cinema

mercoledì 30 marzo 2011

DAVIDE VAN DE SFROOS

YANEZ
DAVIDE VAN DE SFROOS - 2011


Un album corposo, 15 pezzi. Dopo Pica!, il disco della maturità, Yanez è il disco del successo commerciale. Siamo di fronte ad un fenomeno glocal. La cultura musicale di Davide è quella di ogni quaranta/cinquantenne appassionato di musica: i classici anglosassoni che vanno dal country al rock-blues fino a certo punk folkeggiante; il cantautorato italiano, soprattutto settentrionale. Il tutto collocato “nella bassa padana, nelle balere estive”. In realtà non di Bassa si tratta ma di un po’ più a nord, dalle parti dei laghi, ma di balera estiva c’è il sentore, eccome se c’è. Yanez è un album dalla doppia anima. Ci sono infatti canzoni meditative, con una venatura malinconica che nel complesso tentano di descrivere un universo alla Lee Masters/De André. La prostituta, il matto, il reduce, l’emigrato… Ci sono poi altre canzone allegre e quasi cabarettistiche, da sagra di paese. Quindici tracce sono tante e infatti una leggera sfrondatura avrebbe evitato doppioni e qualche episodio debole e forzato (penso alla plurilinguistica Dove non basta il mare) ma complessivamente il disco regge bene all’ascolto. Un prodotto medio, ben suonato e con testi in certi momenti anche notevoli. Tutto suona molto standard, è come stare un pomeriggio al bar del paese, un tuffo di sanguigna genuinità, di sicurezza data da facce e discorsi che si conoscono da una vita. Yanez è un disco molto semplice. In esso non c’è la filologica finezza di un Creuza de ma, e nemmeno il sussiegoso impegno intellettuale di un Ligabue, per citare due dei riferimenti che sorgono immediati all’ascolto. Ma se il paragone con De Andrè sarebbe impietoso, Van de Sfroos regge benissimo quello con altri campioni nazionali decisamente appannati e ripetitivi. Yanez è fresco e disimpegnato e si fa apprezzare proprio per quello che è. E poi ci sono anche momenti esilaranti, come lo scambio di battute tra uno sdentato e un sordo in Setembra, o la title track. E qui bisogna spendere due parole. I tre minuti di Yanez sono un capolavoro, e la forza del pezzo è quella di un classico. Intanto l’idea di usare i personaggi di Salgari e trasportarli sulla Riviera romagnola, con tutti i luoghi comuni del caso. Il fatto è che questi luoghi comuni sono usati in modo intelligente e leggero utilizzando una koinè linguistica fatta di dialetto e di termini molto up to date entrati ormai nel linguaggio corrente. Dal punto di vista espressivo vale più una canzone come questa per testimoniare lo stato della nostra lingua che tanti discorsi accademici. E anche se la base è il laghée, il codice comunicativo rispecchia l’hic et nunc dell’italiano attuale. Musicalmente si tratta di un ‘tropicalia mariachi’ con screziature irlandesi di violino e fisarmonica, dal ritmo incalzante, una bella tromba e la voce un po’ roca e teatrante di Davide.



adess biciclett e vuvuzela e g'ha el Suzuki anca Tremal Naik…

martedì 29 marzo 2011

PRIMAVERA ARABA

GEOPOLITICA DELLE RIVOLUZIONI




Cerchiamo di fare il punto, il più sinteticamente possibile, su quanto sta accedendo in quello che George Bush definì the Broader Middle East.
Dopo l’autocombustione del giovane ambulante tunisino Bouazizi il 17 dicembre del 2010, il movimento di protesta ha investito molti paesi arabo-islamici. Generalizzando si può parlare di una richiesta di giustizia e libertà da parte di masse popolari prevalentemente giovani e alfabetizzate nei confronti di autocrazie corrotte e saldamente al potere da decenni e in gran parte restie a qualsiasi tipo di apertura al cambiamento.
Ma la situazione va declinata caso per caso in quanto le implicazioni interne e le relative relazioni di ogni singolo stato nel più ampio contesto geopolitico impediscono di affrontare l’argomento come un movimento complessivo ed omogeneo.


