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giovedì 7 maggio 2015

LIBANO - SIRIA

OFFENSIVA HEZBOLLAH  
5 MAGGIO 2015



Tfail è un villaggio libanese che si trova in una lingua di territorio incuneata all’interno della Siria. Il confine, segnato solo sulle mappe, è a qualche centinaio di metri dalle case del villaggio. Zona grigia, enclave e terra di nessuno, con la guerra civile siriana quest’area ha visto intensificarsi scontri tra le varie fazioni in lotta e continui attraversamenti di confine. Soprattutto di milizie sciite che dal Libano portano attacchi ai rivali di Assad. 

In questa provincia occidentale della Siria sono attivi gli islamisti di Al Nusra, affiliati ad Al Qaeda. Si ripropone, per tanto, il solito scontro tra sciiti e alawiti da una parte e i sunniti dall’altra. Nel mezzo i circa duemila abitanti di Tfail. Isolati per diversi mesi, nell’ottobre del 2014 sono stati raggiunti da un convoglio della Croce Rossa libanese, dopo trattative che hanno coinvolto Hezbollah, leader sunniti, forze governative di Beirut e Damasco. Ma subito dopo l’intervento, gli scontri sono ripresi e hanno lasciato sul campo diverse vittime. 

L’ultimo di questi scontri porta la firma di Hezbollah. Due giorni fa, sono caduti, in un’imboscata, almeno una quindicina di miliziani di Al Nusra. Gli sciiti libanesi, secondo fonti della sicurezza di Beirut, riportate dal quotidiano The Daily Star, raggiunto Tfail hanno poi compiuto un’incursione in territorio siriano, nella provincia di Qalamoun, distruggendo una postazione qaedista. 

Lo stesso giorno varie unità di islamisti operanti nella stessa area siriana hanno annunciato, via Twitter, la formazione di una cellula dell’Esercito della Conquista,  gruppo nato da pochi mesi e in espansione nella galassia del terrorismo anti Assad.


 “By the grace of god, the Army of Conquest of Qalamoun has been established from the loyal and truthful members of most factions in Qalamoun,” il twit. La situazione siriana è sempre più complicata.

Milizie Hezbollah

domenica 16 marzo 2014

ITALO TONI / GRAZIELLA DE PALO

BEIRUT - 2 SETTEMBRE 1980





La DC al governo, uomini di punta Andreotti e Moro, molto attivi nelle relazioni internazionali. Negli anni ’70 l’Italia, a causa della sua posizione geografica, si ritrovava ad essere uno dei crocevia dei due più importanti affaires di politica estera: il conflitto freddo Est-Ovest e il conflitto armato arabo-israeliano. In quest’ultimo la linea seguita dall’Italia era quella filo-araba.

Democrazia Cristiana e Partito Comunista hanno sempre guardato con diffidenza a Israele. La sinistra collegava la nazione ebraica all’imperialismo americano mentre più pragmaticamente le volpi democristiane avevano molto più da guadagnare stabilendo canali ufficiali e non con gli arabi. C’era di mezzo il petrolio ma c’era anche il proposito di concordare con i palestinesi una pax duratura, il così detto Lodo Moro, che evitasse di coinvolgere l’Italia negli attacchi terroristici tipo Monaco ’72. Di fatto l’OLP aveva nell’Italia l’alleato più sicuro dell’Europa occidentale, potendo contare sia sulle forze governative che su quelle di opposizione, anche extraparlamentare.

Il 13 aprile 1975 dei palestinesi uccidono a Beirut il leader dei falangisti cristiani libanesi Pierre Gemayel. È l’inizio di una serie di vendette incrociate che scateneranno la guerra civile nel paese levantino che finirà soltanto nel 1991. Il Libano diventa teatro di scontri tra le numerose fazioni interne e che ben presto vedrà la partecipazione dei paesi vicini. Siria, Israele, Paesi del Golfo, Iran e le principali reti di intelligence del mondo.

A Beirut si incrociano petrodollari sauditi, finanzieri londinesi, gli interessi della ricca diaspora libanese, trafficanti di armi e droga. Come sempre in Medio Oriente, gli affari si legano alle divisioni etnico-religiose e politiche, nella cornice più ampia del bipolarismo e della rivalità tra sovietici e americani.

