cinema

sabato 23 giugno 2012

ANNI DI PIOMBO

MARGARETHE VON TROTTA
DIE BLEIERNE ZEIT - 1981





Era il 1981 e al festival di Venezia Margarethe Von Trotta vince il Leone d’oro, in pieno zeitgeist. Il titolo italiano del film, anche se fuorviante rispetto all’opera della regista tedesca, designerà il più triste periodo della storia repubblicana.

Il titolo originale, Die Bleierne Zeit, è una citazione dall’elegia di Hölderlin Der Gang aufs Land, i cui versi 5 e 6 recitano:

Trüb ists heut, es schlummern die Gäng und die Gassen und fast will /
Mir es scheinen, es sei, als in der bleiernen Zeit.

Torbido il giorno, sospesi I vicoli e I sentieri e quasi
Mi sembra come se fossi in un tempo plumbeo
(traduzione di Eustaki)

 Per la Von Trotta il tempo plumbeo di Hölderlin è il secondo dopoguerra, gli anni Cinquanta e Sessanta della Repubblica Federale.

Si parla di terrorismo, ovviamente, ma il terrorismo a cui approdano certi giovani è una metafora molto complessa della società tedesca. Il centro del film non è tanto la scelta della lotta armata quanto i rapporti interfamiliari: tra le sorelle, tra genitori e figli. Rapporti che coinvolgono, ad un livello storico, i sentimenti che i ‘figli’ nutrono verso la Heimat e il recente passato. Ciò rimanda inevitabilmente all'Olocausto.

È significativo che la figlia ribelle a scuola rifiuti i testi poetici ufficiali e manifesti, in maniera provocatoria, la propria predilezione per la poesia di Paul Celan, e specificamente,  per quella Todesfuge che tanto imbarazzo aveva creato nella Germania degli anni Cinquanta. La poesia, espressamente citata nel film, contiene il celebre verso Der Tod ist ein Meister aus Deutschland, divenuto slogan dell’antifascismo e dell’anarchismo tedeschi. È attraverso la poesia di Celan, attraverso le immagini dei documentari sui campi di sterminio che si devono fare i conti con il passato, con certi maestri, con certi padri.

Anni di piombo scende in questo crogiolo di temi e non a caso l’inizio e la fine si congiungono attraverso la figura del figlio di Marianne. Abbandonato dalla madre, passata a vivere in clandestinità, abbandonato dal padre che sceglie il suicidio, abbandonato dalla zia che rifiuta la maternità, il piccolo Jan tornerà alla fine, vittima delle colpe dei genitori e pronto ad incarnare, dopo il proprio sacrificio, e quello di sua madre (la foto strappata) una nuova generazione di tedeschi, forse riconciliati con gli orrori della storia.

Il film è ‘pesante’, di piombo come l’atmosfera in cui Hölderlin si trovava a passeggiare, pesante come lo è la copia del Cristo ‘riformato’ di Grünewald che si è salvato dalle macerie della Seconda Guerra Mondiale e terrificava le piccole sorelle, già angosciate dalle sirene antiaereo e da un padre disumano nella sua applicazione della fede evangelica  ai rapporti familiari (su temi analoghi, molto più pesante e meno riuscito Il nastro bianco di Haneke).

Nel caso della Von Trotta il peso dei sovrasensi, anche psicoanalitici, del forte simbolismo e di una lentezza di ripresa ritenuta necessaria per dare spessore al messaggio di un film d’autore, non riescono a scalfire l’importanza che Anni di piombo riveste nella filmografia europea degli ultimi decenni. Anzi proprio queste caratteristiche ne fanno un prodotto emblematico di un certo momento storico. Niente da fare, Anni di piombo è, nel bene e nel male, un film epocale.

Matthias Grunewald, Crocifissione di Basilea, 1501

3 commenti:

  1. Un film che ha fatto epoca. Interessante la rilettura critica che hai offerto.
    Buon fine settimana

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  2. grazie massimo, ho appena fatto un salto sui tuoi blog e ho lasciato un paio di commenti..

    a presto

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