WYSTAN HUGH AUDEN - 1974 / 2011
Auden
è il poeta più ‘classico’ del Novecento. È ormai riconosciuto come un classico
e questa è condizione ovvia ma necessaria per poterlo definire tale: un autore
è un classico quando i fruitori delle sue opere (lettori, critici, altri
autori) così lo definiscono e lo
percepiscono. Soprattutto lo è quando è lo stesso autore a ritenersi un
classico, a viversi quale auctor.
Grazie,
nebbia, raccolta appena uscita da Adelphi, tradotta non sempre felicemente da
Alessandro Gallenzi, comprende l’ultima produzione di Auden. Si tratta di testi
molto vari per temi, metri e forme che hanno in comune la sicurezza, la levità
e la profondità che solo la piena consapevolezza delle proprie capacità riesce
a trasmettere.
Si
potrebbe parlare di nugae, almeno nello spirito con il quale sono scritte,
anche se spesso i contenuti sono filosofici, scientifici: forme poetiche
chiuse, schemi metrici tradizionali ma non rigidi, ampio cromatismo lessicale
che spazia dai termini letterari a quelli gergali contemporanei agli specialismi
della tecnicoscientifici. Ha ragione Alfonso Berardinelli a parlare di poesia
illuminista.
In
questa raccolta uscita postuma nel 1974, un anno dopo la morte, troviamo il
piacere del ritrovarsi tra cari amici, di osservare i quotidiani fenomeni della
natura, di rileggere gli autori preferiti e troviamo anche spassose
considerazioni sulla vita, sui comportamenti degli uomini che Auden coglie
sempre con spunti di divertito moralismo. Termine usato in senso classico,
naturalmente.
Tra
gli esempi di questa poesia così sicura, solida ma leggera al tempo stesso mi piace
citare Aubade. Il titolo rimanda al
genere trobadorico delle ‘albe’, componimenti che trattano il momento del
risveglio e della separazione degli amanti. Qui Auden riprende però la variazione
che dell’aubade avevano fatto i poeti elisabettiani e dall’erotismo provenzale
vira decisamente verso il contenuto metafisico, citando Sant’Agostino, John
Donne e il filosofo Rosenstock-Huessy,
Molto
bella Unpredictable but Providential nella quale si affronta il tema
dell’evoluzione della specie secondo un andamento che parte dal generale, dal
cosmo, per giungere in chiusura a rivelazioni molto personali che acquistano
valore universale.
Ci sono
poi una serie di flash, brevissimi nuclei poetici dal carattere gnomico-brillante,
che compongono la serie Shorts, ma anche un più disteso intermezzo teatrale che
drammatizza con garbo da commedia dell’arte i cinque sensi.
Una
raccolta intensa nella quale il poeta ‘ufficiale’
si diverte e divertendosi può veramente concedersi tutto e tutto quello che
tocca diventa poesia.
Post
scriptum. Leggendo questi versi dei primi anni Settanta, ci si rende conto di
quanto sia goffo ed ostentato il versificare di un Arbasino, il quale vorrebbe
chiaramente essere Auden ma resta semplicemente un buon conversatore da
salotto, pettegolo e a volte petulante.
Questo
post è dedicato ad Ettore.
Edizione di Thank you, Fog con dedica di Christopher Isherwood a due amici
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Articolo bellissimo, Eustaki, e grazie per la dedica.
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