GEOPOLITICA DELLE RIVOLUZIONI
Cerchiamo di fare il punto, il più sinteticamente possibile, su quanto sta accedendo in quello che George Bush definì the Broader Middle East.
Dopo l’autocombustione del giovane ambulante tunisino Bouazizi il 17 dicembre del 2010, il movimento di protesta ha investito molti paesi arabo-islamici. Generalizzando si può parlare di una richiesta di giustizia e libertà da parte di masse popolari prevalentemente giovani e alfabetizzate nei confronti di autocrazie corrotte e saldamente al potere da decenni e in gran parte restie a qualsiasi tipo di apertura al cambiamento.
Ma la situazione va declinata caso per caso in quanto le implicazioni interne e le relative relazioni di ogni singolo stato nel più ampio contesto geopolitico impediscono di affrontare l’argomento come un movimento complessivo ed omogeneo.
Tunisia
La rivolta è partita da uno stato laico, legato all’occidente (tanto che la caduta di Ben Ali ha fatto cadere il ministro degli esteri francese), per motivazioni prevalentemente economiche. L’aumento dei prezzi delle commodities associato ad un’alta disoccupazione e ad un buon livello di istruzione dei giovani con scarse prospettive di lavoro hanno scatenato la rivoluzione che rapidamente e senza causare gravi danni ha portato al primo regime change dell’area.
Egitto
Situazione più complicata per le dimensioni del paese, per la sua importanza storico-culturale, per la posizione geografica, per la rete di relazioni interislamiche di cui esso è perno ma soprattutto per essere un soggetto fondamentale del dialogo arabo-israeliano e arabo-statunitense. Da considerare anche il fatto che in Egitto la principale forza organizzata con funzione alternativa al potere burocratico-militare al comando è quella del partito islamico dei Fratelli Musulmani, con tutte le preoccupazioni che ciò comporta. Rivoluzione di piazza sostanzialmente pacifica e controllata dall’onnipotente esercito, quella egiziana sta portando il più popoloso dei paesi arabi verso una costituzione ‘popolare’ e verso elezioni che saranno senz’altro le più libere della storia dell’Egitto.
Libia
Paese con un livello di benessere superiore rispetto a quelli confinanti, qui la protesta del 17 febbraio è nata come l’ennesimo atto di sfida della Cirenaica contro il potere della Tripolitania impersonato da Gheddafi. Secolari rivalità tribali mai sopite nonostante il tentativo coloniale italiano di dar vita ad uno stato unitario si sono sempre manifestate sotto il regime militare e il Colonnello le ha sempre soffocate con la forza. I ricchi gruppi di esuli libici in Svizzera e a Londra, assieme ai tradizionali nemici sunniti della penisola araba hanno fomentato la rivolta bengasina. Informazione sapientemente pilotata, ingenti risorse di idrocarburi da gestire, possibilità di eliminare un pluridecennale ‘nemico dell’occidente’ senza troppe conseguenze geopolitiche(unico paese a rimetterci sarà l’Italia, ma questo potrebbe essere un altro punto a favore dell’intervento), propaganda umanitarista con i buoni che soccorrono gli insorti. Questo ed altro hanno permesso l’intervento (comunque tardivo, ma bisognava aspettare l’assenso degli arabi) sacrosanto contro Gheddafi. Un tiranno in meno ed evitare la punizione contro gli insorti di Cirenaica sono atou che fanno pendere la bilancia a favore dell’intervento. Restano però tutti i dubbi, le incertezze e le preoccupazioni che una guerra a due passi da casa nostra e così malamente condotta ovviamente suscita.
Yemen
Altro regime change in atto. Il presidente Saleh, dopo oltre trent’anni di potere assoluto ha annunciato che il figlio non sarà più il suo successore e che egli stesso è pronto a ritirarsi e a indire elezioni come chiesto dalla folla in rivolta. Qui la situazione è delicata. Il paese è tradizionalmente diviso tra Nord e Sud, non solo ma il pericolo islamista è reale. Nuclei qaedisti sono sempre stati presenti nelle isolate valli del nord, al confine con l’Arabia Saudita e comunità sciite vicine all’Iran costituiscono un ulteriore motivo di preoccupazione, tanto da far inserire lo Yemen, dopo l’11 settembre, nella lista degli stati canaglia stilata dall’amministrazione Bush. Guerra civile, islamismo, terrorismo nella penisola araba all’imbocco del Mar Rosso non sono certo noccioline, con l’aggravante che sull’opposta costa africana c’è la Somalia con la sua anarchia fondamentalista.
