cinema

mercoledì 17 dicembre 2014

ANDREJ BELYJ

PIETROBURGO
ANDREJ BELYJ - 1913



Già l’oggetto-libro, di per sé, vale l’acquisto, anche solo per guardarlo e tenerlo tra le mani. La casa editrice Adelphi compie un’opera meritoria, di quelle che fanno cultura, ripubblicando il romanzo Pietroburgo di Andrej Belyj, uscito nel 1961 da Einaudi, curato da Angelo Maria Ripellino.

Non solo il romanzo è un capolavoro ma anche la traduzione del grande slavista è un esercizio di tale bravura da costituire a sua volta un magistrale uso della lingua italiana, vicino a quella lingua che negli stessi anni scrittori come Gadda, Landolfi, Savinio e Longhi si divertivano a reinventare. Ripellino dedica anche un saggio-introduzione al romanzo qui riproposto. Perfetta la scelta di Rodčenko, un Rodčenko molto prossimo a Malevič. 

Personalmente mi sono avvicinato a Pietroburgo attirato proprio dall’oggetto-libro ed ho cominciato a leggerlo senza avere alcun ragguaglio né sull’argomento né sull’autore che non fossero le informazioni ricavate dagli amati Nabokov e Mandel'štamoltre all’esiguo carteggio tra Florenskij e lo stesso Belyj.
  
La lettura è stata una magnetica sorpresa. Pietroburgo è un vortice, una sinfonia in cui il testo si trasforma in spartito. Giunto alla fine, stordito da tanta potenza, ho letto il saggio di Ripellino che subito mi ha spinto ad iniziare di nuovo il romanzo. A seconda lettura il piacere è stato immenso. Non essendoci più la componente sorpresa, ne ho gustato ogni riga, ogni sfumatura.

Devo dire che nella mia esperienza di lettore non era mai accaduto di divorare un ‘romanzo in prosa’ una volta di seguito all’altra. Proprio come per le opere musicali, per comprendere le quali sono necessari vari ascolti per apprezzare al meglio i segreti della partitura o come per le opere di poesia per cui bisogna ripetere molte volte e ad alta voce il testo, Pietroburgo si assapora per assaggi successivi. E come per una partitura si succedono ed intrecciano leitmotiv, frasi, moduli espressivi che tornano e ritornano, uguali o variati a seconda dei punti di vista.


Si può parlare di scrittura simbolista, futurista, cubista. Si può parlare di realismo ottocentesco contaminato dal suprematismo, di nichilismo mistico, di reinvenzione della grande tradizione russa. Le etichette non servono. Serve la lettura, per lasciarsi scivolare dentro al gorgo, per farsi “agglutinare come uova di pesce” nell’alone magico dei personaggi, della topografia pietroburghese, delle invenzioni linguistiche.


5 commenti:

  1. me lo segno,nel frattempo tantissimi auguri!!

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    1. ciao brazzz, era un po' che non ti facevi vivo. auguri anche a te

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  2. cosa vuoi,il blog ormai l'ho praticamente abbandonato(poco tempo e poca voglia)..restano, e non è poco,gli amici che mi ha fatto conoscere....a presto e buon anno carissimo..!!

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