Tunisia


La rivolta è partita da uno stato laico, legato all’occidente (tanto che la caduta di Ben Ali ha fatto cadere il ministro degli esteri francese), per motivazioni prevalentemente economiche. L’aumento dei prezzi delle commodities associato ad un’alta disoccupazione e ad un buon livello di istruzione dei giovani con scarse prospettive di lavoro hanno scatenato la rivoluzione che rapidamente e senza causare gravi danni ha portato al primo regime change dell’area.


Egitto


Situazione più complicata per le dimensioni del paese, per la sua importanza storico-culturale, per la posizione geografica, per la rete di relazioni interislamiche di cui esso è perno ma soprattutto per essere un soggetto fondamentale del dialogo arabo-israeliano e arabo-statunitense. Da considerare anche il fatto che in Egitto la principale forza organizzata con funzione alternativa al potere burocratico-militare al comando è quella del partito islamico dei Fratelli Musulmani, con tutte le preoccupazioni che ciò comporta. Rivoluzione di piazza sostanzialmente pacifica e controllata dall’onnipotente esercito, quella egiziana sta portando il più popoloso dei paesi arabi verso una costituzione ‘popolare’ e verso elezioni che saranno senz’altro le più libere della storia dell’Egitto.


Libia


Paese con un livello di benessere superiore rispetto a quelli confinanti, qui la protesta del 17 febbraio è nata come l’ennesimo atto di sfida della Cirenaica contro il potere della Tripolitania impersonato da Gheddafi. Secolari rivalità tribali mai sopite nonostante il tentativo coloniale italiano di dar vita ad uno stato unitario si sono sempre manifestate sotto il regime militare e il Colonnello le ha sempre soffocate con la forza. I ricchi gruppi di esuli libici in Svizzera e a Londra, assieme ai tradizionali nemici sunniti della penisola araba hanno fomentato la rivolta bengasina. Informazione sapientemente pilotata, ingenti risorse di idrocarburi da gestire, possibilità di eliminare un pluridecennale ‘nemico dell’occidente’ senza troppe conseguenze geopolitiche(unico paese a rimetterci sarà l’Italia, ma questo potrebbe essere un altro punto a favore dell’intervento), propaganda umanitarista con i buoni che soccorrono gli insorti. Questo ed altro hanno permesso l’intervento (comunque tardivo, ma bisognava aspettare l’assenso degli arabi) sacrosanto contro Gheddafi. Un tiranno in meno ed evitare la punizione contro gli insorti di Cirenaica sono atou che fanno pendere la bilancia a favore dell’intervento. Restano però tutti i dubbi, le incertezze e le preoccupazioni che una guerra a due passi da casa nostra e così malamente condotta ovviamente suscita.


Yemen


Altro regime change in atto. Il presidente Saleh, dopo oltre trent’anni di potere assoluto ha annunciato che il figlio non sarà più il suo successore e che egli stesso è pronto a ritirarsi e a indire elezioni come chiesto dalla folla in rivolta. Qui la situazione è delicata. Il paese è tradizionalmente diviso tra Nord e Sud, non solo ma il pericolo islamista è reale. Nuclei qaedisti sono sempre stati presenti nelle isolate valli del nord, al confine con l’Arabia Saudita e comunità sciite vicine all’Iran costituiscono un ulteriore motivo di preoccupazione, tanto da far inserire lo Yemen, dopo l’11 settembre, nella lista degli stati canaglia stilata dall’amministrazione Bush. Guerra civile, islamismo, terrorismo nella penisola araba all’imbocco del Mar Rosso non sono certo noccioline, con l’aggravante che sull’opposta costa africana c’è la Somalia con la sua anarchia fondamentalista.


