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venerdì 17 maggio 2013

THOM YORKE, JAMES BLAKE...

ULTIMI ASCOLTI
NOVITA' 2013

James Blake


Uscite recenti.  Due notevoli canzoni di Rhye per il resto l’album, Woman, è debole. Già segnalati i video, guarda caso proprio dei due singoli che salvano il progetto danese-canadese. Attesi per una conferma che superi le incertezze del debutto, ma forse le speranze andranno deluse.

Altra delusione è la nuova uscita di Thom Yorke come Atom For Peace. Si tratta di Amok. Anche in questo caso si salvano due pezzi, con Yorke che riesce a far dimenticare di essere Yorke anche grazie alla struttura ritmico melodica che in Before Your Very Eyes e in Ingenue si eleva dal monotono marasma del resto dell’album. Comunque delusione parziale perché Thom senza i Radio non promette molto.

John Grant ha realizzato il suo secondo album, Pale Green Ghosts, dopo che gliene sono capitate di tutti i colori. In effetti è un disco bipolare, incerto tra elettronica e ballate romantiche dal gusto retrò. È con questa seconda anima che Grant esalta le sue doti vocali. Accompagnato da Sinead O’Connor, spicca su tutte It Doesn't Matter To Him, ma nel complesso non convince.

Nuovo disco anche per Billy Bragg, Tooth & Nail. In questo caso è difficile essere oggettivi perché Billy è per me una sicurezza e lo seguo quasi come un fan. Il disco è tranquillo. Più ‘americano’ che inglese, fatto di canzoni non impegnative da cantare ad alta voce magari guidando prima del tramonto.

Ma l’ascolto più stimolante di queste settimane è il secondo James Blake, Overgrown. Dopo il fulminante esordio di due anni fa e qualche EP di non eccelso livello, il ragazzo era atteso al varco. Le opinioni sono contrastanti. Io lo sto ascoltando molto e mi piace. Tra qualche tempo una recensione più accurata.

martedì 5 febbraio 2013

RADIOHEAD - parte 2

KID A - 2000
ANALISI DEL TESTO (2)




Entriamo nello specifico dei testi di Kid A. A detta di Thom Yorke, per comporre alcune delle liriche ha fatto ricorso alla tecnica dadaista dell’ “out-of-hat”, come se si estraessero dal cilindro parole e frasi che casualmente creano componimenti poetici. Modalità seguita, per restare nel mondo del rock, da John Cale e Brian Eno per esempio nella celebre Cordoba o dallo stesso Eno nelle sue collaborazioni con David Byrne. Ma in Kid A questo procedimento può essere circoscritto a qualche ricorrenza delimitata anche perché le singole sezioni hanno una ben definita coerenza e pure una intelligibilità tutt’altro che opaca, come invece si tende a dire.

In apertura Everything in its right place ha la funzione di dichiarare che l’idea dadaista iniziale di frammenti casuali ha in realtà assunto un assetto compiuto. È il superamento della crisi. L’opera è composta, tutto è andato al suo giusto posto. Verbi al passato designano incomunicabilità (“what was that you tried to say?”) e malessere (“Yesterday I woke up sucking a lemon”). I verbi al presente asseriscono invece che ora tutto è a posto e i colori nella mente hanno trovato il modo di esprimersi. Il risultato di questa guarigione è lo stesso album.

Le sezioni liriche seguenti sono le tappe della crisi, a cominciare da Kid A, che secondo Thom ha immagini terribili. Per questo, ha dichiarato, il cantato è fortemente distorto, proprio per evitare che l’ascoltatore focalizzi l’attenzione sui versi. La mente è annebbiata, oppressa da visioni che ingannano e minacciano: piccole bugie (“white lie”), ventriloqui, teste infilzate sui pali. Emblematica in tal senso la figura del pifferaio di Hamelin che porta via topi e bambini (“The rats and children will follow me out of town”).

Il senso di panico continua nei radi versi di The National Anthem. L’altro (ognuno, chiunque, tutti, everyone) è fonte di opprimente angoscia fisica ma è a sua volta minacciato così la paura si trasmette a tutti: “Everyone has got the fear”.

