cinema

domenica 15 aprile 2012

CHARLES BAUDELAIRE

LES FLEURS DU MAL
L'ALBATROS - 1859




La poesia è molto famosa, ma come è stata tradotta in italiano? Parlare di traduzione di un testo poetico è questione annosa e insolubile. Una poesia andrebbe letta in lingua originale ma non sempre è possibile. Passi per le lingue più familiari con le quali ci si può arrangiare anche senza conoscerle,  ma il polacco, il neogreco, il russo, per restare in Europa, rendono necessario il ricorso al testo a fronte.  In questo caso siamo nelle mani del traduttore e non sempre queste mani sono affidabili, anche se i nomi sono famosi. Con il francese smascherare il cattivo traduttore è abbastanza semplice.
Baudelaire è uno dei poeti più letti e amati. In italiano, tra le molte traduzioni de L’albatros ho sottomano quelle ‘canoniche’ di Luigi de Nardis per Feltrinelli e di Giovanni Raboni per Mondadori. Due pessime traduzioni.
La prima quartina introduce ambiente e soggetto. È descrittiva, il ritmo è fluente come il volo dell’uccello e lo scivolare della nave sul mare. Al verso 3 il poeta usa una figura retorica, l’ipallage, per condensare ambiente e soggetto in un emistichio: “vastes oiseaux des mers”. De Nardis spezzetta la quartina e s’inventa un enjambement illeggibile proprio in coincidenza con l’ipallage che diventa “marini / grandi uccelli”. Il bellissimo verso 4, con il musicale “glissant”  è reso con un ridicolo “il bastimento / che scivolando va”. Raboni se la cava meglio, anche se un plurale, “des albatros”, diventa singolare (e proprio la parola-emblema!) e un singolare, “le navire”, plurale.
Nella seconda quartina entra in campo, in maniera molto discreta, la ‘compassione’ del poeta.  Qui è de Nardis a svolgere un compitino migliore anche se per cercare di mantenere la costruzione sintattica dell’originale deve compiere faticose giravolte. Raboni invece stravolge l’originale e forse perché ‘poeta laureato’ si prende la libertà (legittima, ci mancherebbe) di riscrivere un altro testo poetico. Il plurale ripetuto di Baudelaire è tradotto con dei singolari, e questo può essere anche lecito. Ciò che non è lecito è eliminare una parola fondamentale, “piteusement”. Essa non solo è lunga ed ha quindi forte valenza musicale e ritmica, ma è anche importante. È con questo avverbio che il poeta entra nel testo. È con questo termine che si avvicinano albatro e poeta. Raboni lo cassa!
Con la terza quartina il poeta è sempre più partecipe della sorte dell’albatro (tre frasi esclamative). I traduttori seguono fedelmente l’originale.
Ultima quartina. La vicinanza tra l’uccello e il poeta diventa fusione e il simbolo si fa allegoria. Entra in scena, direttamente, “le Poëte”, con la quale parola si apre il verso. Raboni mantiene la posizione, de Nardis la fa scivolare al verso successivo. Entrambi i traduttori inseriscono una similitudine attraverso il “come” che in francese non c’è. Baudelaire usa infatti un ben diverso “semblable”. Negli ultimi due versi, infine, c’è un forte anacoluto: “exilé…ses ailes”, un maschile singolare a cui segue un femminile plurale con funzione di soggetto, con “exilé” parola-chiave dell’intero componimento. Aderente all’originale nella struttura il de Nardis, il quale riesce però ad inserire un brutto “camminare / non può”. Raboni invece ricade nell’imperdonabile errore di eliminare proprio la parola esiliato, al cui posto compare  un “solo” del tutto inadeguato. Entrambi i traduttori non mantengono come soggetto “le sue ali”.
Vatti a fidare dei traduttori celebrati.



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