Siria e Giordania


Qui la situazione è complicata dal fatto che i paesi sono strettamente legati ai fragilissimi equilibri geopolitici dell’area, che ha come core problem l’irrisolto conflitto israelo-palestinese e i suoi addentellati a Gaza e soprattutto nel Libano. Israele è terrorizzata da un cambiamento delle leadership siriana e giordana. In Giordania la maggioranza della popolazione è di origine palestinese e grazie alla diplomazia e agli aiuti economici Re Abdallah ha garantito una politica di collaborazione con Israele alleggerendo la pressione sul confine est. Anche la famiglia Assad di Siria, nonostante la propaganda anti israeliana, non ha mai impensierito Israele. Il conteso confine del Golan è tranquillo dal 1967. Dopo le proteste e i morti la Giordania ha un nuovo governo. Più complessa la situazione in Siria dove la reazione del potere è stata molto dura e al momento Assad sembra restio a fare concessioni, nonostante le pressioni turche sul presidente siriano.


Bahrain


Nonostante le piccole dimensioni dello stato insulare, questo è forse il nodo critico dell’intero scenario mediorientale. In stato d’assedio da febbraio, il re sunnita al potere sta usando il pugno duro con i manifestanti. La popolazione del regno è a maggioranza sciita e questo mette in apprensione l’Arabia Saudita. Dietro al piccolo regno del Bahrain infatti si muovono i due rivali storici della regione, sauditi e iraniani, ossia arabi contro persiani, sunniti contro sciiti. L’Iran ha sempre avanzato rivendicazioni sul regno, che è anche sede della più importante base militare USA nel Golfo e reparti militari sauditi sono entrati nell’isola per proteggere il re.


….continua

domenica 27 marzo 2011

ABAU EL KACEM CHEBBI

GUERRA LOTTA E RIVOLUZIONE




Mohamed Bouazizi, 17 dicembre 2010


Il Presidente Ben Alì visita Bouazizi


Il 17 dicembre, Mohamed Bouazizi, ventiseienne venditore ambulante di frutta e verdura, si dà fuoco davanti al palazzo del governatore della cittadina tunisina di Sidi Bouzid, per protestare contro la confisca delle sue merci da parte della polizia locale in quanto privo di autorizzazione. Incendio che provocherà la morte del giovane ma che innescherà la più grande rivoluzione all’interno del mondo arabo-islamico, le cui fiammate stanno rischiarando i cieli che vanno dalle Sirti al Mar Rosso al Golfo Persico.


Per celebrare la rivoluzione dei gelsomini diamo voce ad uno sconosciuto, per noi distratti ‘occidentali’, poeta tunisino che in patria è considerato eroe nazionale, bandiera della lotta per l’indipendenza dalla Francia, Abau El Kacem Chebbi, 1909-1934. Nel titolo un’eco del verso Hypocrite lecteur – mon samblable – mon frère! di Baudelaire ripreso proprio negli stessi anni anche da Eliot nel The Waste Land.




Mon semblable


Sei nato per essere libero come soffio di zefiro
libero come luce celeste in pieno giorno
per cantare come uccello ovunque tu vada
per declamare tutto quello che il Cielo ti ha ispirato
per abbandonarti tra le rose del mattino
per gioire della luce ovunque essa sia
per camminare a tuo piacere in mezzo ai prati
per cogliere fiori sui pendii fioriti
Dio ti ha così concepito caro figlio della vita
e la vita ti ha spinto nell’universo:
perché accetti le avvilenti catene?
Perché pieghi la schiena
di fronte ai tiranni che opprimono?
Perché soffocare la potenza del tuo grido
quando l’eco lo potrebbe rafforzare?
Perché chiudi gli occhi di fronte all’alba
quando il suo chiarore è così dolce?
Perché ti accontenti di vivere nell’oscurità?
dov’è il tuo canto, i tuoi entusiasmi?
non temerai la poesia del cielo?
non ti spaventerà la luce del pieno giorno?
Dai, alzati e incamminati verso il domani
la vita non si ferma ad aspettare chi s’attarda
non temere l’ignoto oltre la collina
non c’è altro che il giorno che avanza
e la fresca primavera col suo manto fiorito
nient’altro che profumo d’aprile
specchi d’acqua abbaglianti
e festosi colombi di prateria
nella gioia dei loro versi
al meriggiare sì dolce e bello
Al meriggiare, specchio di Cielo.


