YORGOS LANTHIMOS - 2011
Premessa
necessaria per ristabilire una certa misura di giudizio perché altrimenti c’è
il rischio di parlare di genialità di fronte a registi che fanno semplicemente
buoni film ma che vengono subito acclamati come capolavori.
Alpi
è costruito come un puzzle in cui non tutti i pezzi, alla fine, vanno al loro
posto. E questo potrebbe anche non essere un problema: la realtà ha anche
vicoli ciechi e golfi di oscurità e incongruenza, però in un film altamente
cerebrale e antropologicamente concettuale certi meandri morti lasciano
perplessi.
L’idea
che organizza lo script è molto buona, ed è dello sceneggiatore Efthymis
Filippou. Il regista l’ha giudicata troppo semplice e vi è intervenuto
rimescolando le carte con il risultato di appesantirla.
Come
in Reservoir dogs anche in Alpi c’è una rinominazione dei personaggi principali;
come in Iñárritu e in certi Haneke c’è la riflessione sulla morte; come in
Lynch c’è la perdita di identità e i contorni tra finzione e realtà si
confondono; come in Reygadas e Tarr c’è la pesantezza e la vischiosità del
ritmo che vorrebbero alludere a inesplicabili metafisiche. Infine, è deprimente
come i film di Von Trier.
Nonostante
tutto questo Alpi è un film che fa riflettere, che divide, a cui si ripensa per
cercare di inserire al posto giusto le tessere di cui si compone. Film così in Italia
non se ne girano più da decenni.
regista e sceneggiatore a Venezia
sono decisamente d'accordo.
RispondiEliminarispetto a kynodontas, qui affiora un po' di maniera.
però a post-visione fa appunto riflettere ed è un film più apprezzabile che durante la stessa visione.