È in questo contesto che il 22 agosto del 1980 giungono a Damasco, destinazione Beirut, due giornalisti italiani, Italo Toni e Graziella De Palo. Lui esperto corrispondente dai luoghi caldi per Paese Sera, conoscitore del Libano con un non meglio precisato incarico presso il Ministero degli Interni; lei giovane ed entusiasta pubblicista che aveva sposato la causa palestinese. L’intenzione era quella di seguire la pista del traffico di armi e di droga sulla rotta Beirut-Damasco.

Le due capitali distano qualche ora di auto, la strada attraversa la regione della Beqaa, fertilissima valle coltivata a oppio e cannabis. Il confine Siria-Libano, allora come oggi, era il luogo giusto per reporter  a caccia di scoop. Come lo era il sud del Libano con i campi-profughi palestinesi.

Il 24 agosto i due italiani sono a Beirut e iniziano a muoversi cercando contatti con i vari gruppi militarizzati attivi nella città, in particolare nella parte ovest, quella controllata dai palestinesi. La mattina del 2 settembre 1980 hanno un appuntamento. Escono dall’hotel dove risiedono e salgono su un’auto. Da quel momento di Italo e Graziella non si avranno più notizie.

Come da copione si verificheranno depistaggi, interventi dei servizi segreti italiani e esteri, di massoni maroniti e perfino del generale del Sismi Santovito, legato a Licio Gelli. Con lo Stato italiano non certo pronto a collaborare e che anzi farà di tutto per chiudere la vicenda e avvolgerla in un silenzio tombale.


Ancora oggi la verità e la giustizia sono lontane e sempre più difficili dall’affiorare. Si possono soltanto fare ipotesi. Quella più verosimile è che Toni e De Palo siano finiti nelle mani degli estremisti del Fronte Popolare Liberazione Palestina, scambiati per spie israeliane o forse testimoni di qualche verità compromettente.  La causa palestinese non poteva essere screditata come non poteva essere messo in discussione il Lodo Moro da parte dello Stato italiano.  Da qui la probabile eliminazione dei due scomodi giornalisti.

Il Libano nel 1982, ai tempi dell'occupazione israeliana chiamata
'Operazione Pace in Galilea'. Cartina da Frigidaire, n. 32-33 estate 1983

sabato 15 marzo 2014

LEBANON

SAMUEL MAOZ - 2009
LEONE D'ORO MIGLIOR FILM 66 MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA






Una didascalia ad inizio film ci informa che è il 6 giugno 1982, primo giorno della Guerra del Libano.
Siamo all’interno di un carro armato israeliano e lì resteremo per tutta la durata del film assieme ai quattro giovani e inesperti soldati dell’equipaggio. Da questa postazione privilegiata assisteremo ad una guerra come mai si era vista al cinema.  

Sudore, lacrime, urina, fumi di scarico, sangue, acqua di condensa che cola, questo è ciò che riempie il vano di combattimento del carro. Pochi metri cubici, il contatto con il mondo esterno avviene grazie al periscopio, a confuse comunicazioni radio e a qualche visita dell’ufficiale che comanda un plotone in supporto al blindato che con altri ‘intrusi’ entrano nell’utero-armato che accoglie anche lo spettatore. Il quale, come i quattro soldati, si sente intrappolato nel carro e spera che da un momento all’altro la camera esca fuori dal portello della torretta. La camera invece non si muove, rimane addosso ai soldati e alle loro crisi nervose.

E come i quattro soldati anche noi vediamo la guerra attraverso i loro occhi e attraverso il prolungamento della loro vista rappresentato dal periscopio che con rumore metallico si sposta a scatti e inquadra quello che dovrebbe essere la realtà.

Si crea in tal modo uno schema di questo tipo: spettatore   interno del carro(realtà dei soldati in guerra) → osservazione della realtà esterna (manifestazione dei fenomeni bellici) → reazioni che i fenomeni bellici innescano nei soldati all’interno del carro → ritorno emozionale dai soldati allo spettatore.
Grazie a questo riuscito sistema di relazioni il film trasmette il senso di claustrofobica angoscia che rende partecipe lo spettatore il quale anch’egli vuole uscire, tornare a casa, quasi fosse fisicamente dentro al carro armato.


