cinema

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martedì 20 novembre 2012

JOE STRUMMER

ROCK ART AND THE X-RAY STYLE
JOE STRUMMER - 1999

 
 
Copertina di Damien Hirst, riferimento all’arte rupestre degli aborigeni australiani. Nell’espressione ‘rock art’ però Joe Strummer stratifica una pluralità di significati. La rock art è quella aborigena, è quella dell’artist-star Hirst ma, nel nostro caso, è quella di Strummer. Il musicista inglese è egli stesso icona ( dal greco éikóna , immagine) e basta il suo nome su una copertina per dare un’aura al prodotto.
Dopo molti anni l’aura torna a riverberare da Rock Art and the X-ray Style. L’album esce nel 1999 (a chiudere il millennio, verrebbe da pensare…), quando Joe ha 47 anni, e parlarne, soprattutto oggi, non può limitarsi ad un oggettivo resoconto critico del suo contenuto strettamente musicale. E proprio perché si tratta di un lavoro di Strummer dopo dieci anni di silenzio, nell’ascolto si va necessariamente oltre al suo semplice impatto sonoro. È un album che comunque emoziona, sia nei momenti banali, a volte anche brutti, che in quelli decisamente riusciti, alcuni dei quali lasciano un segno profondo.
In Yalla Yalla Strummer si diverte e si prende tutto il tempo necessario (7 minuti) per regalarci un affresco global le cui radici vanno ad attingere sostanze vitali dall’humus migliore di Combat Rock, e intanto: Now night is falling on the grove / You can but dream. A seguire e a chiudere il disco Willesden to Cricklewood, una malinconicamente dolce e nostalgica canzone, con accompagnamento orchestrale, che ritrae la tranquilla vita di un quarantenne con mille anni di ricordi alle spalle che passeggia per le strade del quartiere. I tell you the town looked good / Walking lonely avenues / Where rhinestone cowboys find the blues / There's people in doing their thing... È un punto di arrivo esistenziale e fa rabbia sapere che di lì a qualche anno Joe non ci sarebbe più stato.
Ma la canzone che più di tutte si imprime nel cuore è X-ray Style, ballata esotica appassionata con chitarra acustica in evidenza, dal testo che salta dal Nilo al Mississippi. X-ray contiene tutto l’universo di Joe, ed è piacevole ricordarlo con la sua voce che canta:
And I need to see in an x-ray style
I need some rock art that don't come in a vial
Can anybody feel the distance to the Nile
I wanna live and I wanna dance awhile
.



Rock art australiana, stile X-ray

Questo post è dedicato a Roberto brazzz

giovedì 6 settembre 2012

THE CLASH

DISCOGRAFIA SENTIMENTALE
THE CLASH - 1977 / 1982



 
 

Il gruppo dei Clash ha avuto per me un’importanza decisiva. Direi che sono stati formativi. Sono stati la band di riferimento della mia adolescenza e attorno alle loro canzoni si sono coagulate alcune delle esperienze determinanti per il consolidamento della personalità e di una certa visione del mondo.
Dal punto di vista affettivo, Sandinista è l’album a cui sono maggiormente legato. Quel triplo vinile e l’Armagideon Times no3 attivano links a momenti, persone, luoghi troppo importanti. Comprai Sandinista a Milano, ed è a Milano che il disco è associato e a tutto ciò che nell’81 quella città, ora così lontana, rappresentava per me. Ma parlare di Sandinista significa anche scuola superiore, luogo/dimensione ancora più lontani di Milano e significa la mia vecchia camera, allora appena dipinta color blu klein.
Musicalmente parlando è  invece London Calling il disco di riferimento. Nella mia top ten è saldamente al primo posto quale miglior album rock di sempre. E la cover, in formato poster, giganteggia attualmente nel mio studiolo rosso pompei.
Le cose cambiano. Prima era la camera il luogo del culto, ed era blu; ora è lo studio, ed è rosso. E qui ed ora, un lampo associativo, la lettera al Vettori di Niccolò…
Storicamente, fondamentale è The Clash 1977. Dopo quel dirompente esordio sarebbe cambiato tutto. D’accordo, il merito va anche ai Pistols ma il loro è stato più un impatto mediatico e d’immagine. Quella dei Clash è stata una vera rivoluzione musicale. Uno spartiacque tra il prima e il dopo. Prima di 1977 si ascoltavano i Genesis, dopo ci saranno i Joy.
Il non ufficiale Black Market con quel I don’t want to be a prisoner si associa a certi percorsi che mi avrebbero condotto verso l’Umbria.
E si arriva a Straight to Hell e direttamente a Londra, al mio girovagare per Camden, Brixton, nel Wild West End. Con questo pezzo Strummer anticipa la globalizzazione ma proprio con Straight to Hell si chiude la mia personale, magnifica parabola dei Clash. A parte Rock Art, ma questo sarà un altro post e sarà dedicato a Roberto.
1. London Calling
2. Sandinista!
3. The Clash 1977
4. Stay free
5. Straight to Hell




