cinema

mercoledì 22 giugno 2011

CHRISTOPHER ISHERWOOD - parte 2

LA VIOLETTA DEL PRATER / LITTLE FRIEND
ISHERWOOD / VIERTEL - 1934


 
Christopher Isherwood where have you been?
I’ve been to London to write for the screen
Christopher Isherwood, what did you there?
I squeaked like a mouse, and brought forth a bear


La fatica (bear) che lo stava impegnando era La Violetta del Prater, un vero e proprio divertimento serio sul cinema, raccontato in prima persona da un narratore che si chiama Christopher Isherwood, il quale fa lo sceneggiatore di un film che si intitola La Violetta del Prater (il film effettivamente realizzato è Little friend, del 1934), sotto l’aura affascinante e lunatica di un regista ebreo viennese, Friedrich Bergmann (in realtà Berthold Viertel).
La fatica che Isherwood, squittendo come un topo, stava portando avanti si rivelerà un’esperienza fondamentale:

“I giorni che seguirono furono il periodo più incredibile della mia vita. Finii col perdere il senso dello spazio e del tempo, ed ero sempre stanco. Tutti erano stanchi, e tuttavia lavoravamo con una gioia più profonda”. Il trentenne Christopher trova una guida nel maturo regista che alla fine riconoscerà come un padre: “a livello più profondo della coscienza, due esseri, anonimi, senza etichette, si erano incontrati, identificati, e si erano stretta la mano. Egli era mio padre. Io ero suo figlio”.

Il romanzo narra dunque questo rapporto padre-figlio, una sorta di Dante e Virgilio che si aggirano nelle bolge del cinema e naturalmente, al centro della vicenda c’è il cinema stesso con tutti i figuranti, maggiori e minori, produttori e segretarie, i quali, ognuno con il proprio apporto, concorreranno al compimento dell’opera collettiva che è il film.

Ogni figura esercita una funzione all’interno del processo di realizzazione della Violetta del Prater ma il romanzo coglie con sintetica lucidità aspetti intimi di tali ‘figure’ dando carattere ad tutti gli attori in campo, grazie alla naturalezza dei dialoghi i quali, nella maniera più spontanea, toccano argomenti davvero significativi. Tra tutti occupa un posto centrale la riflessione sul cinema.

“Per anni ho avuto una sola grande ambizione. Mi danno del pazzo ma non me ne importa. La Tosca. Con la Garbo. Senza musica, naturalmente”, dice Mr. Chatsworth, il produttore, e basta questa dichiarazione a sott’intendere uno stile e una visione del mondo. In quella frase c’è snobismo, gusto del paradosso, chiacchiericcio colto, consapevolezza del ruolo esercitato e un grande amore per il proprio lavoro.

Ma è nel rapporto tra regista (Virgilio, padre, Bergmann/Viertel) e sceneggiatore (Dante, figlio, Isherwood, narratore) che la passione per il cinema si esprime con la massima profondità

“Le insegnerò ogni cosa dal principio. Sa che cos’è un film?”. Bergmann fece coppa delle mani, amorosamente, come intorno a un fiore prezioso: “Un film è una macchina infernale; una volta accesa gira con una dinamica irresistibile […] matura verso la sua inevitabile esplosione. E questa esplosione noi dobbiamo prepararla, come anarchici, con la massima ingegnosità e malizia”.

Il narratore si ritroverà a 'recitare' questa tesi del regista mentre fa colazione con la madre e il fratello, geniale riduzione di contesto per uno degli aspetti nodali dell’estetica cinematografica:

 “Un quadro lo si può guardare solo fuggevolmente, o si può fissarne l’angolo in alto a sinistra per una mezz’ora di seguito. La stessa cosa vale per un libro; l’autore non può impedirvi di saltare delle pagine. Ma quando si va al cinematografo è diverso. C’è il film, e lo si deve vedere come il regista vuole che lo si veda. […] Il film è veramente una specie di macchina infernale…”. M’interruppi bruscamente, le mani per aria. M’ero sorpreso nel mezzo d’uno dei gesti più caratteristici di Bergmann.

E qui teoria, levità, gusto e maestria narrativa toccano un culmine.

Altra definizione di cinema viene dichiarata da Lawrence, il montatore, allo scrittore Isherwood:

“Voi scrittori avete tutti delle pose schifosamente romantiche. Tu credi che il cinematografo sia un’arte inferiore. È il cinema che vale molto più di te. Abbiamo bisogno di tecnici. Grazie a Dio io sono un montatore, conosco il mio mestiere. Io non tratto la pellicola come se fosse un pezzo del mio intestino. Bè, lascia che ti dica una cosa. Un film non è un dramma, non è letteratura; un film è matematica pura”.

E si potrebbero citare altri passaggi altrettanto significativi.

La Violetta del Prater, poco più di un centinaio di pagine, è un libro da leggere, sono molte le sorprese che riserva specie a chi ama cinema e letteratura.

Isherwood & Viertel

post dedicato ai moviebloggers napoleone e robydick

2 commenti:

  1. dev'essere bellissimo questo libro, lo leggerò sicuramente. se dovessi scegliere, proprio le parole del montatore sono le più belle: il cinema infatti ha meno margini di "compromesso", ha la tecnica, una sua fisicità e alla fine un film propone sempre in modo abbastanza diretto qualcosa. come dire... passa dalle parole ai fatti!
    onoratissimo per la dedica, grazie. :)

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