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domenica 16 marzo 2014

ITALO TONI / GRAZIELLA DE PALO

BEIRUT - 2 SETTEMBRE 1980





La DC al governo, uomini di punta Andreotti e Moro, molto attivi nelle relazioni internazionali. Negli anni ’70 l’Italia, a causa della sua posizione geografica, si ritrovava ad essere uno dei crocevia dei due più importanti affaires di politica estera: il conflitto freddo Est-Ovest e il conflitto armato arabo-israeliano. In quest’ultimo la linea seguita dall’Italia era quella filo-araba.

Democrazia Cristiana e Partito Comunista hanno sempre guardato con diffidenza a Israele. La sinistra collegava la nazione ebraica all’imperialismo americano mentre più pragmaticamente le volpi democristiane avevano molto più da guadagnare stabilendo canali ufficiali e non con gli arabi. C’era di mezzo il petrolio ma c’era anche il proposito di concordare con i palestinesi una pax duratura, il così detto Lodo Moro, che evitasse di coinvolgere l’Italia negli attacchi terroristici tipo Monaco ’72. Di fatto l’OLP aveva nell’Italia l’alleato più sicuro dell’Europa occidentale, potendo contare sia sulle forze governative che su quelle di opposizione, anche extraparlamentare.

Il 13 aprile 1975 dei palestinesi uccidono a Beirut il leader dei falangisti cristiani libanesi Pierre Gemayel. È l’inizio di una serie di vendette incrociate che scateneranno la guerra civile nel paese levantino che finirà soltanto nel 1991. Il Libano diventa teatro di scontri tra le numerose fazioni interne e che ben presto vedrà la partecipazione dei paesi vicini. Siria, Israele, Paesi del Golfo, Iran e le principali reti di intelligence del mondo.

A Beirut si incrociano petrodollari sauditi, finanzieri londinesi, gli interessi della ricca diaspora libanese, trafficanti di armi e droga. Come sempre in Medio Oriente, gli affari si legano alle divisioni etnico-religiose e politiche, nella cornice più ampia del bipolarismo e della rivalità tra sovietici e americani.

È in questo contesto che il 22 agosto del 1980 giungono a Damasco, destinazione Beirut, due giornalisti italiani, Italo Toni e Graziella De Palo. Lui esperto corrispondente dai luoghi caldi per Paese Sera, conoscitore del Libano con un non meglio precisato incarico presso il Ministero degli Interni; lei giovane ed entusiasta pubblicista che aveva sposato la causa palestinese. L’intenzione era quella di seguire la pista del traffico di armi e di droga sulla rotta Beirut-Damasco.

Le due capitali distano qualche ora di auto, la strada attraversa la regione della Beqaa, fertilissima valle coltivata a oppio e cannabis. Il confine Siria-Libano, allora come oggi, era il luogo giusto per reporter  a caccia di scoop. Come lo era il sud del Libano con i campi-profughi palestinesi.

Il 24 agosto i due italiani sono a Beirut e iniziano a muoversi cercando contatti con i vari gruppi militarizzati attivi nella città, in particolare nella parte ovest, quella controllata dai palestinesi. La mattina del 2 settembre 1980 hanno un appuntamento. Escono dall’hotel dove risiedono e salgono su un’auto. Da quel momento di Italo e Graziella non si avranno più notizie.

Come da copione si verificheranno depistaggi, interventi dei servizi segreti italiani e esteri, di massoni maroniti e perfino del generale del Sismi Santovito, legato a Licio Gelli. Con lo Stato italiano non certo pronto a collaborare e che anzi farà di tutto per chiudere la vicenda e avvolgerla in un silenzio tombale.


Ancora oggi la verità e la giustizia sono lontane e sempre più difficili dall’affiorare. Si possono soltanto fare ipotesi. Quella più verosimile è che Toni e De Palo siano finiti nelle mani degli estremisti del Fronte Popolare Liberazione Palestina, scambiati per spie israeliane o forse testimoni di qualche verità compromettente.  La causa palestinese non poteva essere screditata come non poteva essere messo in discussione il Lodo Moro da parte dello Stato italiano.  Da qui la probabile eliminazione dei due scomodi giornalisti.