mercoledì 30 maggio 2012

THOMAS L. FRIEDMAN / PAUL SIMON / JOE STRUMMER

GRACELAND / UNDER AFRICAN SKIES
1986 - 2012





Thomas Friedman è top columnist del New York Times. Di lui lessi qualche anno fa il bel saggio The World Is Flat. A Brief History of the Twenty-First Century. Vincitore del premio Pulitzer, nei suoi editoriali,  molto seguiti e considerati, si occupa di geopolitica e di economia globale, quindi mi ha stupito leggere il suo ultimo intervento in apertura del NYT del 29 maggio. Non si parla di Siria o dell’attacco di Israele all’Iran, né del rallentamento dell’economia indiana o del rischio default della Spagna. No, T. L. Friedman parla di un evento secondo lui storico: l’uscita del film ‘Under African Skies’ di Joe Berlinger che celebra i venticinque anni dalla realizzazione di Graceland di Paul Simon.

Friedman racconta la storia di quello che considera un capolavoro, e lo fa partendo dal bassista Bakithi Kumalo e da come si ritrovò coinvolto nel progetto Graceland. Secondo l’editorialista americano quel progetto ha anticipato la globalizzazione facendo entrare il continente africano sullo scenario culturale mondiale. Non solo ma grazie anche a Paul Simon, la situazione di ‘segragazione’ della Repubblica Sudafricana si è fatta più evidente portando alla ribalta internazionale la lotta di un popolo per la libertà.

Tutto questo mi ha colpito molto. Le cose che dice Friedman sono proprio quelle a cui stavo pensando in questi giorni, mentre sto ascoltando il bel disco di Vusi Mahlasela, disco che mi ha fatto venire voglia di Graceland, e di riesumare il vinile del 1986 e il cd del 2004 con tre bonus tracks. Tutti gli 11 brani sono di altissimo livello, nessuna sbavatura. Disco perfetto. Nella mia top ten degli album di sempre.

Graceland è particolarmente legato anche ad alcune mie vicende personali. È il disco che ha definitivamente chiuso la stagione della new wave sia musicalmente che come stile di vita. Riascoltarlo rimanda ad un viaggio in Francia, a persone ormai lontanissime ma alle quali si pensa con piacere e con un filo di nostalgia.

Non resta che aspettare di vedere il film e intanto segnalare, come fa wikipedia, ciò che dichiarò Joe Strummer  nel 1988 in un’intervista sul Los Angeles Times:

  “I don't like the idea that people who aren't adolescents make records. Adolescents make the best records. Except for Paul Simon. Except for Graceland. He's hit a new plateau there, but he's writing to his own age group. Graceland is something new. That song to his son is just as good as ‘Blue Suede Shoes’: ‘Before you were born dude when life was great.’ That's just as good as ‘Blue Suede Shoes’, and that is a new dimension.”



