GLOS PANA - 1968
La fantascienza sta stretta a Stanislaw Lem, che addirittura la
sbeffeggia con parole al vetriolo, anche se, erroneamente, viene classificato
come autore di SF. Nato a Leopoli quando la città rientrava entro i confini
polacchi, Lem ha sempre incarnato l’altra SF, quella di oltre cortina. Il clima
da Guerra Fredda trasuda dalle pagine di questo La Voce del Padrone del 1968 che un americano non avrebbe mai
potuto scrivere. Fedele alla linea e quasi un eroe in patria,
sorprendentemente, in questo corposissimo romanzo Lem si avvicina ad un altro
slavo che dovrebbe collocarsi agli antipodi dello scrittore polacco. Parlo di
Nabokov. Nella Voce del Padrone si respira l’aria di Fuoco pallido.
Il narratore, presunto genio cinico e un po’ viscido, racconta
in prima persona la sua esperienza di scienziato chiamato a far parte di un
ristretto Consiglio che deve presiedere il progetto Voce del Padrone al quale
lavorano centinaia di esperti dei più svariati settori della scienza. La
finalità del progetto è quella di decifrare un messaggio proveniente dallo
spazio costituito da un flusso di neutrini.
Nel romanzo non c’è praticamente azione. L’interesse e anche una
certa tensione è tutta creata grazie all’abilità con cui Lem utilizza
competenze tecnico-scientifiche che abbagliano il lettore. Attraverso questo
mimetismo argomentativo e lessicale che approda a veri e propri mirabolanti
tecnicismi verbali, lo scrittore polacco imbroglia le carte e crea false piste.
Oltre ai commenti e ai giudizi che il protagonista, il matematico Peter Hogarth,,
esprime sui colleghi, dei quali vengono sottolineate le debolezze con perfidia
comaresca, il romanzo si fa sempre più complesso e compaiono progetti paralleli
e antagonisti alla Voce del Padrone a complicare il quadro.
Si giunge ad un punto in cui la cosmopolita comunità
scientifica, isolata in una vecchia base nucleare nel deserto del Nevada, si
sfilaccia in rivalità e personalismi che mettono in dubbio la stessa esistenza
della «lettera» dallo spazio. Il protagonista si prende molto sul serio
e Lem, nascosto dietro le righe si diverte a ridicolizzare, se non a demolire,
non solo i vari personaggi ma l’intero sistema americano del quale pur
proponendone l’efficiente e abbagliante immagine, in realtà ne mette a nudo
pochezza e vanità. Soprattutto feroce Lem si dimostra contro certi elementi
della cultura americana quali la psicoanalisi, il consumismo, le comunità accademiche,
la casta dei politici democraticamente eletti e dei militari. “Una civiltà divaricata sul piano tecno-economico
come la nostra, con un’avanguardia che sguazza nel benessere e una retroguardia
che muore di fame ha già, proprio per questa sua divaricazione, una linea di
sviluppo chiaramente tracciata”, riflette Hogarth
Il finale è tutto da leggere – e da sottolineare per ampi tratti!
–. Qui Lem supera se stesso e se la parte centrale del romanzo incorre nel rischio
di essere ripetitiva e faticosa, l’ultima parte si legge d’un fiato e lascia
appagati.
La Voce del Padrone è
uscito nel 2010 presso Bollati Boringhieri con bella traduzione dal polacco di
Vera Verdiani.
salve franz. ho letto con piacere il post indicato. i tuoi blog sono miniere di informazioni e spunti
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