cinema

martedì 7 giugno 2011

ERIC AMBLER

DUE ROMANZI
ERIC AMBLER - 1953 / 1972



Come molti suoi connazionali della stessa generazione, anche Ambler fu sedotto dall’ideologia marxista, almeno come unica forza in grado di contrastare e sconfiggere il nazifascismo. E il fascino del comunismo anche se disincantato e  pragmatico, affiora nei suoi romanzi che, a una lettura più attenta,  s’impongono ad un livello che trascende il semplice ‘genere’.

La base comune alle storie di Ambler è quello che si potrebbe definire romanzo di investigazione. Non necessariamente ‘gialli’ o esclusivamente spy story, i romanzi dell’autore inglese si collocano all’intersezione di tali generi ma non solo. Importantissimo è il contesto geopolitico dell’azione e spesso tale contesto è crossborder. Anzi, i romanzi di Ambler hanno questo che li caratterizza: la fondamentale importanza che assume il limes, la frontiera. Quasi come per il giovane Rimbaud nel suo girovagare tra i confini delle Ardenne,  i personaggi e i nodi narrativi di Ambler si ritrovano a varcare dei confini e tale attraversamento costituisce la forza che implementa l’azione del racconto.

Già segnalato il caso del giovanile La maschera di Dimitrios, la cui trasposizione cinematografica del 1946 sembra il prototipo di film come la serie di Indiana Jones, con la carta geografica a pieno schermo e la linea che unisce i luoghi lungo cui si svolge l’investigazione/svolgimento della narrazione e sulla quale in sovrapposizione sfumata corre la locomotiva. Nel Tempio maledetto la carta era quella dell’Asia, la linea la rotta dell’aereo…

Più solidi alcuni romanzi successivi. Ne L’eredità Schimler il prologo descrive la l’esperienza, carica di conseguenze, di un soldato prussiano impegnato nelle guerre napoleoniche. Poi la storia si snoda dagli Stati Uniti alla Germania alla Grecia. In questo paese l’investigazione che muove il romanzo si intreccia alle vicende della resistenza greca durante la II Guerra Mondiale e alla repressione anticomunista dell’immediato dopoguerra, tra separatisti macedoni, militanti jugoslavi e banditi borderline. Efficacissima la traduzione di Giorgio Manganelli che ricrea la scrittura originale, sempre più oggettiva, razionale, quasi da saggio storico. Perfino l’elemento ‘rosa’ presente ne L’eredità Schimler assume aspetti completamente anticonvenzionali per il genere, anche se è evidente che con il passare degli anni e con l’affinamento non solo della tecnica ma della consapevolezza letteraria Ambler sia ormai fuori dal thriller/spy.

Conferma ne è Il Levantino, del 1972, quasi un instant book sui fatti del Medio Oriente. La tecnica narrativa si raffina: siamo infatti di fronte a un diario a più voci. Le incursioni in settori ‘tecnici’ apparentemente lontani dal romanzesco vengono gestiti con sempre maggior padronanza di mezzi espressivi e la contemporaneità  esotica apre a scenari che per la letteratura di consumo diventeranno comuni negli anni a venire. Qui i confini attraversati sono quelli della zona più calda del mondo: Siria, Libano, Territori Palestinesi e lo scenario è quello successivo alla Guerra dei Sei Giorni. Ambler si muove tra attività industriali, triangolazioni economico-finanziarie, burocrazie ministeriali, gruppi militanti antisionisti con una scrittura che va dritta al cuore del problema, senza nessuna concessione all’orpello o all’autocompiacimento, tipici difetti di chi vuole rimarcare le proprie presunte capacità di scrittore. La prosa è asciutta e ponderata, quasi da saggio giornalistico che mantiene però la voglia di sapere come andrà a finire tipica del romanzo.

«Lei parla di contadini giordani che vendono i loro prodotti nel cosiddetto Israele. Le dirò che c'è stato un tempo in cui attraversavo anch'io il confine a quel modo. Ma in uno su cinque dei pompelmi che i miei muli portavano al mercato c'era una granata. La pace ad ogni costo, Mr Prescott, non è mai stata accettabile per noi palestinesi. Con o senza i nostri alleati dei paesi arabi noi fedayin abbiamo sempre continuato a combattere».
 

Bella conferma Eric Ambler




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