Il Libano nel 1982, ai tempi dell'occupazione israeliana chiamata
'Operazione Pace in Galilea'. Cartina da Frigidaire, n. 32-33 estate 1983

domenica 6 maggio 2012

PIAZZA FONTANA

ROMANZO DI UNA STRAGE
MARCO TULLIO GIORDANA - 2012



 
Continua la serie  “La Storia d’Italia – L’Età contemporanea” , ad uso scolastico. L’insegnante di Lettere, impegnato per antonomasia, propone in consiglio  “la visione di un film dal forte contenuto civile che ha la finalità di far conoscere agli studenti gli aspetti più inquietanti del nostro passato recente”.
Guardando Romanzo di una strage lo studente capisce ben poco del nostro recente passato. D’accordo, l’intento è didascalico, come dichiara la suddivisione del racconto in capitoletti titolati,  ma i fatti e i personaggi che si intrecciano nella ricostruzione del periodo 1969 – 1972 sono troppi e per chi non abbia vissuto quegli anni risulta decisamente arduo seguire la vicenda. Giordana vuole presentare, anche per flash, il maggior numero possibile di ‘nomi’ coinvolti a vario titolo nel fatto narrato e di fatti,  generando approssimazione e confusione. Ma Giordana è un regista di esperienza e capisce che tra tutte queste comparse deve calcare la mano per dare consistenza ad un plot altrimenti monocorde. A tale scopo dipinge tre agiografie. Calabresi, Pinelli e Moro sono dei santi, anzi, dei santini bidimensionali.
Va anche detto che Romanzo di una strage è, oltre che didascalico e agiografico, anche un film a tesi, quella delle due bombe, avanzata nel libro Il segreto di Piazza Fontana (Ponte alle Grazie, 2009) di Paolo Cucchiarelli e recentemente archiviata dalla Procura di Milano come inverosimile e confutata da Adriano Sofri nel libriccino 43 anni (ebook scaricabile), il quale definisce la tesi gratuita ed assurda.
Brevi note di contorno
Calabresi e Pinelli non solo sono santi ma sante sono anche le loro mogli.
Valpreda e Ventura sono macchiette da trasmissione comica televisiva.
Romanzo di una strage più che un film si configura infatti come una fiction per Rai uno.
Moro e Saragat conversano citando Goethe.
Calabresi e Pinelli conversano in libreria citando i saggi della NUE Einaudi.
Milano, pieno centro, cinque del pomeriggio tra gli O’bei O’bei e Natale, deserta come alle due di notte di Ferragosto…


giovedì 25 novembre 2010

IGOR MARKEVIC / VLADIMIR NABOKOV

VITE PARALLELE
Igor Markevic e Vladimir Nabokov, 1961.
Da 'Il misterioso intermediario' di Giuseppe Fasanella 
 
Igor Markevic e Vladimir Nabokov, di cosa avranno parlato, in Svizzera o in posto qualsiasi, lontano dalla Russia, negli ambienti cosmopoliti delle élites illuminate? Nobiltà di sangue e nobiltà d’intelletto. Scendere al Saint James di Parigi o nella falsa Bisanzio di un albergo veneziano.

Nella foschia sull’acqua
scivola il rimorchiatore
dalle brume
le alberature, le ancore, sirene
il fischio giallo del cantiere

Esuli russi in odor di dissidenza
lasciano il Baltico
ad attenderli altre Russie oltre il tramonto
piccole, chiuse, disperate

Monsieur Vladimir
nella suite dorata di Montreux
ha perso ogni speranza di riveder la Neva
“o cielo, o cielo, ti rivedrò nei sogni”.

 

Markevic ha attraversato un secolo. Esule russo, negli anni Venti è a Parigi ed incontra tutti. Da Picasso a Coco Chanel, da Bunuel a Cocteau, di cui diviene il giovane protégé e Nijinski, di cui sposa la figlia Kyra e l’elenco potrebbe continuare a lungo.

Nabokov ha attraversato un secolo. Esule russo, negli anni Venti è a Berlino dove frequenta il piccolo mondo degli émigrés antibolscevichi. Nei racconti del periodo parlerà di una città “swarming with ragamuffins and here and there an urban vagabond with an early evening thirst".

Negli anni Trenta Igor e Vladimir s’incrociano in Costa Azzurra, ospiti di nobili, di artisti, di diplomatici ma con l’avvicinarsi della guerra le strade tornano a divergere. Markevic passa in Italia, a Firenze, presso Bernard Berenson e diventa figura di contatto e di intermediazione tra nazisti, alleati e partigiani. Nabokov approda invece oltre oceano. Entra nel mondo universitario e se ne va in giro per gli Usa a caccia di farfalle. La moglie salverà il manoscritto di Lolita, pronto per finire tra le fiamme.

