19 Febbraio 2014. Bomba presso centro culturale iraniano a Beirut. Reuters |
La guerra
civile in Siria sta trascinando nel caos anche il vicino Libano. Come altre
volte nella storia recente, instabilità esterne provocano ripercussioni nel
piccolo paese di monte e di mare che, nonostante tutto, trova sempre il modo
per rilanciarsi. Questo grazie ad una tradizione mercantile e borghese che
negli altri paesi arabi troppo spesso è stata sopraffatta da invadenti
ideologie, laiche o religiose che fossero.
All’interno del mondo arabo il
Libano è infatti per molti aspetti un’eccezione. A volte considerata come il
fiore all’occhiello, altre blasfemo esempio da condannare. E comunque i
libanesi hanno un innegabile istinto per il business. Possiamo trovare uomini
d’affari di Beirut o di Tripoli tra i finanziatori di imprese impossibili dall’America
Latina all’Africa Subsahariana per citare luoghi diversi dai soliti financial
hubs di Londra o Singapore. Tanto per fare qualche esempio, l’uomo più ricco
del mondo, secondo Forbes, è il messicano di origine libanese Carlos Slim.
Oppure i boss di Swatch, Chiquita, Nissan e Renault. Ma che paese è il Libano e
perché dall’estate del 2013 sempre più attentati sconvolgono la costa dei
cedri?
Intanto va
chiarito che il Libano è un paese di lingua araba ma dal punto di vista etnico-religioso
le cose sono un po’ più complicate tanto complicate che ci si chiede come possa
esistere un’identità nazionale in una tale nazione-mosaico. Ci si chiede anche
quanta differenza passi tra un druso siriano di Sweida e un druso libanese
della Beqaa o, per contrasto, quanto simili siano uno sciita di Tiro e un
maronita di Batroun. Ma questi sono interrogativi che solo un “esterno” può
porsi.
Comunque l’anarchia
siriana sta producendo un milione di profughi in libano, paese che non
raggiunge i cinque milioni di abitanti tra i quali vivono ancora oggi centinaia
di migliaia di palestinesi rifugiati dal post-1948.
Ed ecco
che, dopo la guerra civile, l’occupazione siriana, gli interventi israeliani,
gli attentati devastanti, proprio quando si sperava che i libanesi potessero
tornare a godersi i caffè del lungomare e a riallacciare i loro contatti commerciali
internazionali torna l’incubo del caos prezzolato. Si colpisce il quartiere
sciita di Beirut, Hezbollah fa fuori personalità sunnite. Esplodono autobombe
davanti all’ambasciata di Teheran, gli sciiti rispondono con gli šuhadā suicidi.
E la frontiera tra Beirut e Damasco viene continuamente attraversata nei due
sensi da profughi, qaedisti, consiglieri iraniani, falangisti assoldati dal
Mossad.
Perché la storica rivalità religiosa sta tornando a livelli di massimo
allerta. Gli sciiti libanesi appoggiano il dittatore siriano Assad che
appartiene alla setta sciita degli alawiti, mentre i ribelli siriani sono in
prevalenza sunniti e ricevono aiuti dai sunniti libanesi. Dalla scorsa estate
sono tornati gli attentati a Beirut, dietro ai quali, oltre alle divisioni
interne, si stanno intrecciando fili che portano lontano, oltre confine: Iran,
Siria, alcuni Stati del Golfo.
Da circa un mese si è insediato un nuovo governo, a
prevalenza sunnita ma con appoggio di cristiani e sciiti, il cui compito
principale è quello di garantire la sicurezza nazionale, con un occhio oltre il
confine est, verso Damasco.
Carta elaborata da Michael Mehrdad Izady, Columbia University |
Nessun commento:
Posta un commento