Per fuggire da questa angoscia bisogna sparire, annullarsi completamente, magari sprofondando nel sogno (“I walk through walls”), nell’acqua (“I float down the Liffey”, il fiume di Dublino di Joyciana memoria), nella musica e nel tour (“Strobe lights and blown speakers”). L’evitamento come prassi per non affrontare il reale e autoconvincersi che la realtà, apportatrice di ansia, non esiste: “I'm not here / This isn't happening”, secondo un consiglio ricevuto da Michael Stipe.

Dopo le evanescenze eteree con Optimistic la trama dei versi, così come la musica, costruisce immagini più concrete e al tempo stesso plurivalenti. Sono diversi infatti i campi semantici ed espressivi utilizzati. Ci sono situazioni da fiaba tenebrosa: il verso “Picking up every last crumb” allude a Pollicino ma è pure metafora del capitalismo, così come i riferimenti ad animali fastidiosi e minacciosi. Alla stessa area dell’universo infantile e regressivo, vero leit-motif dell’intero macrotesto, appartiene la citazione di una filastrocca per bambini “This one went to market” dove è un maialino ad essere andato al mercato. Maialino che porta dritto alla Fattoria degli animali di Orwell (“Living on animal farm”), con mutazione di campo semantico. Ecco che società ed economia opprimono l’individuo (“The big fish eat the little ones”) e l’apparente ottimismo del tre volte ripetuto refrain “You can try the best you can” è ironicamente ribaltato dal contesto negativo delle immagini conclusive: marionette, galere, dinosauri.

La successiva In Limbo riporta al tema della fuga / rifugio in un mondo di fantasia, con altri momenti di insicurezza e di impotenza: nessun posto dove nascondersi; perdersi nel mare; perdere la strada e, ripetuto ad inizio e fine canzone, messaggi che non si è in grado di leggere: “I got a message I can't read”.

Lo stato di estrema prostrazione e minaccia si concretizza nella danza scheletrica di Idioteque dove appaiono bunker e gente in pericolo da mettere in salvo. L’io lirico ha visto troppo, ma non ancora abbastanza (“I have seen too much / I haven't seen enough”), mentre l’interlocutore non ha visto affatto (“You haven't seen it”). Questa è la distanza tra chi ha vissuto un’esperienza atroce e chi invece non l’ha vissuta e il testimone ha il compito di raccontarla anche se corre il rischio di essere uno scaremonger, un profeta di sventure. E questa volta si afferma che ciò che sta accadendo è reale (“This is really happening”), contrariamente al consolatorio “This isn’t happening” di How to disappear.

Morning bell è un risveglio, è la realtà che sta affiorando con tutti i suoi frammenti sconclusionati, con gli oggetti di uso quotidiano, con rapporti consumati dai quali si implora di essere liberati: mobili, auto, vestiti, relazioni, fino a lacerare gli affetti più cari: tremendo il riferimento biblico del verso “Cut the kids in half”.

Si giunge all’ultima sezione lirica dove si fanno i conti con la dura verità, che va comunque accettata, magari ricorrendo a aiuti diversi come “Red wine and sleeping pills”; “Cheap sex and sad films”. Tutto può servire per una ricomposizione di ciò che si era lacerato, basta illusioni (“It’s not like the movies” anche se si tratta di una colonna sonora - Motion Picture Soundtrack) o bugie (tornano le white lies incontrate nella seconda sezione). Il testo si chiude con una certezza, “I will see you un the next life” e tutto torna al posto giusto.

lunedì 4 febbraio 2013

RADIOHEAD - parte 1

KID A - 2000
ANALISI DEL TESTO

dal NewYorkTimes di qualche anno fa...


Kid A è uno degli album più importanti – e più belli – usciti negli ultimi decenni. Si tratta di una composizione di quasi 50 minuti che va ascoltata dall’inizio alla fine, come si fa per la musica classica. L’album è un insieme di canzoni ma l’intenzione del gruppo è quella di proporre un blocco musicale unitario, scomposto in dieci episodi, alcuni dei quali sfumano uno nell’altro in un continuum sonoro.