Dopo la guerra Igor dirige orchestre in giro per il mondo, in particolare ha rapporti con l’intelligence britannico e con il Mossad. In seconde nozze sposa una nobile romana e riallaccia i rapporti con i sovietici. Assume l’incarico della direzione dell’Accademia di Santa Cecilia a Roma. Sta perdendo l’udito e si dichiara pubblicamente filosovietico e vicino al Partito Comunista. Il figlio Oleg, che assumerà il cognome della madre Donna Topazia Caetani, studia composizione e direzione d’orchestra a Roma e a Leningrado.

Negli anni Sessanta Nabokov torna in Europa ricco e famoso. Sceglie di vivere stabilmente al Montreux Palace Hotel, sul lago Lemano e viaggia in Svizzera, Francia e Italia a caccia di farfalle. Si acuiscono i disturbi di sinestesia. Il figlio studia canto e debutta assieme a Luciano Pavarotti in La Boheme a Reggio Emilia il 29 aprile 1961.

Di nuovo ci sono occasioni per frequentarsi tra Svizzera francofona, Costa Azzurra e Italia.

Nel 1977 Vladimir muore nella sua suite sul lago, per Igor invece si apre un nuovo capitolo. Nel pieno degli anni di piombo Markevic si ritova al centro di un’altra importante vicenda, quella del caso Moro e della trattativa tra Servizi Americani, KGB, Mossad e Brigate Rosse, con probabili addentellati con la Scuola Hyperion di Parigi dove sembra tramasse il leggendario Grande Vecchio. Igor muore misteriosamente nel 1983 nel suo ritiro in Costa Azzurra.

Summer surprised us, coming over the Starnbergersee
With a shower of rain; we stopped in the colonnade,
And went on in sunlight, into the Hofgarten,
And drank coffee, and talked for an hour.
Bin gar keine Russin, stamm' aus Litauen, echt deutsch.
And when we were children, staying at the archduke's,
My cousin's, he took me out on a sled,
And I was frightened. He said, Marie,
Marie, hold on tight. And down we went.
In the mountains, there you feel free.
I read, much of the night, and go south in the winter.

 

venerdì 19 novembre 2010

ALDO MORO / SERGIO FLAMIGNI

CONVERGENZE PARALLELE
SERGIO FLAMIGNI – 1998
 
Autodidatta, partigiano, senatore PCI, Flamigni fa parte delle Commissioni Parlamentari più delicate della I Repubblica. Dal suo osservatorio privilegiato compie un’azione civile e di pubblica utilità mettendo a disposizione le conoscenze acquisite in anni di indagine appassionata. (http://www.archivioflamigni.org/)
In questo Convergenze parallele viene esaminato il Caso Moro con puntigliosità archivistica. Il clima nazionale e internazionale che fa da cornice al sequestro, dagli anni Sessanta alle vicende più recenti del pentitismo brigatista è analizzato attraverso le fonti, puntualmente citate in nota. Dal voluminoso materiale studiato da Flamigni emerge un quadro inquietante e incredibile entro il quale si è andata svolgendo la storia repubblicana italiana. Nello specifico, oltre a Moro, in questa coinvolgente inchiesta, si delineano le figure di Moretti, Cossiga, Pecorelli, le verità dei qual resteranno probabilmente nascoste ancora a lungo.
Il cuore del libro, che è anche la tesi sostenuta dal senatore Flamigni, è ben riassunto in questo brano a pagina 178 dell’edizione Kaos, casa editrice coraggiosa e troppo poco conosciuta:
“Viene colpito Moro per stroncare la politica del compromesso storico e la politica morotea di apertura al PCI, strenuamente avversata dalla amministrazione americana, dalla nomenclatura sovietica, dagli ambienti Nato, dai governi tedesco, francese e israeliano, e in Italia dalla massoneria piduista e dalla destra DC.”
Un’unica critica al libro è che si tratta di una visione, anche se ben argomentata, inevitabilmente di parte. Flamigni assolve il PCI e il ruolo da esso avuto nel supportare la DC nella ‘fermezza’ dimostrandosi più realista del re, quando invece Craxi e altre personalità cattoliche portavano avanti l’ipotesi della trattativa.
Ma il libro è comunque un macigno scagliato contro un’intera classe politica che non ha minimamente pagato delle responsabilità avute tanto che Cossiga ha potuto portare a compimento il suo cursus honorum fino alla carica più alta, quella di Presidente della Repubblica e se ci sono alla fine di questa storia altri vincitori, la P2 è senz’altro tra di essi.

