cinema

mercoledì 12 novembre 2014

BÉLA BARTÓK

MUSICA PER ARCHI, PERCUSSIONI E CELESTA - 1936

Bartok con la figlia - 1916

Circa venti anni fa l’amico Guido mi regalò i sei quartetti per archi di Béla Bartók. Li ascoltavo nella vecchia casa di famiglia, di fronte ad una finestra rivolta a nord est che dava sui tetti delle case vicine e, sullo sfondo, su una porzione di ripide colline verdi di pini e di ontani. Oppure mi accompagnavano nei tragitti in macchina per andare al lavoro. A quel tempo facevo quasi tre ore di viaggio, tra andata e ritorno, attraverso paesaggi incantati. Quei viaggi durarono per oltre sei mesi e i quartetti di Bartók erano tra gli ascolti più frequenti. Inevitabilmente il compositore ungherese è legato a Guido, che già da molto tempo non c’è più, alle colline viste dalla finestra e ai lunghi tragitti solitari. Da allora, se non occasionalmente, non ho più ascoltato Bartók. E ancora per caso, mi sono imbattuto, mentre stavo lavando i piatti, in una trasmissione radiofonica dove un competente ed appassionato conduttore guidava all’ascolto della Musica per archi, percussioni e celesta composta da Bartók nel 1936. È stata una folgorazione.

Definire questa musica onirica è fin troppo banale ma l’ascolto equivale ad una discesa, quasi ad una caduta, nell’immaterialità di costruzioni mentali angosciose. Questa è la sensazione che si prova al primo ascolto, dove colpiscono soprattutto il crescendo e la successiva improvvisa serie di salti discendenti del primo movimento; il piano usato come percussione e i pizzicati nel secondo movimento; lo xilofono e gli archi strazianti del terzo movimento. Tre movimenti che contribuiscono alla costruzione di un’atmosfera notturna da incubo,  che si scioglie con lo sfrenato, liberatorio, quarto movimento.

Grazie alla guida del compositore Luca Mosca, si entra facilmente nella complessa struttura dell’opera. Si riesce così a comprendere quanto essa sia giocata su un numero limitato e ripetitivo di cluster formati da frasi semplici che ritornano in fugati, a canone, eseguiti al contrario in una successione di simmetrie e variazioni che attraversano tutti i quattro movimenti, spesso seguendo schemi a chiasmo o esecuzioni per intervalli rovesciati. Questo andamento a ritroso, queste alternanze recto/verso mi hanno fatto pensare alle teorie di Pavel Florenskij sul tempo rovesciato nel sogno.


Dopo l’ausilio della guida, gustare la Musica per archi, percussioni e celesta si sta rivelando un’esperienza emozionante. Sono riuscito ad ascoltare le interpretazioni di Karajan, Boulez e Bernstein. Forse quest’ultima è quella che preferisco.

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