cinema

venerdì 6 maggio 2011

JEAN DUBUFFET

JEAN DUBUFFET E L'ITALIA
LUCCA - Lu.C.C.A.


In una lettera a Enrico Crispolti del 1959 Dubuffet così scriveva: «Non comprendo il senso preciso di questo termine: 'Arte informale'. Temo che tale termine non si applichi a qualcosa che possa veramente essere definita e circoscritta. I miei lavori dipendono, o meglio alcuni di essi forse dipendono da ciò che alcuni hanno in vista quando enunciano questo termine? Non ne so nulla. Sono comunque persuaso che ogni arte che procede da formule o da sistemi è brutta, e non voglio per quanto mi concerne obbligarmi a nulla del genere. Se certi miei lavori possono forse soddisfare le condizioni richieste per la formula dell'Arte informale, è fuor di dubbio che altre mie opere, anch'esse molto numerose, siano in opposizione totale con questa formula. Quindi non vedo con chiarezza cosa io abbia a che fare con l'arte informale. Aggiungerei che io non amo affatto questo termine».

"L'arte deve nascere dal materiale e dallo strumento e deve mantenere la traccia dello strumento e la lotta di questo con la materia. L'artista deve esprimersi, ma anche lo strumento, anche il materiale. Ogni materiale ha il proprio linguaggio", da Prospectus, 1946 (brani estratti da freniszero).


La mostra di Lucca offre una doppia occasione: entrare in contatto con l’opera di Dubuffet attraverso una mostra che copre tutto il percorso espressivo dell’artista francese, con il giusto numero di opere (non troppe, non poche), tutte significative, volte a sottolineare i legami stretti con l’arte italiana del Novecento; apprezzare il nuovo spazio lucchese per l’arte contemporanea, dotato di bar e bookshop e di spazi per la comoda fruizione delle opere in mostra.


‘Jean Dubuffet e l’Italia’ sottolinea i legami dell’artista con il nostro paese, che lo ha scoperto e lanciato ma che lo ha soprattutto ispirato. Nella sua opera si colgono influssi che vanno da Savinio e De chirico per la primissima produzione giovanile, a Fontana, Burri, Capogrossi fino al Morlotti paesaggista informale tra gli anni Quaranta-Sessanta. L’«informe» (termine preferito dallo stesso Dubuffet all’ufficiale «informale») diventa formale con le realizzazioni degli anni Settanta, che definiscono anche il profilo più conosciuto a livello internazionale dell’artista. Il fortissimo legame con l’Italia resta però pressoché ignorato dalla critica francese, impegnata a mantenere l’artista entro l’esperienza dell’arte ‘nazionale’ con le radici ben piantate nelle avanguardie del primo dopoguerra, tra Breton e Michel Tapié.


La mostra consente di valutare a pieno Dubuffet, in particolare l’importanza di certe sue invenzioni che sembrano quasi anticipare artisti di grande ‘diffusione commerciale’ come Keith Haring o di grande impatto emotivo come Anselm Kiefer.


Concludendo, va segnalata la vicinanza che si coglie tra Dubuffet e un altro grande artista francese. Molto simile è l’approccio completamente antiretorico e dissacrante a quelli che sono i canoni tradizionali dell’espressività, in qualsiasi forma o genere si incarni. Mi riferisco a Louis Ferdinand Céline, vicinanza sottolineata anche dallo storico dell’arte Crispolti in un saggio sulla mostra di Dubuffet a Modena del 2006.

Lucio Fontana, Concetto spaziale - 1955

Jean Dubuffet, Le physique du sol, 1958

Anselm Kiefer, Johannisnacht - 1980



Dubuffet & Haring


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