giovedì 14 ottobre 2010

ALDO MORO, L'AFFAIRE - Parte 2

SE SARA’ LUCE SARA’ BELLISSIMO
AURELIO GRIMALDI - 2004


Grimaldi si impegna. Raccontare il rapimento di Aldo Moro avventurandosi per strade non battute non è un’impresa facile. E così decide di scrivere una sceneggiatura con al centro un filone principale, quello dei cinquantacinque giorni della prigionia, e un altro che cerca di seguire tanti segmenti situazionali paralleli. Così c’è la professoressa o i sindacalisti che si dichiarano né con lo stato né con le Brigate Rosse e vengono espulsi da scuola e sindacato. C’è il dibattito sul compromesso storico tra militanti di base in una sede del PCI. C’è la brutalità della tortura fisica e psicologica messa in atto dalle forze dell’ordine. C’è il potere con le sue trame e i suoi personaggi. C’è la quotidianità dei brigatisti. Ne risulta un film frantumato, con trovate di scrittura interessanti ma il regista non riesce a approfondire nemmeno uno dei molti spunti narrativi toccati.
Certo proporre una sequenza non sistematica di piccole storie implica un minimo grado di difficoltà se poi anche gli attori non riescono quasi mai ad essere convincenti il film non ci guadagna. Si salva l’ispettore Crollo, molto efficace nell’interrogatorio della professoressa.

BUONGIORNO, NOTTE
MARCO BELLOCCHIO - 2003


Quello di Bellocchio è senz’altro il migliore dei film sul caso Moro, nel quale il tocco d’autore è subito percepibile nella scelta della focalizzazione non tanto sull’episodio cruciale, quanto su un personaggio ‘marginale’ al fatto storico.
Protagonista infatti Chiara/Anna Laura Braghetti, la sua esistenza scissa in diversi ruoli che nello svolgimento filmico non riuscirà più a gestire. Chiara è divisa tra l’ambiente di lavoro, la famiglia, la prigione del popolo. Nella prigione del popolo è ulteriormente sdoppiata nella figura della vicina sposata con un marito che non è il suo vero compagno e la militante dapprima convinta poi perplessa. In più c’è il rapporto claustrofobico con gli altri brigatisti, con il Presidente, in un gioco di gabbie dentro altre gabbie nelle quali gli uomini ‘reali’ non hanno la fortuna degli uccelli, che possono volare via, né le possibilità dei sogni, che possono ribaltare la realtà. 
Dal punto di vista temporale Bellocchio non racconta solo i cinquantacinque giorni del sequestro, ma fa iniziare il film ben prima del 16 marzo 1978, dal momento in cui viene scelto l’appartamento, spazio drammatico ed esistenziale nel senso di luogo dove si svolge il dramma e luogo delle esistenze segregate di carcerieri e prigioniero.
Bellocchio come al solito farcisce il film di molti piani di interpretazione e le linee da seguire sono molteplici. Tra questa: Chiara e il collega di lavoro, Chiara e il Presidente, Chiara e i brigatisti, il comunismo sano della resistenza, il comunismo malato dell’intransigenza, i diversi linguaggi visivi utilizzati eccetera. Il regista vuole sottolinearle tutte, finendo per appesantire visione e dopo visione. E c’è anche una sceneggiatura a moltiplicare i rimandi e a sovrapporsi alla realtà.
Molto riuscita la scena in cui viene freddamente declamata l’ideologia dogmatica per bocca di Lo Cascio/Moretti, personaggio ‘condannato’ dal regista. Non condanna invece Chiara, come se ci potessero essere brigatisti buoni e brigatisti cattivi.

martedì 5 ottobre 2010

LEONARDO SCIASCIA

L'AFFAIRE MORO
LEONARDO SCIASCIA - 1983

All’interno della vasta bibliografia sul caso Moro molti sono i titoli degni di nota, tra di essi i due saggi di Sergio Flamigni, in particolare Convergenze parallele, Eseguendo la sentenza di Giovanni Bianconi e soprattutto i libri di Giuseppe Fasanella tra i quali l’inquietante Il misterioso intermediario - Igor Markevic e il caso Moro scritto con Giuseppe Rocca nel 2003 Edizioni Einaudi e al centro di poco chiare vicende editoriali. Ma il più ‘bello’ di tutti è senza dubbio L’affaire Moro di Leonardo Sciascia.