Traduzione dal francese di Eustaki

mercoledì 23 marzo 2011

TULLIO AVOLEDO

L'ELENCO TELEFONICO DI ATLANTIDE
TULLIO AVOLEDO - 2003

Una volta c’erano i nipotini di Gadda che andavano in gita a Chiasso. Oggi, a oltre trent’anni da Il nome della rosa ci sono ancora in giro nipotini di Eco a frotte e fra questi Tullio il prolifico, otto titoli in una decina di anni.

L’elenco telefonico di Atlantide, romanzo d’esordio del 2003, apparato tecnologico a parte, potrebbe essere stato scritto benissimo negli anni Ottanta. Come è pensabile, nel Duemila, che un sieropositivo crei problemi nel dare la mano agli amici? E poi oggi l’AIDS è proprio, come dire, fuori tema, almeno per come compare nel romanzo, con due personaggi, minori d’accordo, vittime della malattia.
Ma questo sarebbe poco, il fatto è che L’elenco telefonico di Atlantide è un pessimo romanzo. Va bene che proprio Eco alla classica domanda quale libro porterebbe su un’isola deserta?, rispose l’elenco telefonico, ma qui altro che corto circuito alto-basso, aulico-trash. Siamo dalle parti di uno Spielberg de noantri in cui Indiana Jones ha i tratti di Roberto Giacobbo di Voyager.
E infatti Avoledo non si fa mancare nulla: Atlantide, egizi, ebrei, nazisti, arca perduta, immortalità, elisir miracoloso, lobbies occulte, esoterismo, atlanti magici e universi paralleli…


Non si capisce come critici letterari abbiano potuto apprezzare queste 500 pagine veramente dozzinali e ingenue, dove non c’è un personaggio azzeccato e si sfoggia una cultura da un lato inutile e ricercata (che senso hanno tutte le citazioni ad ogni inizio capitolo dalla Pitis Sophia! Non mi si dica che sono ironiche!) o da sprovveduto disarmante (se si citano poeti come Eliot o Mallarmé si abbia il pudore di evitare Aprile è il più crudele dei mesi o La carne è triste e ho letto tutti i libri!) o ancora, se vuoi ricordare i Clash non citi Should I stay. No, non ci siamo proprio.
C’è però una cosa carina. I primi capitoli hanno in esergo dei giochini linguistico-cinematografici che sono una delizia, come, per esempio: “opera di pittore smemorato. Ritratto di s’ignora” o lo strepitoso “schiacciato da un rullo compressore nelle ore antimeridiane. Ore 10 salma piatta”. Ma il gioco dura poco perché dopo si passa alla Pitis Sophia.
Oddio, un po’ pochino per un ‘giovane autore’ del ’57. Ma l’idea dei titoli è divertente e contagiosa. Ora ci provo anch’io.


Spaghetti da export: aMatrix

La fine di un mito: C’era una volta il best


A favore di un uomo brutto: Il pro cesso


La Bibbia dell’Oriente: Apocalypse Tao


Oltre la pedofilia: Attrazione fetale


Sedere che spara: Arma fecale


Party estremo per dark: Sballa coi cupi


Come lo fanno le vergini: Casta way


All’ufficio anagrafe: Un trans che si chiama Desiderio


AD LIBITUM



giovedì 17 marzo 2011

COLM TÓIBÍN

THE EMPTY FAMILY
COLM TÓIBÍN - 2010


Jack B. Yeats, Sligo Bay, 1942
 Colm Tóibín, scrittore irlandese, classe 1955, appartiene alla nutrita schiera di intellettuali britannici legati alle vicende spagnole, che vanno da George Orwell fino ai contemporanei Robert Wyatt e Ken Loach, tanto per spaziare in vari campi artistici. Ovviamente l’evento che ha colpito l’intellighenzia britannica prima della Seconda Guerra Mondiale è stata la Guerra Civile Spagnola, uno degli snodi storici del Novecento. Seguendo quel percorso, già durante l’ultima fase del franchismo e in maniera sempre più forte dopo la morte del Generalissimo, la Spagna è diventata il luogo delle vacanze per milioni di abitanti delle Isole britanniche, tanto da essere identificata nell’immaginario britannico con il paese della festa e del divertimento. A questo proposito vengono in mente i versi di Mark Knopfler “oh girl it looks so pretty to me just like it always did / like the spanish city to me when we were kids”.

