cinema

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lunedì 1 aprile 2013

ILYA E EMILIA KABAKOV

L'UOMO PIU' FELICE
VIDEO INSTALLAZIONE - 2000

Foto:

I due geniali artisti, esuli sovietici, sono 'in tour' con la loro opera The Happiest Man. Dopo Parigi, lo scorso anno all'Hagar Bicocca di Milano e attualmente a Londra, la video installazione concettuale, a tredici anni di distanza dalla prima presentazione al pubblico, sempre più si afferma come elemento imprescindibile nel panorama dell'espressione artistica contemporanea.

L'ambiente è costituito da una sala cinematografica, simbolo della comunicazione di massa del Novecento sul cui schermo viene proiettato un film anch'esso in tutto riferibile all'estetica di metà secolo scorso. L'estetica è il risultato di una straniante ma decisamente aderente sovrapposizione tra il musical hollywoodiano e il realismo sovietico. Compagni sani e felici che cantano e ridono si succedono sullo schermo. Nella sala, tra le file di poltroncine, c'è un piccola costruzione, un monolocale per il cui arredamento è stato saccheggiato un mercatino di modernariato, con letto e tavolo apparecchiato per il rito del tè. La finestra che dovrebbe affacciare sull'esterno inquadra esclusivamente le facce felici di celluloide.

Non c'è altro da aggiungere, e si resta sbigottiti.



Foto:

mercoledì 14 settembre 2011

ILYA / EMILIA KABAKOV

THE FALLEN ANGEL
PIETRASANTA - 2011






Sul prato, circondato dal nastro ‘do not cross crime scene’, appena caduto dagli spazi empirei giace scomposto l’angelo. È pesante, una massa corporea disarticolata che qualcuno ha coperto col lenzuolo della morte. Le ali sono spezzate e i piedi, i grossi piedi, scoperti, in una posa innaturale, lasciano intendere le restanti fattezze della creatura, provocando sbigottimento accompagnato da una sensazione di angoscia. Sentimenti che, una volta tornati alla ragione e ristabilito il fatto che siamo di fronte ad una creazione artistica, si trasformano in emozione e certezza della riuscita dell’opera. L’impatto con l’angelo è infatti emozionante.
Dall’elegante chiostro una piccola porta immette sul rettangolo erboso aperto al cielo e ai tetti della città circostante. In questo spazio sospeso e circoscritto, illuminato dalla piena luce del giorno, la sovrumana, per misure e attributi, figura senza vita dell’angelo innesca un contatto tra il reale del corpo, del luogo, di quella delimitazione ‘burocratica’ dell’accaduto e l’imponderabile, il mistero. Si è consumata una tragedia, alla quale forse per poco non siamo stati testimoni ma ora ci troviamo di fronte al fatto compiuto e irreparabile: l’angelo è morto e noi siamo spettatori mancati, impotenti e pieni di interrogativi che non avranno risposte in cronaca.
I coniugi Kabakov (Russian-born, American-based artists, come si presentano sul loro sito web), già appartenenti al consistente gruppo degli émigré ai tempi del comunismo sovietico, con questa opera, The fallen angel, giocano con  il pubblico. In riferimento alla presente società dell’informazione, i due artisti russi mettono in scena una provocazione. Creano l’evento, danno agli spettatori l’appagante senso di essere testimoni di qualcosa di straordinario (come quando si passa davanti ad un incidente e si attende di vedere il sangue) ma al tempo stesso , l’evento, con il suo inesplicabile mistero, ci atterrisce. Noi siamo qui, abbiamo davanti il corpo gigantesco che qualcuno ha coperto, che qualcuno ha già provveduto ad isolare e a renderlo inavvicinabile ai curiosi e ai non autorizzati, vediamo quanto è accaduto ma non capiamo.

Nell’angelo caduto i Kabakov ribaltano il celebre dipinto di Breughel, La caduta di Icaro, cantato in un’altra altrettanto celebre poesia di Auden (→). Lì il fatto sovrannaturale avveniva senza che le altre presenze umane rappresentate nel quadro prestassero la minima attenzione alla eccezionale caduta con Icaro destinato a sprofondare in mare e a non lasciar segno di sè. Qui, invece, resta tutto davanti ai nostri occhi, sotto la luce dei riflettori, al centro della scena e noi non possiamo essere indifferenti come il contadino di Breughel. Veniamo coinvolti e quindi ci poniamo delle domande le cui risposte non possono essere che ipotesi.
Ilya e Emilia Kabakov, Angelology, 2010