KILL LIST - 2011
Parte il film. Sullo schermo nero si forma un simbolo che
predispone ex-abrupto lo spettatore ad aspettative di mistero ed angoscia. La visione
manterrà esattamente ciò che il regista, con quel simbolo, subito, senza altri
mezzi che un iconico segno bianco su fondo nero e tracce di sonoro, si era
prefissato. Dopo la ‘cifra’ iniziale, interno familiare, furiosa lite tra
moglie e marito davanti al piccolo figlio che gioca con i soldatini. Qualcosa non
va. Gli interni ordinari della villetta con giardino, il grigiore atmosferico
degli esterni, le riprese quasi amatoriali che stanno sui personaggi, tutto
contribuisce a trasmettere un senso di turbamento, aumentato dal fatto che la
barriera dello schermo sembra annullarsi per permettere l’ingresso nel film di
colui che sta guardando.
Violenza verbale e di sguardi, depressione, inquietudine infettante:
tutto esplode durante una cena a cui sono invitati un amico del marito e la sua
compagna. Inizia una discesa nell’abisso in cui sembra che l’unica certezza sia l’intenzione del
regista inglese di
spiazzare e confondere lo spettatore. Uno degli espedienti usati è il cambio di
genere. Il film scivola dal dramma psicologico all’action-movie, al thriller,
al mistery, all’horror trascinando in un gorgo di crescente inquietudine tutto
quello che viene rappresentato: protagonisti, personaggi collaterali, ambienti,
situazioni.
Alla fine molti gli interrogativi ma anche la sensazione che la
relazione-gioco del regista con lo spettatore sia decisamente riuscita e su un
film come questo, proprio per questa complicità che si crea tra autore e fruitore,
già dire il poco che è stato detto rappresenta un piccolo tradimento. È il caso
di aggiungere che Kill list va visto (e magari visto una seconda volta) al buio
più completo, senza saperne nulla.
me lo voglio vedere..il cinema inglese sforna nuovi talenti..uno per tutti Rumley..noi,in compenso..
RispondiEliminaciao roberto wyatt, il film è da vedere. in quanto a rumley me lo segno..
RispondiElimina