L’altro motivo fondamentale per Tóibín è il suo essere irlandese e l’appartenere ad una famiglia i cui membri sono stati direttamente coinvolti nelle lotte per l’indipendenza e successivamente nell’attivismo politico dell’IRA e del Fianna Fail.
Un profilo di autore impegnato quindi e anche attivo nel campo dei diritti degli omosessuali. Tóibín è gay dichiarato e tematiche legate all’omosessualità si ritrovano nella sua produzione letteraria, anche saggistica, con particolare attenzione a quelli che sono i rapporti tra questo spinoso tema e la cultura cattolica.


Il suo ultimo libro è una raccolta di racconti, The Empty Family, nel quale tornano a fare da cornice ai vari episodi i temi preferiti dall’autore: l’Irlanda, la Spagna, l’omosessualità. Da cornice perché in realtà Tóibín parla d’altro e lo fa attraverso uno stile che connota la raccolta e la rende molto interessante.
Spesso i racconti sono costruiti come monologhi rivolti a persone assenti: i familiari, l’ex amante. Assenti perché distanti geograficamente, morti oppure appartenenti a periodi ormai trascorsi.
Racconti della distanza, del distacco, della perdita e della assenza, ecco cosa sono i racconti di questo The Empty Family. Chiaramente lo stato d’animo che riunisce queste condizioni è quello della solitudine, una solitudine spesso scelta come sfida da parte dei vari protagonisti. Già, chi sono i protagonisti dei racconti di Tóibín? Professori maturi, donne impegnate, immigrati spaesati, scrittori disillusi, dei quali l’autore dice pochissimo. Noi assistiamo ad alcuni momenti della vita di queste figure che si muovono su fondi urbani o di mare. Tóibín entra nell’intimità dei suoi personaggi senza presupporre un lettore, che invece vorrebbe saperne di più. Ma no, noi lettori siamo tenuti all’oscuro su cosa ha portato alle situazioni descritte. Motivazioni, fatti accaduti affiorano solo come flash che illuminano una tranche de vie momentanea ma che subito torna ad essere inghiottita nel buio.
Scrittura affascinante quella di Tóibín, da leggere lentamente, come consiglia il critico dell’Irish Times.

Jack Yeats, The funeral of Harry Boland, 1922
Jack Yeats, Queen Meave walked upon this Strand, 1950

sabato 12 marzo 2011

RADIOHEAD

KID A
RADIOHEAD - 2000


 

Nell’ottobre 2000, dopo un lungo periodo di gestazione e dopo un’attesa spasmodica non solo da parte di milioni di fan ma anche di tutto il contesto musicale e mediatico, i Radiohead fanno uscire Kid A.
 
 
Nei tre anni precedenti, in seguito alla pubblicazione di Ok Computer, i Radiohead erano usciti dal mainstream del rock britannico per assurgere alla dimensione di cult band di riferimento. Il Running for Demons world tour del 1997-1998 consolida la fama dei cinque ragazzi di Oxford e fa di Thom Yorke una vera star. Ed è in questo mileu artistico ed esistenziale che accade qualcosa di importante e gravido di conseguenze. Yorke non regge alle pressioni che il nuovo ruolo impone, i Radiohead non si adeguano a quello che stanno diventando. La crisi è particolarmente profonda e fortunatamente viene affrontata nel migliore dei modi: trovando l’antidoto nella musica e nella creazione artistica. Il gruppo si immerge in un ascolto musicale ‘formativo’ e terapeutico nel proponimento di superare l’osannato Ok Computer e uscire dal brand che Radiohead rischia di diventare. In questo clima nasce la canzone, dal titolo emblematico How to disappear completely and never be found. Il brano, che verrà poi ricomposto, assume la funzione di polo attrattivo verso il quale si indirizzano le idee compositive del gruppo che porteranno alla creazione del capolavoro, Kid A.
 
