GUSTAVO TARETTO - 2011
Nei primi
anni ’90 è avvenuto il passaggio dal
sistema analogico al digitale che, come una fluida macchia d’olio, non ha
conosciuto intralci e si è imposto a livello globale contribuendo, in maniera
decisiva, ad uniformare comportamenti e stili di vita. Oggi, negli anni Dieci,
gli under trenta vivono più o meno nello stesso modo. A parte sacche di
preoccupante fanatismo, un ventenne ha come piattaforma esistenziale lo stesso palinsesto, non importa se vive a
Tokyo, Johannesburg o Mexico City. Ci sono le ovvie differenze dovute al censo
ma relativamente ai fondamentali possiamo dire che l’omologazione sia avvenuta.
Ho pensato
a queste banalità mentre guardavo Medianeras. In questo fresco film molta
importanza viene attribuita all’ambientazione. Siamo a Buenos Aires, viene
detto e ridetto e soprattutto mostrato, anche in modalità scatto fotografico,
come stessimo sfogliando un numero monografico di una rivista di turismo o
architettura. Si insiste molto sull’unicità della metropoli ma alla fine di
questa unicità resta ben poco. Le vite che la riempiono sono vite standard. Solitudine,
depressione, alienazione. Niente di nuovo, solo che nel secolo scorso queste
erano le cifre comportamentali di intellettuali di mezza età che facevano del
vuoto un atteggiamento che diventava sempre più posa e segno di distinzione.
Oggi l’età dei nuovi esistenzialisti si è notevolmente abbassata e la loro insicurezza
è ormai diventata una condizione di normalità. Si vive in
monolocali-scatole-da-scarpe, ci si arrangia con lavori precari, si va in
piscina e soprattutto, c’è la rete. In rete si lavora, si ascolta musica, si
guardano i film, si socializza.
Medianeras
è tutto questo. È la storia di una ragazza e di un ragazzo dalle vite parallele
le cui traiettorie si incrociano per allontanarsi e poi tornano ad essere
parallele e di nuovo a convergere. Il doppio binario dura per quasi tutto il
film che dopo averci felicemente sorpreso e fatto rimanere ammirati per tanta
grazia, riesce a deluderci con un finale che se non può mettere in discussione quanto
di buono abbiamo visto lascia però delusi. E rammaricati. Ma perdoniamo il
finale al cinquantenne regista Gustavo Taretto perché subito dopo, sui titoli
di coda ci delizia con un Marvin Gaye d’annata, quello dei duetti con Tammi
Terrell.
Ringrazio Franz / Ismaele per il suggerimento
se ti ho convinto ad andare e non ti è dispiaciuto sono contento :)
RispondiEliminaa questo servono, anche, i blog, condividere e incuriosire.