Opera fondamentale nel panorama della musica contemporanea, per provare a comprenderla bisognerebbe ricostruirne la genesi e inserirla nel contesto storico in cui è stata realizzata. Nel 1997 era uscito OK Computer che aveva definitivamente creato il fenomeno Radiohead. Successo planetario, grandissima attenzione e pressione sul gruppo, che dalla tranquilla Oxford viene catapultato “nell’intronata routine del cantar leggero”: promozione, interviste, tour.

Per Thom Yorke inizia un periodo di forte tensione nervosa che lo porta ad un vero e proprio blocco non solo creativo ma anche comunicativo. Dichiarerà in seguito che oltre alla conflittualità nelle relazioni con le persone più vicine (compresi la compagna e gli altri componenti del gruppo) e alla crisi artistica, in certi periodi non era addirittura in grado di articolare le parole.

Kid A riflette questo malessere ma anche ciò che avveniva intorno al gruppo, a livello di eventi storici. Nel 1999, anno in cui i Radiohead cominciano a lavorare al nuovo album, due eventi internazionali sono al centro dell’attenzione entrambi seguiti da Yorke e compagni con partecipato interesse: quello che sarà l’ultimo atto delle guerre nella ex-Jugoslavia con il bombardamento della Serbia da parte della Nato; la nascita dei primi movimenti no-global che culmineranno nelle manifestazioni contro il WTO a Seattle. Guerra, ambientalismo e cambiamenti climatici, approccio critico verso il capitalismo e il consumismo, delusione e sfiducia nei confronti della politica di Tony Blair sono tematiche che in vari modi permeano gli stati d’animo della band e di Thom Yorke, l’autore dei testi dell’album.

Il malessere individuale e cosmico è proprio nelle liriche che trova la sua più evidente espressione e come per l’ascolto anche per i testi vale l’approccio ‘complessivo’: possono essere letti come un unico componimento poetico suddiviso nelle nove sezioni corrispondenti ai brani cantati.

L’analisi del ‘macro testo Kid A’ sarà sviluppata nel prossimo post.
 
 
Screaming Bears, uno degli Antivideo di Kid A
 

mercoledì 11 maggio 2011

URI CAINE

CONVERSAZIONI MUSICALI

Gustav Mahler in Toblach - 1999              The Goldberg Variations - 2000



A. Sto ascoltando Uri Caine, in questi giorni è in Italia per alcuni concerti e avevo pensato di andare a sentirlo, magari a Casale Monferrato

 

B. Caine è spesso in Italia, se non è questa primavera ci saranno altre occasioni. A Casale credo che proponga il suo ultimo lavoro o forse è un concerto per piano solo

 

A. Nell’ultimo suo cd , Twelve caprices , ci sono 12 composizioni per piano e quartetto d’archi. Ora sto ascoltando le sue riletture di Mahler.

 

B. Eccezionali. Pensa che una decina di anni fa, quando uscì Kid A dei Radio, alternavo Kid A alle sinfonie di Mahler, in particolare l’ottava diretta da Claudio Abbado. Pur nella assoluta distanza che separa questi due capolavori, in quel periodo era quella la musica che mi dava le sensazioni più forti, e se ripenso alla primavera del 2001, i piacevoli ricordi di quei giorni sono legati proprio a Kid A e all’ottava. Uri Caine è il tratto di congiunzione che collega Mahler ai Radiohead.

 

A. Accidenti che affermazione. Poi magari approfondiamo, ma come definiresti la musica di Caine?

 

B. Caine è un musicista assoluto. Pensa che ha una cultura musicale eccezionale. Non ha frequentato il conservatorio ma aveva un insegnante privato di piano e di composizione. Anni di duro lavoro con test massacranti che però Caine ricorda con piacere. L’allievo doveva riconoscere dopo alcuni secondi di ascolto il brano tratto da un qualsiasi compositore dal Rinascimento al jazz contemporaneo. Ed è proprio questo che impressiona quando si ascolta Caine, la sua sterminata conoscenza della storia della musica.

 

A. Effettivamente in Mahler in Toblach la partitura della quinta sinfonia viene riletta in chiave jazz ma non solo. Io ci sento anche la musica popolare e anche il campo jazzistico in cui scorrazza è praticamente quello dell’intero Novecento, con puntate notevoli in America Latina e nell’Europa dell’Est.

