1884 / 1976
Gaetano
Carlo Chelli, pubblicista nato a Massa nel 1847, dopo aver agitato la
sonnolenta vita culturale apuana, nel 1874 si trasferisce a Roma dove frequenta
i circoli della Destra storica e diventa amico dell’editore Angelo Sommaruga.
Liberale,
anticlericale e antisocialista, nella Roma umbertina conduce vita disinvolta
tra politici, giornalisti, letterati. La realtà ricca di fermento della novella
capitale d’Italia ispira a Chelli una serie di racconti e romanzi, tra i quali
spicca L’eredità Ferramonti, pubblicata nel 1884.
Chissà se
Luchino Visconti conosceva il romanzo. Forse lo avrebbe trovato letterariamente
troppo modesto da stimolare i suoi interessi come invece è accaduto a Mauro
Bolognini da cui ha tratto un film che
ha come impronta proprio quella di Visconti.
Un padre di
fronte ai suoi tre figli affronta rudemente la questione della spartizione del
patrimonio. La ‘roba’ è all’origine di un odio reciproco che porta alla
divisione rancorosa dalla famiglia, al tutti contro tutti. La sorella avida e
mediocre, il parassita bon vivant, l’inetto, i figli. Burbero e autoritario il
padre. In questo gruppo di famiglia in un interno entra in scena Irene, la
sposa dell’inetto e i frantumi familiari si ricompongono per poter di nuovo deflagrare.
I personaggi
si muovono in interni ricostruiti con esattezza filologica, dove specchi
moltiplicano i punti di vista, sullo sfondo della Roma in trasformazione di
fine Ottocento. Il paesone campagnolo sta diventando il centro politico dell’Italia
unita tra appalti, ministeri e mediocri politici cisalpini, speculazioni.
Il tipo di
narrazione rimanda al testo e si inserisce nel milieu culturale positivista: l’interesse
si concentra sullo studio di un carattere, quello di Irene, che senza alcuno
scrupolo mette in atto la propria strategia esistenziale. Nel contempo vengono
registrate le reazioni che il carattere principale scatena negli altri elementi
della storia, senza mai dimenticare il più ampio contesto storico-sociale.
Bolognini riesce
a tenere in mano i vari fili dell’ordito con efficacia anche grazie all’insieme
della troupe che dà il giusto contributo in ogni aspetto. Eccellenti i costumi,
le scenografie, gli arredi. Non convenzionale e riuscita la fotografia che fa
di Roma una città intrisa di umidità, dominata dagli smorzati colori fangosi a
contrasto con i toni carichi degli interni. Particolarmente adeguata la scelta
dei sei attori principali, tra i quali risplende una bellissima Dominique
Sanda, che il regista riprende avendo come riferimento la pittura del periodo.
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