La penna di Sciascia è un questo suo volumetto leggera ed ispirata, la leggerezza dell’uccello e non della piuma, per citare Valéry. E infatti come un uccello la lingua arguta di Sciascia spazia per campi aerei che sono letteratura ma non dimentica mai l’obiettivo, che è quello di una missione civile. Deputato radicale, nel 1982 lo scrittore siciliano presenta nell’ambito della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla strage di Via Fani una relazione di minoranza di esemplare chiarezza e incisività. Nel testo ‘privato’ L’affaire Moro, uscito per Sellerio nel 1978-1983, Sciascia si pone nel solco del suo più tipico e riuscito genere di scrittura, la cronaca storica vista attraverso la lente d’ingrandimento del fine letterato.
Subito in apertura l’omaggio a Pasolini ma anche una presa di distanza dal troppo sanguigno autore friulano. Sciascia resta un illuminista e anche in questo ‘elzeviro’ è sempre presente, più o meno dichiarata, la sua critica al marxismo.
Il libro procede seguendo tutte le fasi del sequestro, evidenziando incongruenze, contraddizioni e dubbi. Dubbi che invece non turbarono mai la posizione assunta dai due partiti di massa dell’epoca, DC e PCI, sullo sfondo del Compromesso storico.
Attenta è l’analisi testuale delle lettere di Aldo Moro, e qui Sciascia raggiunge risultati altissimi dimostrando, se ancora ce ne fosse bisogno, la qualità della sua scrittura.
La lettura del libro è avvincente, come in tutte le ricostruzioni in chiave ‘gialla’ di Sciascia che trova, come sempre, il modo di citare i ‘suoi’ autori Stendhal, Pirandello, Manzoni e Savinio.

domenica 3 ottobre 2010

ALDO MORO, L'AFFAIRE - Parte 1

IL CASO MORO - 1986
GIUSEPPE FERRARA

Il caso Moro è il primo dei film che cercano di raccontare il ‘caso’ per eccellenza della storia repubblicana.
I fatti vengono narrati in maniera cronachistica, con ampio uso delle le fonti mediatiche del tempo, facendo riferimento alle dichiarazioni dei terroristi nei processi e al libro ‘I giorni dell’ira’ di Robert Katz.
Nel film i brigatisti risultano abbastanza anonimi e infatti nei titoli si preferisce non attribuire loro identità anagrafiche. Per i politici, invece, il regista si sforza di individuarli e renderli immediatamente riconoscibili e il risultato fa pensare alle ricostruzioni di trasmissioni tipo Chi l’ha visto. Anche Volonté appiattisce la sua recitazione cercando di far prevalere quella nota malinconica di Moro che, dopo la famosa foto con la stella gialla, è diventata un luogo comune. Si adegua comunque anch’egli al clima generale di una recitazione incolore.
Un film-cronaca che resta decisamente a metà del guado e s’impantana non avendo la finezza e la complessità del cinema d’autore né l’incalzare scomodo dell’inchiesta.

PIAZZA DELLE CINQUE LUNE –2003
RENZO MARTINELLI

Più che a un film siamo di fronte a una fiction televisiva. La fuga accelerata della macchina da presa sugli edifici, i dialoghi che didasca-licamente spiegano allo spettatore i fatti, la recitazione standard e poco convinta degli attori di chiara fama ne fanno un tipico prodotto da intrattenimento televisivo, anche internazionale.
Si sceglie il punto di vista retrospettivo. Sono trascorsi venticinque e questo consente di proporre alcune ‘deviazioni’ emerse, o meglio, ipotizzate nelle inchieste successive al rapimento. Interessante ma poco sviluppata – e d’altronde con tale sceneggiatura non sarebbe stato possibile – la pista che porta alla scuola di lingue Hyperion di Parigi, col ‘solito’ Murray Abraham a dare volto all’uomo del mistero. La storia è comunque messa insieme con del nastro adesivo che aderisce poco e numerosi sono infatti gli scollamenti, specie nel finale. Molto belle le locations ma per questo il merito va a Montepaschi, le cui insegne tornano nelle inquadrature, e che compare tra i ‘promotori’ del film. Ah, per chiudere, scontata la password.