Questa location è l’elemento più interessante del film. Il resto è più o meno la solita retorica antimilitarista condita da immancabile realismo al sangue, vittime innocenti, soldati fragili in balia degli eventi. Anche chi dovrebbe dare ordini e informazioni non è in grado di farlo e il carro armato diventa un bateau ivre alla deriva in un campo di girasoli.


giovedì 13 marzo 2014

LIBANO

PRIMAVERA DI GUERRA?


 19 Febbraio 2014. Bomba presso centro culturale iraniano a Beirut. Reuters


La guerra civile in Siria sta trascinando nel caos anche il vicino Libano. Come altre volte nella storia recente, instabilità esterne provocano ripercussioni nel piccolo paese di monte e di mare che, nonostante tutto, trova sempre il modo per rilanciarsi. Questo grazie ad una tradizione mercantile e borghese che negli altri paesi arabi troppo spesso è stata sopraffatta da invadenti ideologie, laiche o religiose che fossero. 

All’interno del mondo arabo il Libano è infatti per molti aspetti un’eccezione. A volte considerata come il fiore all’occhiello, altre blasfemo esempio da condannare. E comunque i libanesi hanno un innegabile istinto per il business. Possiamo trovare uomini d’affari di Beirut o di Tripoli tra i finanziatori di imprese impossibili dall’America Latina all’Africa Subsahariana per citare luoghi diversi dai soliti financial hubs di Londra o Singapore. Tanto per fare qualche esempio, l’uomo più ricco del mondo, secondo Forbes, è il messicano di origine libanese Carlos Slim. Oppure i boss di Swatch, Chiquita, Nissan e Renault. Ma che paese è il Libano e perché dall’estate del 2013 sempre più attentati sconvolgono la costa dei cedri?

Intanto va chiarito che il Libano è un paese di lingua araba ma dal punto di vista etnico-religioso le cose sono un po’ più complicate tanto complicate che ci si chiede come possa esistere un’identità nazionale in una tale nazione-mosaico. Ci si chiede anche quanta differenza passi tra un druso siriano di Sweida e un druso libanese della Beqaa o, per contrasto, quanto simili siano uno sciita di Tiro e un maronita di Batroun. Ma questi sono interrogativi che solo un “esterno” può porsi.

Comunque l’anarchia siriana sta producendo un milione di profughi in libano, paese che non raggiunge i cinque milioni di abitanti tra i quali vivono ancora oggi centinaia di migliaia di palestinesi rifugiati dal post-1948.

Ed ecco che, dopo la guerra civile, l’occupazione siriana, gli interventi israeliani, gli attentati devastanti, proprio quando si sperava che i libanesi potessero tornare a godersi i caffè del lungomare e a riallacciare i loro contatti commerciali internazionali torna l’incubo del caos prezzolato. Si colpisce il quartiere sciita di Beirut, Hezbollah fa fuori personalità sunnite. Esplodono autobombe davanti all’ambasciata di Teheran, gli sciiti rispondono con gli šuhadā suicidi. E la frontiera tra Beirut e Damasco viene continuamente attraversata nei due sensi da profughi, qaedisti, consiglieri iraniani, falangisti assoldati dal Mossad. 

Perché la storica rivalità religiosa sta tornando a livelli di massimo allerta. Gli sciiti libanesi appoggiano il dittatore siriano Assad che appartiene alla setta sciita degli alawiti, mentre i ribelli siriani sono in prevalenza sunniti e ricevono aiuti dai sunniti libanesi. Dalla scorsa estate sono tornati gli attentati a Beirut, dietro ai quali, oltre alle divisioni interne, si stanno intrecciando fili che portano lontano, oltre confine: Iran, Siria, alcuni Stati del Golfo.


Da circa  un mese si è insediato un nuovo governo, a prevalenza sunnita ma con appoggio di cristiani e sciiti, il cui compito principale è quello di garantire la sicurezza nazionale, con un occhio oltre il confine est, verso Damasco.

Carta elaborata da Michael Mehrdad Izady, Columbia University