 

B. Sì, e questo è evidente soprattutto nelle Variazioni Goldberg di Bach. Ecco, le Variazioni di Caine sono un esempio perfetto di musica totale, dal barocco alla urban dei dj americani. E a proposito delle influenze popolari e dell’Est Europa di cui parlavi prima, Uri è ebreo e ci tiene molto a ricordarlo, e del resto la musica kletzmer è una componente essenziale delle sue composizioni.

 

A. Mi sembra che questo sia evidentissimo nella quarta traccia di Mahler in Toblach, con quel canto gitano che sfocia in una travolgente improvvisazione jazzistica dalla quale emerge il tipico violino kletzmer. E ora che ci ripenso, certe cose di Kid A, come, che so, National Anthem, potrebbero derivare proprio da Caine.

 

B. Sì, così ristabiliamo la linea Gustav Mahler - Uri Caine - Radiohead. Beh, anche oggi l’abbiamo sparata grossa!!!

 


sabato 12 marzo 2011

RADIOHEAD

KID A
RADIOHEAD - 2000


 

Nell’ottobre 2000, dopo un lungo periodo di gestazione e dopo un’attesa spasmodica non solo da parte di milioni di fan ma anche di tutto il contesto musicale e mediatico, i Radiohead fanno uscire Kid A.
 
 
Nei tre anni precedenti, in seguito alla pubblicazione di Ok Computer, i Radiohead erano usciti dal mainstream del rock britannico per assurgere alla dimensione di cult band di riferimento. Il Running for Demons world tour del 1997-1998 consolida la fama dei cinque ragazzi di Oxford e fa di Thom Yorke una vera star. Ed è in questo mileu artistico ed esistenziale che accade qualcosa di importante e gravido di conseguenze. Yorke non regge alle pressioni che il nuovo ruolo impone, i Radiohead non si adeguano a quello che stanno diventando. La crisi è particolarmente profonda e fortunatamente viene affrontata nel migliore dei modi: trovando l’antidoto nella musica e nella creazione artistica. Il gruppo si immerge in un ascolto musicale ‘formativo’ e terapeutico nel proponimento di superare l’osannato Ok Computer e uscire dal brand che Radiohead rischia di diventare. In questo clima nasce la canzone, dal titolo emblematico How to disappear completely and never be found. Il brano, che verrà poi ricomposto, assume la funzione di polo attrattivo verso il quale si indirizzano le idee compositive del gruppo che porteranno alla creazione del capolavoro, Kid A.
 
 
Il disco presuppone un’idea di base, concettuale e psicologica: scomparire. Cancellarsi, cancellare ciò che sta rappresentando Radiohead e reinventarsi spiazzando tutti coloro che dopo tre anni sono lì ad aspettarli.
 
 
Sarebbe stato facile per la band di Oxford incanalarsi in un sentiero discografico di rock alternativo commerciale ma loro scelgono la strada più difficile, anche motivati da caratteristiche caratteriali. Thom non vuole e non può essere una rock star e i Radiohead rimangono un gruppo dallo spirito quasi amatoriale: un gruppo di amici, un’ormai ventennale intesa inossidabile, uno stile di vita che non è cambiato dai tempi della scuola. Tutto ciò è completamente fuori dell’ordinario per un gruppo di tale peso, livello, influenza e giro d’affari. I Radiohead possono permettersi di fare quello che vogliono in piena libertà, ed in Kid A lo fanno.
 
 
Il background del disco è complesso. Siamo di fronte ad una ‘brainmusic’ che assorbe espressioni musicali principalmente colte che vanno dalla musica classica novecentesca al progressive tra Sessanta e Settanta, dall’elettronica sperimentale tedesca al jazz più intellettualistico, il tutto rielaborato da una rock band. Percussioni e rullati, tastiere, organo, chitarre e basso, fiati, elettronica e onde Martenot, perfino l’orchestra e su tutto il falsetto di Thom che si disarticola in una vocalità che diventa emissione di parole-suoni, quasi un mantra visionario e onirico.
 
 
Dieci composizioni che spesso confluiscono una nell’altra a formare un affresco sonoro che è un paesaggio equoreo multidimensionale in cui lasciarsi sprofondare. Dopo Kid A la musica contemporanea non sarà più come prima.
 
