GENNAIO 2011
Tahrir Square, Il Cairo, 1 febbraio 2011 Foto Ass.Pr. |
Le folle che fanno muro, foreste di braccia che avanzano, la forza del coraggio che magari produce decine di martiri ma che dà una speranza di libertà a milioni di persone. Tutto questo è esaltante ma anche inquieta, mette brividi sulla schiena a pensare come situazioni consolidate quali regimi, nazioni, scenari globali, all’apparenza inamovibili ed inespugnabili, possano essere messe in crisi in un giro di valzer e innescare crolli a catena e cambiare le prospettive del pianeta. Perché dopo Tunisi e Il Cairo ci potrebbe essere la volta di Algeri, del Marocco, dello Yemen, magari di Teheran.
La rivoluzione dei social network che creano bisogno di libertà; la rivoluzione che fonda le basi nella demografia, in paesi in cui la metà della popolazione ha meno di venti anni; la rivoluzione della fame causata dall’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità.
I milioni di egiziani per le strade fanno anche paura. L’Egitto è il paese cardine del mondo arabo, il punto d’incontro tra il Magrheb e il Mashriq, le due anime geografiche della nazione araba. In Egitto si è sviluppato il nazionalismo laico di Nasser che guardava al comunismo sovietico e il nazionalismo laico di Sadat che guardava all’America. Primo paese arabo a riconoscere Israele ma anche patria di Sayyd Qutb, il padre dell’integralismo islamico, condannato a morte dagli egiziani ed impiccato per aver pubblicato quel ‘All’ombra del Corano’ che ha infiammato generazioni di islamisti.
Se crolla il regime di Mubarak sotto la spinta popolare può accadere di tutto e Mubarak, proprio in questi minuti del primo febbraio del 2011, sta crollando.
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