 
Il disco presuppone un’idea di base, concettuale e psicologica: scomparire. Cancellarsi, cancellare ciò che sta rappresentando Radiohead e reinventarsi spiazzando tutti coloro che dopo tre anni sono lì ad aspettarli.
 
 
Sarebbe stato facile per la band di Oxford incanalarsi in un sentiero discografico di rock alternativo commerciale ma loro scelgono la strada più difficile, anche motivati da caratteristiche caratteriali. Thom non vuole e non può essere una rock star e i Radiohead rimangono un gruppo dallo spirito quasi amatoriale: un gruppo di amici, un’ormai ventennale intesa inossidabile, uno stile di vita che non è cambiato dai tempi della scuola. Tutto ciò è completamente fuori dell’ordinario per un gruppo di tale peso, livello, influenza e giro d’affari. I Radiohead possono permettersi di fare quello che vogliono in piena libertà, ed in Kid A lo fanno.
 
 
Il background del disco è complesso. Siamo di fronte ad una ‘brainmusic’ che assorbe espressioni musicali principalmente colte che vanno dalla musica classica novecentesca al progressive tra Sessanta e Settanta, dall’elettronica sperimentale tedesca al jazz più intellettualistico, il tutto rielaborato da una rock band. Percussioni e rullati, tastiere, organo, chitarre e basso, fiati, elettronica e onde Martenot, perfino l’orchestra e su tutto il falsetto di Thom che si disarticola in una vocalità che diventa emissione di parole-suoni, quasi un mantra visionario e onirico.
 
 
Dieci composizioni che spesso confluiscono una nell’altra a formare un affresco sonoro che è un paesaggio equoreo multidimensionale in cui lasciarsi sprofondare. Dopo Kid A la musica contemporanea non sarà più come prima.
 
 
Quello là, non sono io
vado dove voglio
attraverso le pareti
cammino sull’acqua del fiume
 
 
non sono qui
ciò che è non sta accadendo
io non ci sono, non ci sono
un battito di ciglia
e non ci sarò più
 
 
l’attimo è già passato
sì, è passato
 
 
non sono qui
ciò che è non sta accadendo
io non ci sono, non ci sono
 
 
luci stroboscopiche e diffusori fusi
fuochi d’artificio ed uragani
 
 
non sono qui
ciò che è non sta accadendo
io non ci sono, non ci sono…
 
 
How to disappear completely
traduzione di Eustaki

 

martedì 8 marzo 2011

8 MARZO

DONNE, IN CERCA DI GUAI


 

Oggi è il centesimo anniversario della festa della donna e, fatto veramente clamoroso, per la prima volta si assiste ad una apertura in favore dei diritti delle donne proveniente dal più oscurantista dei regimi islamici, l’Arabia Saudita. Si vede che il profumo dei gelsomini si fa sentire anche a Riyadh, in questo 2011 che passerà alla storia come l’89 del mondo arabo.
L’importante quotidiano Arab News apre stamani con una serie di articoli dedicati alle donne saudite. Un editoriale, commenti, reportage e, soprattutto, il giornale dà voce direttamente a giovani donne che possono liberamente parlare della loro condizione quotidiana, di ciò che possono e non possono fare, di ciò che invece vorrebbero fare. E bisogna leggere due volte l’elenco dei loro desideri per assicurarsi di aver capito bene. Le giovani saudite vorrebbero infatti poter guidare l’auto, andare allo stadio per tifare la propria squadra di calcio, scegliere autonomamente il corso universitario da frequentare.
Molte donne parlano della loro esperienza e indirettamente mettono in discussione il rigido sistema saudita e per ogni dichiarazione il giornale riporta nome, cognome, età, senza timore, evitando di ricorrere all’anonimato.
Sembra proprio che questo inizio d’anno stia portando a svolte epocali e questo segnale dall’Arabia, all’apparenza così minimo, scontato e per noi incredibile, rappresenta invece una tappa molto importante che fa ben sperare.