 
Quello là, non sono io
vado dove voglio
attraverso le pareti
cammino sull’acqua del fiume
 
 
non sono qui
ciò che è non sta accadendo
io non ci sono, non ci sono
un battito di ciglia
e non ci sarò più
 
 
l’attimo è già passato
sì, è passato
 
 
non sono qui
ciò che è non sta accadendo
io non ci sono, non ci sono
 
 
luci stroboscopiche e diffusori fusi
fuochi d’artificio ed uragani
 
 
non sono qui
ciò che è non sta accadendo
io non ci sono, non ci sono…
 
 
How to disappear completely
traduzione di Eustaki

 

domenica 20 febbraio 2011

RADIOHEAD

THE KING OF LIMBS
RADIOHEAD - 2011



Signore e signori, ecco a voi The best band around. Esce a sorpresa il nuovo Radiohead. Era l’ottobre del 2007 quando il gruppo di Oxford spiazzò tutti facendo uscire, direttamente in rete, senza un prezzo fisso né una casa discografica, il bellissimo In Rainbow. Dopo oltre tre anni di ‘how to disappear completely’ tornano con The king of limbs per il diletto di milioni di fan. Perché i RH stanno sempre più diventando una fan-band. Per un outsider è infatti difficile entrare nell’universo sonoro dell’ultima fase della produzione di Yorke e compagni, anzi per i cultori degli esordi la discografia finisce con OK Computer. Invece è proprio il post-OK che ha fatto dei RH qualcosa d’altro e di più grande rispetto ad una buona alternative rock band.



The king of limbs s’inserisce nella scia segnata da In Rainbow, risultando complessivamente meno umano e più ostico. Con questo disco si ripete la scelta di un John Lydon che si poneva con le spalle al pubblico che reagiva con la rabbia distruttiva dei tempi. Anche i RH si chiudono nel loro guscio in un atteggiamento quasi provocatorio e concedono pochissimo all’ascoltatore. Sta a lui impegnarsi e, se è in grado di farlo, cogliere le gemme purissime sparse tra i solchi.


Bloom è un accumulo progressivo di segni sonori: parte la frase di piano che sempre più veloce diventa un loop sul quale entrano bip elettronici e in successione, la batteria, le tastiere, le cinque note di basso, e la voce. Tutto si ripete quasi serialmente. Non ha più senso parlare di canzone, siamo di fronte al procedimento compositivo di certa musica contemporanea, tipo Glass o Steve Reich, impostato su una base che è quella di una rock band. Il modulo torna, accentuando ulteriormente l’ostinato di batteria e chitarra anche nella successiva Morning Mr Magpie, dove Yorke enuncia, con un canto sempre più dilatato: Signor gazza ladra/E ora hai rubato tutta la magia/Hai preso la mia melodia.


Chitarre in evidenza in Little by little, con pausa centrale per evidenziare il cantato e ripresa conclusiva con la stratificazione strumentale. Si giunge a Feral, brano caratterizzato dalla drum machine e dalla voce di Thom che emette rumori che emergono da spazi profondi. Si chiude la prima parte del disco. È una musica che si propaga da un antro, dal fondo di un oceano fluido in cui i musicisti si fondono in un liquido denso che si appiccica addosso ed entra subito in circolo. L’oscuro magma fa una buona impressione. Andiamo avanti. È l’ora del ‘singolo’, Lotus flower, uscito in video, il falsetto etereo si arrampica su campate di percussioni elettroniche per la più tradizionale delle otto tracce. Piano, qualche effetto, voce: così parte Codex, una linea melodica essenziale a costruire un’atmosfera sospesa e fortemente emozionante, va dritta al cuore, colpisce e subito la chitarra, che svolge la funzione che in Codex aveva il piano, introduce Give up the ghost. Le ultime tracce del disco sono pura magia e si giunge all’ultimo pezzo dove torna in evidenza il ritmo, segnato dalle percussioni e da un basso sognante su cui crescono volute chitarristiche psichedeliche e Thom canta If you think this is over/You’re wrong/Wake me up.


Anche questa volta i Radiohead hanno fatto centro.