VUSI MAHLASELA 2010 - 2012
Ad aprire le porte delle charts di tutto il mondo alle sonorità
africane è stato l’album Graceland di Paul Simon, anticipato dal progetto WOMAD
di Peter Gabriel. Due grossi nomi che hanno contribuito a far conoscere al
grande pubblico la World Music e in particolare hanno permesso l’affermazione
di tanti musicisti africani.
In quegli anni si formava da autodidatta Vusi Mahlasela che
avrebbe abbracciato la lotta di Mandela per la liberazione del suo paese, il Sudafrica.
Attivista politico, musicista, poeta e soprattutto cantante e cantore delle
grandi conquiste sudafricane, Vusi si è imposto, dai primi anni Novanta come
The Voice, la voce, come viene chiamato nel suo Paese. Ma è solo da pochi anni
che la sua notorietà valica i confini africani. Un musicista attento come Taj
Mahal, con già all’attivo le collaborazioni con i due giganti Ali Farka Touré e
Toumani Diabaté, decide di produrre un album con il cantante sudafricano e
nasce così Say Africa, composto nel 2010 e registrato l’anno successivo in
Virginia e ora distribuito worldwide.
14 corpose tracks, Say Africa colpisce per la ricchezza della
strumentazione dispiegata e per la freschezza complessiva del lavoro. Non si
tratta di un disco rivoluzionario, anzi la sua forza e forse anche il suo
limite è di dare struttura a trent’anni di World Music offrendo un prodotto con
il quale l’ascoltatore entra immediatamente in sintonia, grazie alla
professionalità di realizzazione.
Sono tutti bravi in Say Africa, Vusi ci crede ma affiora dalla
produzione un senso di ricerca della ‘perfezione media’ in grado di giungere ad
un pubblico il più vasto e globalizzato possibile. Questo non è un male in sé ma
ciò limita la ricerca di soluzioni meno facili e più libere e innovative.
Non c’è dubbio che l’ascolto
di Say Africa riporti inevitabilmente al fondamentale Graceland di Paul
Simon e il legame tra i due album è dato dalla presenza, in entrambi, del
bassista Bakithi Kumalo. Ma anche il timbro vocale di Vusi ricorda quello del
musicista americano. Detto questo, l’album costituisce comunque una gradevolissima
sorpresa , con alcuni momenti pienamente riusciti. Tra questi Umalume, allegra
ma velata dalle note struggenti e nostalgiche della chitarra, la corale
Mokalanyane o Ode to Lesego, con testo del poeta Thabang Chiloane. Apprezzabili
anche le incursioni di Taj Mahal con benjo e chitarra ed anche voce nella bella
In anyway, dove in pieno Transvaal giunge a scorrere il Mississippi. Ma questo
lo cantava anche Simon :
The Mississippi delta
Was shining like a national guitarI am following the river
Down the highway through the cradle of the Civil War
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