cinema

giovedì 18 novembre 2010

BILLY WILDER

THE LOST WEEKEND
BILLY WILDER - 1945


Skyline di New York. La macchina da presa ruota da sinistra verso destra, inquadra la finestra aperta di un palazzo. Fuori,  appesa ad un filo penzola una bottiglia, dentro si vede un uomo che prepara una valigia. In un’inquadratura si concentrano i tre nuclei attorno ai quali ruota il dramma: Don Birnam,  l’alcol e la città. Dramma sociale, quindi, che narra la disperata discesa agli inferi del protagonista e la sua risalita in superficie dopo aver superato un climax di esperienze che vanno dall’umiliazione all’orrore del delirio tremens, dall’annullamento degli affetti fino alla prospettiva del suicidio. Risalita in superficie, lieto fine dunque, con l’ultima sequenza che ribalta la prima: la macchina da presa inquadra dall’esterno il solito interno con Don e la sua donna-salvatrice, rotazione  da destra verso sinistra a fermarsi sui grattacieli della città. Il dramma si chiude circolarmente da dove era iniziato, lasciando supporre uno sviluppo fuori quadro di vita coniugale e lavorativa. Lo scrittore infatti porterà a termine il libro che descriverà la sua esperienza di alcolista alla quale abbiamo appena assistito.
Il film si svolge  durante un weekend che Don e suo fratello avrebbero dovuto trascorrere in campagna per iniziare un periodo di disintossicazione. La ricaduta di Don  fa saltare il programma e attraverso una serie di flash back viene ricostruito tutto il percorso della dipendenza. Si intrecciano così due tempi, il tempo della esperienza passata che è ricordo e racconto,(è Don che narra la sua storia al barista) e il tempo effettivo, il weekend dalla mancata partenza al ritorno alla vita. L’arco di tempo complessivo è di circa tre anni, e l’inizio coincide con l’incontro con Helen. I due personaggi sono antitetici e rappresentano un dicotomia che ha un ruolo fondamentale nel film. Se Helen viene da una cittadina dell’Ohio, è di buona famiglia borghese, lavora al Time e crede nei valori forti dalla società americana, Don vive a New York, la grande città dalla quale bisogna allontanarsi per poter guarire, non lavora, non ha denaro ed è fondamentalmente un solitario. Gli unici contatti possono essere il barista e la prostituta, con i quali vige il rapporto economico di scambio, anche se questo sembra valere solo per Don: il barista infatti porterà la macchina da scrivere che gli  permetterà  di scrivere e di redimersi; Gloria dà del denaro a Don, ribaltando la direzionalità dello scambio cliente-prostituta.  L’antagonismo dei due caratteri principali si riflette nella contrapposizione tra città, luogo di tentazioni,  e campagna, dove sarà possibile la salvezza. Don, solo, si perde nella città e durante questo perdersi torna il Wilder realista di Menschen am sontag. Girate in esterni, le scene ci conducono con il protagonista in una New York lontana dagli stereotipi, fatta di sopraelevate, di quartieri anonimi e di banchi dei pegni, inesorabilmente chiusi per la festività dello Yom Kippur. Realismo, anche di contesto, ma Wilder inserisce un’altra matrice culturale, fondamentale per lui ebreo tedesco: l’espressionismo, sia leggero, da commedia, che nero, da dramma. Uniti essi si trovano nella lunga sequenza del teatro, con il contrasto fatto di campi alternati tra la rappresentazione gioiosa sul palco e l’angoscia dello spettatore, che giunge ad avere una visione di impermeabili vuoti che ballano con in bella evidenza la bottiglia nella tasca. Altra visione, non suscitata dal desiderio ma che porta al culmine della sofferenza è il delirio allucinatorio della lotta tra topolino e pipistrello. Climax visionario con accompagnamento  sonoro avente funzione psicologica, la scena del delirium tremens è la conclusione di un crescendo che aveva già avuto un momento topico nella clinica per alcolisti. Ma si potrebbero citare altri episodi, in quanto il film è costruito come un accumulo di nodi esperienziali successivi.  Due particolari, tra i tanti,  che testimoniano la grande finezza e maestria di Wilder: il tocco che ripetutamente fa Gloria sul collo di Don e il cerchio che lascia il bicchiere sul bancone;  la profondità di campo con la quale si colgono contemporaneamente in messa a fuoco multipla Don nella cabina telefonica in primo piano, i genitori di Helen in campo medio e all’estremità del campo Helen che parla al telefono con Don. Geniale

4 commenti:

  1. ecco fatto saverio. ho recuperato un bellissimo wilder per te

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  2. ammappate che rece! :)
    ce l'ho in programma da un po', devo proprio vederlo...

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  3. ciao roby, mi sono assentato per qualche giorno. tu e famiglia tutti bene? poi farò un salto sul tuo blog

    a presto

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