sabato 18 giugno 2011

THE SPECIALS

ROCK AGAINST RACISM


Si diceva di Coventry, ma la storia nasce prima del 1977, anno in cui Jerry Dammers e altri kids si mettono a fare musica nella città industriale delle Midlands. Bisogna andare nella Giamaica degli anni Cinquanta dove, nelle periferie degradate di Kingston fanno le prime apparizioni i rude boys, ragazzi che non hanno altro da fare che stare per strada a cannarsi e a percuotere barili arrugginiti. È così che nascono lo ska e il rocksteady e successivamente il reggae. I primi rude boys di Kingston non hanno connotazioni politiche, sopravvivono di quegli espedienti che ogni parassitismo urbano offre. Fumano, fanno sesso con le rude girls o con le turiste americane che negli anni Sessanta, dopo la “caduta in mani nemiche” di Cuba, cominciano a recarsi a frotte in Giamaica alla ricerca di sensazioni forti, ma soprattutto ballano e fanno musica. Alcuni gruppi di rude boys emigrano in Inghilterra e portano il loro sistema di vita nei quartieri delle metropoli inglesi, dove si verificano i primi scontri a carattere razziale con la gioventù bianca locale. In Inghilterra i rude boys perdono l’indolenza giamaicana, si incattiviscono e soprattutto cominciano ad esprimere rivendicazioni che vengono accolte dai giovani inglesi più attenti alle questioni politiche e sociali.

L’incontro tra l’ identità nera giamaicana e la nascente protesta bianca dei punk porta allo ska degli Specials.
Tra 1976 e 1977 il rock inglese ufficiale dava segnali inquietanti. In particolare due rock star di primissimo piano come Eric Clapton e David Bowie avevano fatto infelici dichiarazioni di stampo neofascista e xenofobo. Ciò aveva scatenato la protesta culminata, dal 1978, nei concerti del Rock Against Racism, ai quali parteciparono, tra gli altri, Clash, Specials, Tom Robinson, Elvis Costello e, a Leeds anche i Joy Division.


L’impegno militante contro razzismo e fascismo porta gli Specials ad un assiduo rapporto di amicizia oltre che di collaborazione tra Dammers, Joe Strummer e Elvis Costello. Strummer, dopo aver assistito ad un concerto della band di Coventry li inviterà ad aprire le serate dei Clash nell’On Parole UKTour del 1978 mentre Costello produrrà il loro primo album nel 1979, che custodisco gelosamente, mentre ho perduto, regalati a chissà chi, i singoli, tra i quali Ghost town/Why comprati in un negozietto inglese.


Gli Specials, nel giro di qualche anno e con solo due album ufficiali in studio hanno rappresentato una fiammata che ancora oggi riesce a illuminare e a dare calore. La loro musica è una miscela esplosiva fatta di divertimento e impegno e ascoltarli mette allegria, voglia irrefrenabile di ballare ma riesce anche a far riflettere grazie agli argomenti toccati nei loro testi.


Why did you try to hurt me? Did you really want to kill me
Tell me why, tell me why, tell me why


Why do we have to fight? Why must we fight?
I have to defend myself From attack last night


I know I am black You know you are white
I'm proud of my black skin And you are proud of your white, so


We don't need no British Movement Nor the Ku Klux Klan
Nor the National Front It makes me an angry man


I just want to live in peace Why can't you be the same?
Why should I live in fear? This fussing and fighting's insane



Gli Specials sono tutt’ora on stage e il loro tour dello scorso anno è stato acclamato dalla stampa inglese come uno dei migliori rock act in circolazione. A settembre di quest’anno è prevista l’unica data in Italia, a Milano. Il divertimento è assicurato.
È il caso di dire, dal sito ufficiale della band:

“Substance wrapped in checkerboard: who else could mention the Irish Republican Army and the Ulster Defence Association in a dance track?
If you were 15 in 1979, the Specials were easy peasy lemon squeezy the greatest band on the planet. If you're 47 in 2011, nothings changed.”


