(SHANGHAI LEGEND)
La macchina
da presa resta fissa o si muove lentamente a seguire il soggetto inquadrato con
movimento prevalentemente da sinistra verso destra, lentezza in qualche caso
accentuata dal ricorso allo slo-mo.
Le immagini
riprese sono rese con profondità di campo anche quando si riferiscono ad
interni spazialmente limitati. Gli ambienti filmati sono avvolti da un pulviscolo
che paradossalmente esalta la nettezza di volumi.
È l’atmosfera
di Shanghai che il regista vuole ricreare e lo fa magistralmente componendo una
sinfonia nella quale si alternano immagini di repertorio, interviste, vita
quotidiana attuale con un tema, la presenza di una giovane donna che attraversa
la città-opera.
Jia
Zhang-ke si sofferma sui volti,
sulle quotidiane azioni di gente che lavora, che fatica e si svaga, sul fiume
che di azzurro ha solo il nome, sulle strade che si sanno caotiche e inquinate
ma che, facendocelo intuire mostrandocele, riesce a relegare gli aspetti
negativi in secondo piano grazie alla commovente bellezza delle riprese.
Si potrebbe
leggere questo film come la testimonianza delle contraddizioni della Cina e del
suo tumultuoso grande balzo in avanti ma sarebbe non solo banale e riduttivo ma
anche fuorviante. Questo film è un atto d’amore verso una città ed afferma la
volontà di conoscere e far conoscere Shanghai attraverso una poetica che ad
ogni inquadratura reca in sé questo amore che anche noi spettatori istintivamente
proviamo.
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