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giovedì 22 maggio 2014

ISLAM E DEMOCRAZIA

LIBIA, 19 MAGGIO 2014

Tripoli, 19 maggio 2014. Truppe armate nei pressi del Parlamento. Foto AP

La questione è di quelle che fanno tremare vene e polsi. La democrazia è un bene in assoluto, anche per comunità che nella loro storia non l’hanno mai conosciuta? La domanda è tornata ad imporsi dopo i recenti fatti di Libia ma essa si ripresenta regolarmente in riferimento al mondo islamico a partire dai fatti algerini del 1991.

In quell’anno infatti vennero indette, per la prima volta dall’indipendenza, libere elezioni. Fatto eccezionale in un paese arabo-islamico. L’Algeria aveva un passato recente di stato socialista, militare e laico e in quei giorni la rinascita islamista sembrava dovesse essere circoscritta molto più ad oriente che non lungo le coste del Mediterraneo. Focolai mascherati da resistenza anti sovietica si stavano consolidando in Afghanistan, di fatto ignorati, se non alimentati, dall’Occidente. Il pericolo dichiarato era l’Iran Khomeinista, contro il quale si confidava nell’alleato Saddam Hussein per alzare un firewall che impedisse un’eventuale esondazione islamista verso ovest. In Egitto la fratellanza musulmana era tenuta sotto le sabbie del deserto dai militari, quindi l’Islam integralista era del tutto ignorato. Destava semmai più preoccupazione l’Islam marxista, libico o palestinese che fosse. Quindi grande chance per la democrazia in Algeria ma la vittoria al primo turno delle elezioni nel dicembre del 1991 del Fronte Islamico di Salvezza coincise con la reazione dei militari e con l’inizio della guerra civile.

Da allora la democrazia non ha fatto alcun passo avanti nel mondo arabo-islamico mentre diventava questione all’ordine del giorno l’irresistibile ascesa dell’islamismo e della conseguente minaccia terroristica. Dopo l’11 settembre venne costruita la strategia mediatica dell’Asse del male formato dagli stati canaglia da affiancare agli attacchi all’Afghanistan prima e all’Iraq poi. Strategia che venne successivamente declinata verso il ‘nation building’, una sorta di esportazione della democrazia da parte dei buoni e giusti che non solo non è riuscita ancora a mettere salde radici nei paesi coinvolti ma ha accentuato la contrapposizione tra civiltà.
Si giunge così alla fine del 2010 e allo scoppio della Primavera araba, salutata come l’affermazione della libertà contro i regimi autoritari e come la rivoluzione dei giovani digitali contro le gerontocrazie militari. I risultati di quella ‘emancipazione popolare’ sono davanti agli occhi. Dove ci sono state elezioni, si sono affermati i partiti islamici: Partito Libertà e Giustizia (Fratelli Musulmani) in Egitto, Enneahad in Tunisia. Nello Yemen, dopo la caduta del presidente Saleh nel 2012,  non sono state ancora indette elezioni ma è sempre più forte il partito islamista AQAP.

Per la Libia il discorso è diverso e i fatti degli ultimi giorni sono emblematici. Decapitato il regime di Gheddafi grazie all’intervento armato esterno, il paese nordafricano ha assunto quasi lo status di protettorato nel quale dovevano essere garantiti gli interessi derivati dallo sfruttamento degli idrocarburi. Una democrazia fittizia, retta più che da un partito da un comitato d’affari, l’Alleanza di Forze Nazionali, con la fratellanza musulmana libica in forte crescita. Proprio per contrastare l’ascesa del Partito islamico il 19 maggio scorso si è svolto un film già visto. I militari sono intervenuti prima a Bengasi con un blitz armato contro gli islamisti poi a Tripoli dove il colonnello Fernana ha annunciato in tv la sospensione dei lavori parlamentari.

Per chiudere il cerchio, gli islamisti probabilmente vincerebbero anche in Siria una volta eliminato Assad mentre il caso di Gaza è sotto gli occhi di tutti e West Bank si mantiene relativamente moderata grazie al sostegno economico occidentale.

Per tornare alla domanda iniziale, il problema è che il concetto di stato laico è estraneo alle masse popolari arabo-islamiche anche se per anni è stato travisato dai militari al potere  in un contesto di bipolarismo USA-URSS. Oggi le popolazioni arabo-islamiche sono sempre più lontane da una cultura democratica di tipo occidentale, cosa che noi occidentali non vogliamo capire e che continuiamo ad auspicare persistendo ad interpretare tutto secondo un paradigma eurocentrico. Va da sé che in una condizione di possibilità di esprimere liberamente il proprio voto, in un qualsiasi paese arabo-islamico i portatori di istanze laiche e democratiche sono ineluttabilmente destinati a soccombere.

Islamisti libici. Foto Mohammad Hannon/AP



2 commenti:

  1. Nei paesi arabi la dittatura è utile per soffocare l'integralismo islamico. Ma anche le dittature hanno bisogno di consenso, e per questo dovrebbero favorire l'allargamento dei diritti civili.

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  2. ciao bruno, condivido la tua affermazione. lo schema dovrebbe essere il solito: partire dalla tutela dell'autonomia e della dignità dell'individuo. a seguire lo stato di diritto. poi un programma di riforme economiche. e questa dovrebbe essere l'affermazione del così detto liberalismo costituzionale. solo dopo il suo consolidamento si potrebbe passare alla democrazia diciamo consapevole. ma questa è teoria...

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