Eustaki sottoscrive, anche anagraficamente!

domenica 12 giugno 2011

THE CLASH

WEST AND SOUTH LONDON


Prima che diventasse un quartiere cool Notting Hill era decisamente hot. Se oggi viene immediatamente associato alla coppia Roberts-Grant o per i più british al Notting Hill Set dei Tory Bright Youngs Cameron e Osborne, per chi ha memoria più lunga Notting Hill evoca immagini ben diverse. Lì dagli anni Cinquanta si erano concentrati i Trinis, gli immigrati dai caraibi britannici vittime di scontri razziali con i bianchi Teddy Boys che avrebbero avuto la massima violenza nella tarda estate del 1958, quando si scatenò una vera e propria guerriglia urbana.



L’anno successivo, come risposta al razzismo e all’intolleranza, si iniziò a festeggiare il carnevale in occasione della festività del bank holiday di Agosto e da allora l’appuntamento è diventato uno dei principali festival di strada del mondo.


Ma nel 1976 il carnevale è teatro di una nuova guerriglia, dove giovani bianchi e immigrati di colore lottano insieme contro le forze di polizia, quasi manifestazione violenta interrazziale di un malessere generazionale. I ‘riots’ del 1976, anno di grave crisi economica dopo lo shock petrolifero del 1973 e le prime avvisaglie dello smantellamento dell’industria manifatturiera inglese, sono l’evento sociale e politico che fa da cornice alla punk revolution. Ai riots di Notting Hill, tra i kids incazzati caricati dagli agenti ci sono Joe Strummer e Paul Simonon e l’esperienza ispirerà uno dei primissimi inni punk, White Riot


White riot - I wanna riot / White riot - a riot of my own


Black people gotta lot a problems
But they don't mind throwing a brick
White people go to school
Where they teach you how to be thick


An' everybody's doing Just what they're told to
An' nobody wants To go to jail!


All the power's in the hands
Of people rich enough to buy it
While we walk the street
Too chicken to even try it


Are you taking over or are you taking orders?
Are you going backwards Or are you going forwards?


I bianchi, secondo i Clash, dovevano fare come i neri e lanciare pietre….

Nel 1979 i Clash registrano il capolavoro London Calling che contiene The Guns of Brixton, scritta e cantata da Paul Simonon, nato e cresciuto a Brixton. A differenza di Notting Hill, Brixton non è diventato un quartiere fashion, è rimasto la capitale afrocaraibica di Londra dove nel 1981 scoppia una rivolta violentissima causata dalla povertà e dal degrado del quartiere. La canzone di Paul rispecchia questa atmosfera, fatta di sonorità reggae, violenza e disperazione e anticipa i riots dell’81:

When they kick at your front door
How you gonna come?
With your hands on your head
Or on the trigger of your gun


When the law break in How you gonna go?
Shot down on the pavement Or waiting in death row
You can crush us You can bruise us
But you'll have to answer to Oh, Guns of Brixton


In quegli anni mi aggiravo per Brixton consapevole di vivere idealmente la musica che amavo. A Brixton si respirava la vita: gente per strada, esposizioni di artisti sconosciuti, band che suonavano nei pub fin dal mattino, sporcizia, fuochi e bivacchi tra i piloni delle sopraelevate, proprio il ‘crooked beat’ della South London, altro gran bel pezzo di Simonon e intanto a Coventry….


