Islamisti nel Nord del Mali, TheNewYorkTimes
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La questione è di quelle che tendono a spaccare l’opinione pubblica: potenze straniere possono intervenire militarmente contro regimi di Paesi sovrani per scopi definiti umanitari? In anni recenti anche in Italia si è molto dibattuto sui casi della Serbia, della risposta agli attacchi terroristici dell’11 settembre, della Libia. Siamo quasi tutti d’accordo che giungere a soluzioni pacifiche sia l’opzione migliore in assoluto ma ciò non è sempre possibile. La risoluzione di certe emergenze è molto complessa e divisiva ma proprio perché si tratta di emergenze la comunità internazionale ha il compito di agire e se la diplomazia e la politica falliscono è necessario trovare altre soluzioni, anche se dolorose.
Due
di queste situazioni si stanno svolgendo da molti mesi sullo scenario globale.
Da due anni ormai la Siria sta autodistruggendosi senza che la comunità
internazionale riesca o voglia attivarsi
per un’azione che ponga effettivamente fine al quotidiano massacro.
L’altro
caso al centro in questi giorni dei media mondiale è il Mali. Da quasi un anno
il Paese sahariano vive una guerra civile che ha portato alla divisione dell’unità
nazionale con la proclamazione di uno stato autonomo, l’Azawad, nella parte
settentrionale. Islamisti associati ad al-Qaeda, bande di predoni specializzati
in narcotraffico e sequestri di occidentali, mercenari e trafficanti di armi
hanno trovato occasione e appoggio nelle
rivendicazioni del popolo Touareg che da decenni combatte le autorità di
Bamako.
La
destabilizzazione seguita alle Primavere arabe e soprattutto alla caduta del
regime libico ha reso esplosivo non solo il Mali ma tutta l’Africa Nord Occidentale.
Ignorato per molti mesi, il pericolo rappresentato dalla costituzione di una
roccaforte jihadista tra Sahara e Sahel, ha iniziato a preoccupare, oltre che
alcuni paesi africani, anche la Francia, orfana della grandeur coloniale e
inquieta a causa delle conseguenze che tale focolaio possa rappresentare per
l’assetto geopolitico regionale, in primis per Algeria e per l’ancora instabile
Libia post-Gheddafi. E lasciando da parte ciò che sta accadendo nella Nigeria
settentrionale… Di fronte alla totale assenza di dibattito internazionale sulla
questione, il governo del socialista – pacifista – Hollande ha deciso di
intervenire. Questo il quadro.
Alcune
considerazioni.
A
differenza che in Siria, la Francia non ha coinvolto altri paesi o istituzioni
internazionali ed in ‘solitudine’, come ha commentato la stampa francese, ha
inviato i militari. L’impressione suscitata è che la Francia consideri ancora
l’Africa Nord Occidentale come questione nazionale o addirittura neocoloniale,
in questo caso va rimarcata la continuità del governo Hollande con il
precedente governo Sarkozy.
L’impegno al momento sembra sia stato programmato come circoscritto geograficamente, di breve durata e con un limitato numero di forze impiegate ma il sequestro dell’impianto petrolifero in Algeria ha immediatamente allargato il perimetro di guerra.
Il
radicamento di un potere islamista qaedista su un territorio molto vasto con
istituzione di autorità politiche e non più soltanto la presenza di cellule
terroristiche più o meno clandestine e aterritoriali rappresenta una minaccia
per tutto il mondo, e ciò non può ridursi a un fare i conti, per la Francia,
con il proprio ruolo e con il proprio passato storico. Il problema deve essere
condiviso.
Ha
fatto bene il governo italiano ad appoggiare la Francia e ha fatto bene il
futuro primo ministro Bersani a schierarsi con il compagno Hollande. Ancora una
volta è però venuta a mancare una comunione di vedute con l’ala che fa
riferimento a Vendola che subito ha condannato l’intervento francese, facendo
riemergere le contraddizioni, anche in politica estera, di una coalizione che
si propone agli italiani come forza di governo.
Truppe francesi lasciano Bamako, CNN
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Ambasciata francese a Londra, CNN
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