Bartok con la figlia - 1916 |
Circa venti
anni fa l’amico Guido mi regalò i sei quartetti per archi di Béla Bartók. Li ascoltavo nella vecchia casa di famiglia,
di fronte ad una finestra rivolta a nord est che dava sui tetti delle case
vicine e, sullo sfondo, su una porzione di ripide colline verdi di pini e di
ontani. Oppure mi accompagnavano nei tragitti in macchina per andare al lavoro.
A quel tempo facevo quasi tre ore di viaggio, tra andata e ritorno, attraverso
paesaggi incantati. Quei viaggi durarono per oltre sei mesi e i quartetti di
Bartók
erano tra gli ascolti più frequenti. Inevitabilmente il compositore ungherese è
legato a Guido, che già da molto tempo non c’è più, alle colline viste dalla
finestra e ai lunghi tragitti solitari. Da allora, se non occasionalmente, non
ho più ascoltato Bartók. E ancora per caso, mi sono imbattuto, mentre stavo
lavando i piatti, in una trasmissione radiofonica dove un competente ed
appassionato conduttore guidava all’ascolto della Musica per archi, percussioni
e celesta composta da Bartók nel 1936. È stata una folgorazione.
Definire questa musica onirica è fin troppo banale ma l’ascolto
equivale ad una discesa, quasi ad una caduta, nell’immaterialità di costruzioni
mentali angosciose. Questa è la sensazione che si prova al primo ascolto, dove
colpiscono soprattutto il crescendo e la successiva improvvisa serie di salti
discendenti del primo movimento; il piano usato come percussione e i pizzicati nel
secondo movimento; lo xilofono e gli archi strazianti del terzo movimento. Tre
movimenti che contribuiscono alla costruzione di un’atmosfera notturna da
incubo, che si scioglie con lo sfrenato,
liberatorio, quarto movimento.
Grazie alla guida del compositore Luca Mosca, si entra
facilmente nella complessa struttura dell’opera. Si riesce così a comprendere
quanto essa sia giocata su un numero limitato e ripetitivo di cluster formati
da frasi semplici che ritornano in fugati, a canone, eseguiti al contrario in
una successione di simmetrie e variazioni che attraversano tutti i quattro
movimenti, spesso seguendo schemi a chiasmo o esecuzioni per intervalli
rovesciati. Questo andamento a ritroso, queste alternanze recto/verso mi hanno
fatto pensare alle teorie di Pavel Florenskij sul tempo rovesciato nel sogno.
Dopo l’ausilio della guida, gustare la Musica per archi,
percussioni e celesta si sta rivelando un’esperienza emozionante. Sono riuscito
ad ascoltare le interpretazioni di Karajan, Boulez e Bernstein. Forse quest’ultima
è quella che preferisco.
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