THE FALLEN ANGEL
PIETRASANTA - 2011
Sul prato,
circondato dal nastro ‘do not cross crime scene’, appena caduto dagli spazi
empirei giace scomposto l’angelo. È pesante, una massa corporea disarticolata
che qualcuno ha coperto col lenzuolo della morte. Le ali sono spezzate e i
piedi, i grossi piedi, scoperti, in una posa innaturale, lasciano intendere le
restanti fattezze della creatura, provocando sbigottimento accompagnato da una
sensazione di angoscia. Sentimenti che, una volta tornati alla ragione e
ristabilito il fatto che siamo di fronte ad una creazione artistica, si
trasformano in emozione e certezza della riuscita dell’opera. L’impatto con
l’angelo è infatti emozionante.
Dall’elegante chiostro una piccola porta
immette sul rettangolo erboso aperto al cielo e ai tetti della città circostante.
In questo spazio sospeso e circoscritto, illuminato dalla piena luce del
giorno, la sovrumana, per misure e attributi, figura senza vita dell’angelo
innesca un contatto tra il reale del corpo, del luogo, di quella delimitazione
‘burocratica’ dell’accaduto e l’imponderabile, il mistero. Si è consumata una
tragedia, alla quale forse per poco non siamo stati testimoni ma ora ci
troviamo di fronte al fatto compiuto e irreparabile: l’angelo è morto e noi
siamo spettatori mancati, impotenti e pieni di interrogativi che non avranno
risposte in cronaca.
I coniugi Kabakov (Russian-born, American-based artists, come
si presentano sul loro sito web), già appartenenti al consistente gruppo degli
émigré ai tempi del comunismo sovietico, con questa opera, The fallen angel,
giocano con il pubblico. In riferimento
alla presente società dell’informazione, i due artisti russi mettono in scena
una provocazione. Creano l’evento, danno agli spettatori l’appagante senso di
essere testimoni di qualcosa di straordinario (come quando si passa davanti ad
un incidente e si attende di vedere il sangue) ma al tempo stesso , l’evento, con
il suo inesplicabile mistero, ci atterrisce. Noi siamo qui, abbiamo davanti il
corpo gigantesco che qualcuno ha coperto, che qualcuno ha già provveduto ad
isolare e a renderlo inavvicinabile ai curiosi e ai non autorizzati, vediamo
quanto è accaduto ma non capiamo.
Nell’angelo
caduto i Kabakov ribaltano il celebre dipinto di Breughel, La caduta di Icaro,
cantato in un’altra altrettanto celebre poesia di Auden (→). Lì il fatto
sovrannaturale avveniva senza che le altre presenze umane rappresentate nel
quadro prestassero la minima attenzione alla eccezionale caduta con Icaro
destinato a sprofondare in mare e a non lasciar segno di sè. Qui, invece, resta
tutto davanti ai nostri occhi, sotto la luce dei riflettori, al centro della
scena e noi non possiamo essere indifferenti come il contadino di Breughel.
Veniamo coinvolti e quindi ci poniamo delle domande le cui risposte non possono
essere che ipotesi.
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Ilya e Emilia Kabakov, Angelology, 2010 |