È la prima
vera prova della milizia tanto voluta. Il generale Ramon de Cardona all’ossidione
di Prato con le truppe mercenarie ispano-papaline pregusta il sacco.
Il 29
agosto, anno 1512, i pratesi si rifugiano nelle chiese e nei conventi, pregano
e aspettano gli aiuti da Firenze. Gli aiuti tardano ma sarebbero comunque stati
pochi e mal guidati dal vecchio capitano Luca Savello. C’è chi giurerà di
averli visti fuggire non appena resisi conto che la soldataglia, dalle scale
appoggiate alle mura, si riversava ormai a frotte nella città.
Niccolò è subito
informato della disfatta e sa che la presa di Prato significa che i Medici
rientrano a Firenze. Il 31 agosto il gonfaloniere Soderini fugge dalla città
pronta ad inchinarsi all’ingresso di Giuliano, che si reinsedia nel palazzo di
Via Larga il giorno seguente, 1 settembre.
Niccolò sa che ha i giorni contati ma non
vuole fuggire. Vuole essere testimone dell’ultimo degli sconvolgimenti
eccezionali avvenuti negli ultimi anni. Ma ha il destino segnato. Il 7 novembre è rimosso dal suo incarico di
segretario dei Dieci. Tre giorni dopo gli fu commessa una grossa multa e gli fu
vietato l’ingresso a Palazzo Vecchio. Infine, accusato di aver complottato
contro i Medici, finisce in carcere e subisce la tortura.
Liberato, ha l’obbligo
di risiedere fuori città, presso il suo podere dell’Albergaccio. Qui, tra l’uccellare
ai tordi e il giocare a cricca e a tricche e tracche, rimugina sul suo destino
e sulla sua mala fortuna. E il ragionare tra sé sulle cose di stato e sul
passato gli fa immaginare come potrebbe distogliersi dal rotolare i sassi per
la via. Lascia da parte il Tito Livio e con tremore di rabdomante coglie lo
sgorgo che zampillerà nel Principe.
Siamo nella primavera del 1513. E fan quest’anno
i cinquecento anni. Grazie Niccolò.
ciao anto, ogni tanto ci si rilegge..
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