cinema

mercoledì 27 aprile 2011

ENNIO FLAIANO

TEMPO DI UCCIDERE
ENNIO FLAIANO - 1947

Figura eccentrica di intellettuale ‘non allineato’ nell’Italia monocroma del secondo dopoguerra, Flaiano ha goduto, post mortem, a partire dagli anni Ottanta di una rivalutazione dovuta proprio al fatto di non essere stato ‘di sinistra’. Sempre più citato ma poco letto, dichiararsi suo estimatore sta diventando un espediente per conquistare titolo di fine intenditore nella comunità salottiera.

Va detto subito che Flaiano ha un grandissimo merito, quello di essere un acuto conoscitore di cinema, sia come critico che come sceneggiatore. Leggere i pezzi di critica cinematografica che l’abruzzese pubblicava su varie testate è ancora oggi una lezione per tutti coloro che amano questa arte oltre ad essere un divertimento tout court grazie alla seriosa ironia ricca di paradossi con la quale stendeva un film magari celebrato da colleghi ufficiali. Celebre in tal senso la recensione a Piccolo mondo antico di Mario Soldati. In quanto al lavoro di sceneggiatore, possiamo affermare che Flaiano è stato il migliore sceneggiatore italiano, non serve elencare la lunga lista di capolavori che ha contribuito a realizzare. Flaiano è stato anche maestro indiscusso di ‘cazzeggio’, che ha trasposto in una serie di scritti leggeri leggeri ma spudoratamente intelligenti e cattivi che sono una gioia da leggere e che oggi stanno entrando nel club esclusivo di massa della cultura italiana che è la casa editrice Adelphi.


All’interno della sua copiosa produzione, Tempo di uccidere è l’unico romanzo canonicamente inteso e compiuto.
Africa equatoriale, occupazione colonialista. C’è un fiume e c’è una diserzione e qualche barlume di orrore che si affaccia sotto le spoglie di malattia o di coccodrillo. Il rimando è fin troppo evidente… Se consideriamo che il romanzo è costruito come un racconto in prima persona in cui psicologia e simbolismo hanno un peso preponderante, sembra proprio di essere di fronte ad una esercitazione sul tema. Il tema è naturalmente la narrativa conradiana.


Altro polo letterario verso cui guarda Flaiano è il Camus de Lo straniero. Sempre Africa, un protagonista estraniato e indifferente che trova il tempo di uccidere. Flaiano segue i due modelli letterari ma non ha la forza di delineare una creatura realmente potente. Il tenente protagonista è completamente sfasato, senza qualità, dominato da una non volontà ad agire. Uccidere il dottore che gli si è appena rivelato amico o non ucciderlo è la stessa cosa. Amare o non amare, fare sesso o non farlo: è tutto uguale. Questo potrebbe essere un tratto di originalità, un pregio ma Flaiano si perde in circonvoluzioni inutili all’interno di un personaggio di limitato spessore, occasione mancata.
Come occasiaone mancata è la gestione dell’intreccio. Se nella prima parte accadono fatti e il lettore resta appeso alla storia, ad un certo punto il racconto si impantana in una situazione priva di ogni giustificazione, né narrativa né tanto meno psicologica. Il rapporto tra il tenente e il vecchio Johannes è inutilmente sovradimensionato e occupa circa un terzo del romanzo.


Il finale della storia, prima del resoconto conclusivo, risulta fiacco, tra l’incredibile e il patetico, quasi un’allegoria dell’’italianità’, del tipo “tutto si risolve, con lo stellone che ci protegge e volemose bbene”, non si sa quanto voluta dall’autore.


Molti dunque i difetti ma Tempo di uccidere ha anche dei meriti. I modelli Conrad e Camus innanzi tutto, inconsueti nelle patrie lettere intorno al 1947. Insolita l’ambientazione militar-coloniale e esotica, con la riesumazione della guerra d’Abissinia. Flaiano riesce a mettere le mani nel fango senza sporcarsi e senza sporcare il Fascismo, fatto ambivalente, per non dire ambiguo, con tutti gli addentellati positivi/negativi del caso. Vi è infine il sorprendente resoconto conclusivo: la vicenda narrata è ricapitolata e vengono soppesati retrospettivamente episodi poco chiari in una conversazione post factum tra il tenente e un interlocutore.


Tirando le somme, Tempo di uccidere ha troppi punti di debolezza per essere letteratura e Flaiano, nonostante lo sforzo, che in questo caso si sente, quando nelle prose brevi è così naturale, resta impelagato nel suo stesso racconto. Non letteratura ma un buon romanzo simbolista che si distingue nel dominante neorealismo della sua epoca.

6 commenti:

  1. La penso sostanzialmente come te sulle debolezze del romanzo. A parte le carenze d'intreccio, resta forte la sensazione che non fosse quella la strada del grande Flaiano che, intelligente com'era, non possiamo dire non se ne sia avveduto. Anche se, alla macchia, ci sono spunti d'assoluta originalità. COme disse CB sul suo conto -parafrasando-, quando muore gente del calibro di Pasolini, Flaiano, Landolfi, la tirannia delle plebi si fa più forte... più inarrestabile...
    Sacrosanta verità

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  2. e vvai, impallinato anche Flaiano. Eustaki, continua così.

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  3. Mi pare di ricordare che sia anche un romanzo scritto a tavolino, per esigenze editoriali, e in ogni caso Flaiano non ha scritto altri romanzi. Io questo l'ho letto da adolescente e non lo trovai così cattivo, per me aveva dei lati affascinanti. Ma può darsi che io ponga Flaiano sempre troppo in alto, per via del Diario notturno e de La solitudine del satiro.Fa specie saperlo mondanizzato. Un saluto Eustaki.

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  4. @ daniz.
    siamo d'accordo. a proposito della tirannia delle plebi. l'attuale costituzione cinese afferma: - la cina è una dittatura democratica del popolo -...

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  5. @ saverio.
    impallinare è bellissimo, in questo caso ho impallinato il romanzo, flaiano si salva.
    a presto

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  6. @ ettore.
    i titoli che ricordi sono tra i migliori, anche se per me flaiano la grandezza la ha raggiunta con il cinema
    un saluto

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