Siria e Giordania
Qui la situazione è complicata dal fatto che i paesi sono strettamente legati ai fragilissimi equilibri geopolitici dell’area, che ha come core problem l’irrisolto conflitto israelo-palestinese e i suoi addentellati a Gaza e soprattutto nel Libano. Israele è terrorizzata da un cambiamento delle leadership siriana e giordana. In Giordania la maggioranza della popolazione è di origine palestinese e grazie alla diplomazia e agli aiuti economici Re Abdallah ha garantito una politica di collaborazione con Israele alleggerendo la pressione sul confine est. Anche la famiglia Assad di Siria, nonostante la propaganda anti israeliana, non ha mai impensierito Israele. Il conteso confine del Golan è tranquillo dal 1967. Dopo le proteste e i morti la Giordania ha un nuovo governo. Più complessa la situazione in Siria dove la reazione del potere è stata molto dura e al momento Assad sembra restio a fare concessioni, nonostante le pressioni turche sul presidente siriano.
Bahrain
Nonostante le piccole dimensioni dello stato insulare, questo è forse il nodo critico dell’intero scenario mediorientale. In stato d’assedio da febbraio, il re sunnita al potere sta usando il pugno duro con i manifestanti. La popolazione del regno è a maggioranza sciita e questo mette in apprensione l’Arabia Saudita. Dietro al piccolo regno del Bahrain infatti si muovono i due rivali storici della regione, sauditi e iraniani, ossia arabi contro persiani, sunniti contro sciiti. L’Iran ha sempre avanzato rivendicazioni sul regno, che è anche sede della più importante base militare USA nel Golfo e reparti militari sauditi sono entrati nell’isola per proteggere il re.
….continua
Ci vuole il microscopio, amicae.
RispondiEliminaL'orrore va tagliato a lasagne, a cubetti. Quando una macchina umanitaria si alza dai nostri suoli per fare le sue porchette in altri suoli stai certo che il microscopio non te lo presterà nessuno per farti vedere l'orrore e lo squartamento. La gente vuole vedere la pinguedine di Ferrara, di Santoro, di Gad, spanciati di parole e cucite espressioni. Alla gente non interessa la zuppa di sangue mentre si diverte.
Sposare una causa è una roba pagliaccesca. Le cause ci attraversano come spifferi di vento, stampaglia, operai scarnificati dell'opinione, gazzettieri, filosofi in poppa, gendarmi del razionalismo. Solo mettendoci il becco, nel pieno magma che cuoce, si può iniziare a dire A B. Ma anche qui, conta davvero poco. Disillusione e pernacchio se sale la mosca al naso. Io del nord Africa me ne frego altamente
@ ciao daniz.
RispondiEliminapieno magma che cuoce
ratatatatata tum bum
Più che primavera,io vedo un possibile inverno.
RispondiEliminaSai già come la penso in merito,e non insisto.
Quand'è che interveniamo in Siria,o Assad ,che spara senza ombra di dubbio sui civili inermi,è un irreprensibile democratico.
Coerenza vorrebbe...
Meglio non parlare di giusto o ingiusto,altrimenti bisogna buttar alle ortiche tanti nostri appassionati ragionamenti e contraddirsi ogni dieci minuti.
ciao
@ johnny doe.
RispondiEliminaio non parlo di guerre giuste, mi limito ad osservare ciò che avviene. la guerra contro gheddafi era opportuna la guerra contro la siria no. io condanno sia gheddafi che assad. contro la libia ci sono le condizioni per l'intervento, contro assad al momento no. tutto qui. la guerra ai telebani l'ho considerata opportuna, la guerra all'iraq meno. io non sto giudicando, sto osservando. e cerco di capire e farmi delle idee. ovviamente rispetto le idee degli altri, però cerco di distinguere gli scenari. assad va condannato e non da ora ma reputo impossibile al momento un intervento contro di lui.
è stimolante discutere con te
grazie e a presto