresi e illuminati.

Così è stato ancora una volta con il Purgatorio. Dante ha appena vissuto l’esperienza formativa dell’Inferno ed è pronto per affrontare la tappa del viaggio ultramondano che più lo coinvolge umanamente. La salita, tra le varie funzioni, assume quella di itinerario interiore durante il quale, grazie ai vari personaggi, Dante avrà modo di riflettere su se stesso e sulle proprie colpe. Ma il Purgatorio è anche una trattazione narrativa di questioni poetico-letterarie.

Lo spunto per affrontare questo tema è dato dai vari ‘intellettuali’ che Dante incontra, specchi davanti ai quali l’autore/protagonista vede se stesso nel profondo più che in figura. La rappresentazione di sé nell’altro permette, in tal modo, il confronto, la riflessione, il giudizio in maniera da pervenire alla correzione dei comportamenti errati, rappresentati dai vari interlocutori/exempla e consente, allo stesso tempo, di sviluppare un’argomentazione teorica sull’arte in genere e sulla letteratura in modo specifico.


Bibbia miniata da Oderisi,
Biblioteca Apostolica Vaticana

  Molti quindi i ‘colleghi’ incontrati dal    poeta Dante. Dopo il trovatore Sordello, nella prima cornice, quella dei superbi, che particolarmente coinvolge e preoccupa Dante, appare Oderisi da Gubbio, le cui parole ogni volta toccano il cuore (è questo canto XI uno dei miei preferiti della Commedia). Dante è pienamente consapevole di avere egli stesso «il grido», di averlo tolto «all’uno e all’altro Giudo», come afferma Oderisi, il quale, ad evitare di incorrere nel peccato di superbia, ricorda:




Non è il mondan romore altro ch’un fiato
di vento, ch’or vien quinci e or vien quindi,
e muta nome perché muta lato.

Che voce avrai tu più, se vecchia scindi
da te la carne, che se fossi morto
anzi che tu lasciassi il ’pappo’ e ’l ’dindi’,

pria che passin mill’anni? ch’è più corto
spazio a l’etterno, ch’un muover di ciglia
al cerchio che più tardi in cielo è torto. 

(XI, vv 100-108)

                                                                                
Tra i golosi il poeta Bonagiunta, parlando di nove rime e citando ‘Donne che avete intelletto d’amore’, offre l’occasione per una dichiarazione di poetica. Alle parole del lucchese Dante risponde:


I’ mi son un che, quando
Amor mi spira, noto, e a quel modo
ch’e’ ditta dentro vo significando.

(XXIV, vv 52-54)


Le «nove rime» a cui fa riferimento Bonagiunta segnano, consapevolmente, una rottura rispetto alla poesia precedente che Dante non tralascia di sottolineare.

Il discorso sulla letteratura prosegue nella cornice dei lussuriosi tra i quali si trovano due grandi poeti, Guinizzelli e Arnaut. Incontrandoli Dante può esprimere giudizi letterari che sono vere e proprie sentenze: è grazie a Guinizzelli che è stato possibile il rinnovamento poetico nella volgar lingua e i suoi detti dureranno «quanto durerà l’uso moderno»; Arnaut, «il miglior fabbro», è superiore a Girault tra i trovatori; Guittone non vale il pregio a lui accordato «di grido in grido» (XXVI, vv 111-126).


Dante è pronto per il rito edenico. Non c’è più Virgilio al suo fianco. La figura-Beatrice apparirà al centro di una sacra rappresentazione intessuta di riferimenti scritturali e simbolici. L’espiazione è avvenuta come pure l’argomentazione di teoria letteraria. Si può ascendere all’ultima cantica e cantare ciò che nessuno aveva mai cantato.


Se avessi più lungo spazio da scrivere
i’ pur direi mill’altri aspetti di quel
secondo regno dove l’umano spirito si purga
ma perché piene son tutte le carte
non mi lascia più ir il frame del post.

La porta del Purgatorio, miniatura XIV sec.





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