L’Arabia Saudita è il cuore geopolitico del mondo arabo. Tra i grandi paesi islamici è quello con il pil pro capite più elevato, dove le cittadine locali dispongono di un alto livello di benessere e dove, scortate dall’autista, possono fare shopping nelle boutiques dei centri commerciali. Sono appassionate di grandi firme che indossano solo tra le mura domestiche durante incontri esclusivamente tra donne.
L’Arabia è il più grande produttore di idrocarburi del mondo con una ‘spare capacity’ otto volte superiore a quella di ogni altro paese esportatore di petrolio; è il paese della più rigida ortodossia sunnita, sede delle città sante del mondo islamico; è il paese retto dalla dinastia Saud alla quale gli USA e l’Occidente stendono tappeti rossi in occasione di ogni incontro ufficiale. Insomma, l’aver dato voce, da parte di un quotidiano saudita importante, al punto di vista delle donne e averlo anche appoggiato è la più bella celebrazione di questo otto marzo.



fonte della cartina: The Economist

domenica 6 marzo 2011

JOHN FORD / ROBERT RODRIGUEZ

THE GRAPES OF WRATH / MACHETE
J. FORD - 1940 / R. RODRIGUEZ - 2010

Settant’anni dividono questi due film, che mostrano due monti profondamente diversi a spettatori profondamente diversi. Epperò, epperò…

Il primo quarto d’ora di Machete è fulminante. Possiamo dividerlo in tre parti. L’antefatto, i titoli di testa, e i pochi minuti di sequenze che mettono in scena tutti gli ingredienti che verranno sviluppati nel film, con non altrettanta incisività tecnico-affabulatoria. Sarebbero bastati questi tre capitoletti iniziali per trasmettere tutto lo spirito di Machete. Eccoli velocemente riassunti. Subito il protagonista in campo, eroe positivo messo alle corde da una banda di cattivi. La prima scena nella casa dell’orrore è veramente magistrale con arti e teste che saltano, sangue che imbratta, cellulari che vengono sfilati da nascondigli anatomici impensabili. Rapidità, polvere mischiata a liquidi biologici, stupefazione e infine il fuoco, l’ecpirosi che cancella tutto. Titoli di testa, pieno revival, immagini pop ipercolorate a monocromi alla Warhol, carrellata degli attori come poster, caratteri sparati. Gran bel cast, niente da dire. Terza parte: tre anni dopo l’incipit, The Border, ovvero la frontiera USA-Mex. Scatta la denuncia sociale e l’aggancio all’attualità. Atroce la caccia al latino, efficace lo spot elettorale razzista. E qui finisce il film che a parte i bei corpi femminili e una esilarante eviscerazione funzionale ad una fuga rocambolesca, regala solo una serie di cliché di genere.


Con John Ford siamo in piena depressione. Anche qui polvere e sangue, la polvere della desertificazione delle pianure ad ovest del Mississippi e il sangue versato dalle migliaia di disperati che migrano verso la California. Splendido l’inizio, l’immagine di apertura condensa tutto lo spirito del film. Spazio sconfinato la cui profondità è data dalla fuga verso l’orizzonte di una strada polverosa che si perde nella pianura, bilanciata dalle linee verticali dei pali a sostegno dei cavi elettrici e in questa vastità silenziosa e sconsolata, un uomo, solo, cammina, perduto nel vuoto. È veramente il segno di un luogo, di un’epoca. Segue il film ed è il più tipico John Ford che conosciamo, che legge il più classico John Steinbeck che conosciamo, quindi sappiamo già come andrà a finire, con l’immagine finale che riprende l’inizio, l’uomo solo lungo una strada. La scena finale del romanzo sarebbe stata troppo devastante per un prodotto hollywoodiano del 1939, quindi si opta per un’altra conclusione. Scena su cui invece Rodriguez si sarebbe buttato senza esitazioni.


