THE QUESTION OF BRUNO
ALEKSANDAR HEMON - 2000
Sono stati scomodati certi nomi da far rabbrividire: Conrad, Nabokov, Kundera, con reminiscenze proustiane e joyciane. Insomma, a parte Kundera, decisamente ad un livello inferiore, siamo tra i gioghi eccelsi del Parnaso. Libro dell’anno quando uscì negli States nel 2000 secondo le più autorevoli testate, dal New Yortk Times al Los Angeles Times al New Yorker ad Esquire, Hamon non poteva che suscitare curiosità. The Question of Bruno è composto da otto racconti che assomigliano ad un blogger-profile con ricordi d’infanzia, foto, personaggi reali ed eroi immaginati. Come in molte delle espressioni letterarie più riuscite tutto si mescola e si confonde. È difficile stabilire dove finisce il reale ed iniziano sogno e fantasticheria quando un pulviscolo dorato avvolge gli avvenimenti raccontati. E i fatti sono raccontati con una lingua diretta, sintatticamente semplice, secondo i canoni di chi usa una lingua non propria. Come nel migliore Nabokov c’è in The Question Of Bruno la volontà di recuperare un mondo definitivamente scomparso attraverso uno strumento che di quel mondo non faceva parte. Nel senso che parlare dei propri paradisi dell’infanzia senza utilizzare lo strumento principe che veicolò le sensazioni del passato, la lingua madre, è una scelta forte, programmatica, che comporta uno sforzo supplementare di riflessione. È vero anche che l’uso dell’inglese ha permesso allo scrittore bosniaco-americano una visibilità immediata, ma è anche vero che oltre al mezzo conta anche il contenuto e a proposito di contenuti l’opera d’esordio di Hemon è veramente esplosiva.
Hemon è proprio bravo, la brevità non toglie nulla alla profondità e alla resa cromatica del racconto. Quadri di vita e letteratura, esistenze parallele, immagini che riaffiorano da una storia all’altra e soprattutto colori, sapori, suoni. Insomma, tutti i sensi vengono coinvolti nella prosa di questa ‘leggera’ raccolta di racconti. Ed è la leggerezza, quella di cui parlava Calvino, a rappresentare meglio i momenti più riusciti del libro, che contiene anche qualche ‘pesantezza’, ma parlare di Sarajevo e della Ex-Yugoslavia, di comunismo e di cecchini che sparano dai tetti è in sé una pesantezza. Ed è questa un’altra sfida vinta, narrare il pesante con levità .
Tra i molti momenti felici va citata in particolare la descrizione, in soggettiva, di una perdita di coscienza. Siamo nel quinto racconto, nel pieno di una grande festa familiare quando il piccolo testimone degli eventi ha un mancamento in cui le facoltà sensitive perdono coerenza ma sono al tempo stesso più percettive. Gira tutto, sembra di essere dentro una lavatrice, per dirla con il narratore e parte una pagina magistrale, da leggere e rileggere.
Da ricordare anche il picaresco Blind Jozef Pronek, il racconto più lungo della raccolta. Il giovane bosniaco Pronek arriva negli Stati Uniti mentre nella sua patria lontana ma sempre presente, infuria la guerra. Inizia un viaggio stralunato da una città all’altra, dove si incontrano i più assurdi personaggi e noi vediamo l’America attraverso lo sguardo di questo europeo, tra un Holden e un Borat, che scivola imbranato sulle cose e le persone che lo circondano, illuminandole con i suoi pensieri apparentemente ingenui ma in realtà profondi.
Si giunge velocemente alla fine, felici per la lettura di un libro vivo, fresco e ben scritto.
ciao sto ascoltando holiday in cambodia where the people are one, leggeró hemon al mio ritorno, grazie della visita.
RispondiEliminagrazie per essere passata dagli orti
RispondiElimina