mercoledì 2 giugno 2010

THE CLASH

SANDINISTA! 1980

THE CLASH
Con Sandinista nasce il global rock. Eccitatissimi i Clash assorbono come spugne stimoli musicali e narrativi dai più diversi contesti della realtà mondiale, specie se ‘combat’. La raggiunta e consapevole abilità di composizione consente loro di snocciolare canzoni come se stessero giocando ad un mistery game di cui si è scoperto il segreto e ora il gioco si può svolgere con disinvoltura ad occhi chiusi.
Sandinista è un divertimento impegnato e molto serio, i Clash ci credono e immergono pienamente le mani nel fangoso magma della realtà, del mondo, e lo fanno con l’entusiasmo, l’ingenuità e la forza di chi insegue un sogno pur sapendo che il presupposto rimane comunque il no future.
L’impressione iniziale è di essere ‘lost in the supermarket’. Si tratta di un’impressione bellissima quella di avere una così ampia scelta a disposizione, assaggiare qua e là passando tra i generi più diversi, vagare senza meta, curiosi di scoprire la prossima sorpresa, perché senz’altro sarà una sorpresa. Questo è Sandinista, un disco tutto per l’ascoltatore dove il cuore dei Clash pulsa dall’inizio alla fine innamorato della musica, della gente, del trasmettere musica alla gente. In quegli stessi anni si stava affermando un altro grande compositore di canzoni, Sting, con una differenza rispetto a Strummer: per i Police ogni canzone è costruita per essere una hit potenziale; per i Clash, almeno fino a Sandinista incluso, questo non avviene mai, anche se in Sandinista di hit tra le 36 traks se ne potrebbero trovare molte. Alcune segnalazioni seguendo la suddivisione del vinile.
Lato 1: ecco proprio il mondo delle classifiche, dei singoli e della felicità adolescenziale concentrata nei 2’e 39” di un successo qualsiasi, Hitville in UK, una motown sound ballad cantata dalle ‘voci bianche’ che torneranno in Career opportunity. Ma ecco anche il funky rap dei magnifici sette col quale per la prima volta un gruppo post-punk inglese apre alla scena nera newyorkese. Il lato si chiude con Something about england, bel testo sulla memoria storica del Novecento, canto punk, inserimenti orchestrali, tastiere pop, coro finale.
Lato 2: nostalgia del 1977 in Somedody got murdered; ancora, i vari ritmi neri, siano essi genericamente jazz o reggae, assumono timbri di acidità elettrica o si dilatano: la musica si polverizza, i suoni si moltiplicano e si amplia l’organico strumentale: percussioni, fiati su fiati, voci alterate, sovrapposte, il dub.
Lato 3: grande apertura col punk melodico di denuncia anticapitalistica di Up in heaven e poi arriva il Terzo mondo ormai occidentalizzato o forse l’occidente terzomondizzato di Let’s go creazy. If music could talk: una lunga linea melodica di sax e una doppia narrazione sovrapposta di storie quotidiane ed esotiche con il gruppo al massimo della forma. Un’altra sorpresa, lo spiritual nero di Sound of the sinners e siamo solo a metà albun
Lato 4:chitarre sparate, batteria secca, testo urlato, proprio di chi corre avendo la polizia alle calcagna e subito dopo radicale cambiamento di situazione con the equaliser, quasi un folk-reggae che dimostra le possibilità infinite di sperimentazione applicabili a forme musicali abbastanza rigide come la musica giamaicana. Washington bullets è una pop song latina dolce e melodica il cui testo tocca gli orrori del mondo: Cile, Nicaragua, URSS, Tibet. Semplicemente geniale nella struttura: orecchiabile, fresche percussioni da foresta tropicale, coretti femminili, voci da combattimento di galli, chiusura con note di hammond. Infine Broadway e siamo all’intrattenimento confidenziale swingeggiante che cresce con percussioni da reggamuffin
Lato 5: Charlie don’t surf, canzone da spiaggia anni ’60, solo di tastiere che tracciano tre giri di melodia, ingresso di chitarra e percussioni dal ritmo spezzato con testo tragico di guerra al Napalm. Il sottosviluppo di fame e ribellione di Kingston advice e la sommessa Street parade con la disperazione dell’inciso e le chitarre che ostinate si incrociano come spade nel refrain.
Lato 6: tra frammenti di studio e campionature, l’armonica americana di Version city, e una chiusura ironica, struggente,uno sberleffo geniale con il ritmo da reggae lento, i pizzicati acustici delle chitarre a ricamare dolci trame e poi pernacchie, rumori, un aereo che s’invola.