Ma stile e sensibilità a parte, ecco cosa lega due opere così diverse e lontane, il California dreaming e la soprafazione, il razzismo e l’umiliazione. Due film che sono anche denunce politico-sociali. Cambiano i personaggi, gli Okies negli anni Trenta, i Latinos oggi, il progressismo tradizionalista di Ford, il linguaggio meta-cinematografico di Rodriguez ma sembra proprio che per chi resta ai margini del sistema settant’anni di ‘sviluppo’ non abbiano portato nessun cambiamento.

giovedì 3 marzo 2011

LORENZO LOTTO

"Solo, senza fedel governo e molto inquieto nella mente"
MOSTRA ALLE SCUDERIE DEL QUIRINALE

La mostra su Lorenzo Lotto alle Scuderie del Quirinale è l’occasione giusta per riavvicinare uno dei grandi protagonisti della pittura italiana del Cinquecento.

Formazione veneziana, animo inquieto, Lorenzo deve lasciare la Laguna perché per un outsider è difficile ottenere committenze ai tempi del giorgionismo e di Tiziano, come sarà costretto a fare Sebastiano, il quale approderà a Roma ed entrerà subito nel giro giusto. Il Lotto è invece costretto a seguire itinerari provinciali, che lo porteranno nel Trevigiano e nelle Marche. Un soggiorno a Roma gli conferma una certa insofferenza verso gli ambienti e i costumi in voga nel centro della cristianità e forse rafforzano in lui sentimenti di rinascimento spirituale, sensibili ai venti di Riforma che spirano dalla Magna. E, lasciata l’Italia centrale, è proprio verso nord che prosegue il suo pellegrinare, che lo porta a Bergamo, tappa fondamentale per la definizione dello stile del Lotto. In terra lombarda si compie la maturità artistica del ‘melanconico’ Lorenzo: il tonalismo veneto del suo apprendistato, irrobustito dalla lezione classica della pittura dell’Italia centrale, tra Firenze e Roma, si unisce al realismo lombardo, venato da influssi tedeschi. Questa complessità di suggestioni fanno del veneziano Lotto una figura anomala, specie nel contesto della pittura veneta. Una commissione religiosa ottenuta finalmente in patria verrà infatti fortemente criticata e porterà il pittore nuovamente in provincia, nelle Marche, dove concluderà il suo tormentato percorso artistico e spirituale con opere intense e sofferte.


Ho da sempre frequentato la pittura di Lorenzo Lotto, il cui riferimento italiano fu la mostra di Bergamo del 1998 con il relativo catalogo Skira. Ora, dal due marzo fino al 12 giugno, è aperta questa imperdibile ed esaustiva esposizione al Quirinale, con una serie di approfondimenti a latere che permetteranno di penetrare nell’opera del pittore veneziano, per una definitiva consacrazione della sua eccelsa arte.
Ecco un brevissimo percorso lungo la traiettoria pittorica lottesca, secondo una scelta legata a vicende molto personali.

Il vescovo de’ Rossi, visto a Napoli nel corso di una incursione  rapidissima all’ombra dello sterminator Vesevo della quale incursione Lotto non era l’obiettivo principale…E’ anche la riproduzione che apre il consultatissimo e quindi consumato, Classico dell’Arte Rizzoli.



La Pietà di Recanati è legata ad un viaggio in terra marchigiana: i Torricini, Tiziano ad Ancona, luoghi leopardiani con colonna sonora Don Giovanni di Battisti sulla R4 rossa.


San Gerolamo, visto a Parigi, la cui copia di mano emozionata e amatoriale era appesa alla parete di camera, la mitica ‘camera picta’ blu Klein.



Il ritratto di gentiluomo, visto nelle varie visite all’Accademia, può fare da pendant alla Melancolia dureriana.



Messer Marsilio e la sua sposa del Prado, visto alla mostra di Bergamo, celebrazione dell’amore e del ‘giogo’ coniugale.



Sogno di fanciulla Kress, be’, che dire, si sprofonda nell’allegoria, nel mito, nell’onirismo. È un incanto, una meraviglia.